«Il Terzo Polo non poteva che nascere a Milano, una città educa al rischio e all’ambizione». Dal palco del Teatro Franco Parenti di Milano Matteo Renzi parla della città, scherza, ricorda aneddoti personali, cita Manzoni e Beccaria, lancia frecciatine – e anche qualcosa in più – ai bipopulisti. Solo alla fine del suo intervento tocca i temi più importanti e attuali della campagna elettorale.
Il leader di Italia Viva ha portato la sua visione di Milano fra cultura, solidarietà e inclusione, finanza e ambiente, e ovviamente politica.
La premessa da fare è che il tour elettorale di Renzi deve passare necessariamente dal capoluogo lombardo, dove lui è candidato al Senato e il Terzo Polo ha una grossa opportunità di sorprendere «perché penso che il tempo del populismo sia finito». Il risultato elettorale della città che muove mercato del lavoro, design, moda e altre industrie può dare la giusta spinta alla lista che ha nel simbolo i loghi di Azione e Italia Viva.
«Io sono convinto che i risultati elettorali del 25 settembre saranno sorprendenti, in positivo», dice Renzi. «Perché non c’è più spazio per il populismo, che è la dittatura dell’istante, la distruzione dell’autorità e dell’autorevolezza. Il populismo è quello che abolisce un giorno la povertà e l’altro la ricchezza, è quello che dice no agli impianti e poi batti i denti, quello che dice no al rigassificatore a Piombino e poi prende i combustibili fossili», dice Renzi.
Per oltre un’ora l’attenzione è tutta sulla città, sulla Milano aperta, multiculturale, contemporanea, con uno sguardo sul futuro e sul potenziale inespresso, capitale economica del Paese e capitale del terzo settore, capitale italiana della moda e del design e tanto altro.
«Se devo rappresentare Milano al Senato – dice Renzi dal palco del Teatro Parenti – vorrei fare uno sforzo per capire ancora di più la città, capire qual è l’anima di Milano. Sono stato sindaco e so che tutte le città hanno un’anima. Chiedo a voi di spiegarmi Milano perché è una città che sfugge, è una città dinamica: nel tempo dell’immobilismo Milano insegna al resto d’Italia come bisogna muoversi, come essere all’avanguardia in ogni campo».
L’esempio è proprio quella della capacità di produzione, della capacità di innovazione, della capacità di accoglienza, in cui il capoluogo lombardo eccelle. «Milano è una città che educa – spiega Renzi – nel senso che ti tira via dalle convinzioni e ti guida, ti insegna a guardare in alto: nella politica, nella giustizia, nel dialogo, nel lavoro e nel fare, educa anche nella cultura».
Dal palco del Teatro Parenti, Renzi racconta storie del suo passato, dell’esperienza politica e dell’infanzia. Le intreccia con la vita della città e dei suoi cittadini, poi con il ruolo che Milano, più di tanti altri comuni, può avere nel futuro del Paese: «Io mi sono candidato a Milano per tanti motivi, uno di questi è che penso che le città abbiano un ruolo forse anche più degli Stati nazione nel creare comunità, portano un valore straordinario. Nessuno di noi salverà il mondo, non lo farà Milano da sola. Ma la città, anzi le città, se mettono il loro impegno possono dare il loro contributo per il futuro del Paese e non solo».
Milano è la città del fare, dice Renzi, e la sua capacità di correre in tanti settori a velocità europee e mondiali deve diventare una caratteristica di tutto il Paese per colmare le distanze interne che sembrano endemiche dell’Italia.
Per replicare il modello di crescita milanese bisogna lavorare su un dato, quello delle dichiarazioni di redditi dei lavoratori, che a Milano crescono (+11,4% medio dal 2014) e in altre città crescono sempre meno, sempre troppo poco. «Se aumentano le disuguaglianze tra Milano e il resto del Paese, vi immaginate come aumenteranno le disuguaglianze nel mercato del lavoro? Noi dobbiamo fare uno sforzo di trovare un criterio nuovo di lavoro: è l’idea riformista che il capitalismo abbia bisogno di correzioni, non di essere cancellato come sostengono alcuni esponenti del bipopulismo italiano».
Milano sarebbe anche capitale della cultura, ma il leader di Italia Viva ammicca a Firenze indugiando con il pubblico. «Una delle cose di cui vado più fiero del mio mandato da sindaco di Firenze è stato raddoppiare lo spazio dedicato alle biblioteche», dice. «E anche se Tremonti dice che con la cultura non si mangia, Milano ci insegna che una città per crescere ha bisogno di costruire la sua comunità sulla cultura, non quella che vuole abbattere le statue e distruggere la conoscenza, ma quella che viene portata avanti con i musei e le iniziative private come quelle di Pirelli e Fondazione Prada. E i nuovi progetti che nascono qui. Ecco perché quando penso a Milano penso a una giovane nata altrove e cresciuta qui, che dal liceo classico diventa un riferimento dell’Italia a livello mondiale nel campo della ricerca, si chiama Fabiola Gianotti, da gennaio 2016 direttrice generale del CERN di Ginevra».
I temi della campagna elettorale emergono nel discorso tra molti aneddoti, storie, racconti e qualche battuta. Il saggio “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria è un’occasione per parlare di giustizia, di garantismo e di giustizialismo, con un appello a quei 7 milioni di italiani che hanno votato Sì al referendum sulla Giustizia. Renzi cita il capitolo 16 dell’opera illuminista e poi: «Come puoi spiegare queste parole a uno come Alfonso Bonafede».
Giustizia è anche quella sociale e ambientale, quella di un mondo e una società che non distruggono il futuro. È la sfida posta dall’emergenza climatica che diventa uno spazio per fare una riflessione sull’edilizia 4.0, ma anche sul confronto con il passato e il governo Conte, quello del Superbonus 110% che ha portato inflazione e ingiustizie.
Ma ce n’è anche per la politica in senso stretto. Per il Movimento 5 Stelle, con Giuseppe Conte che ha avuto l’edorsement di Donald Trump nonostante si voglia porre come forza progressista e di sinistra, e per il Partito democratico: «Noi avevamo un governo, il governo del lavoro, del Partito democratico, che con il Jobs Act aveva creato posti di lavoro. L’Italia aveva fatto la rivoluzione nel mondo del mercato del lavoro: 1,2 milioni posti di lavoro in più, 570mila a tempo indeterminato. Significa che c’è stata una stagione in cui Berlusconi questi posti di lavoro li ha coniati come slogan, noi li abbiamo creati davvero. Oggi invece abbiamo un Partito democratico che dice “abbiamo sbagliato a fare il Jobs Act” e vuole difendere il reddito di cittadinanza: sono loro stessi ad aver archiviato la loro stagione riformista».
Sul palco, ad aprire la serata, c’è proprio il sindaco Sala. «Capirete che dalla mia posizione non posso augurarvi di prendere il 58%», scherza il primo cittadino. «Però vorrei parlarvi di riformismo, che non è né di destra, né di sinistra, né di centro. Dovremmo chiederci semmai se quest’epoca può permettersi di rinunciare al riformismo: la nostra politica ne ha bisogno in questo momento».
Che l’Italia abbia bisogno di riforme e riformismo non è in discussone, non sul palco del Teatro Parenti: «Milano è la città delle riforme e a livello nazionale, il giorno delle elezioni dobbiamo pensare a chi ha la forza di fare le riforme in un momento di grande risistemazione a livello mondiale, ad esempio a livello ambientale e energetico: la realtà è sotto gli occhi di tutti».