Un alto ufficiale dell’intelligence francese noto come Henri M. viene inviato a Pechino, si innamora dell’interprete dell’ambasciatore, inizia a passare informazioni segrete al nemico. Per questo viene richiamato in Francia e viene condannato a otto anni di carcere per aver trasmesso «informazioni pregiudizievoli» a una potenza straniera, anche se il reato era stato commesso due decenni prima. Nello stesso processo, con motivazioni molto simili, anche un altro agente francese noto come Pierre-Marie H. è stato arrestato e condannato a 12 anni.
Non è un episodio di una nuova serie tv crime parigina, ma una storia vera che riguarda una sentenza del 2020 e intreccia le vicende di agenti francesi, Stati europei e nomenklatura cinese.
La decisione della Francia di dare visibilità pubblica alle decisioni giudiziarie tenendo un processo, riflettono la crescente preoccupazione – che abbraccia tutta l’Europa – sulle operazioni di spionaggio della Cina, ormai più frequenti e minacciose di quelle della Russia (la cui intelligence è solitamente riconosciuta come avversaria delle intelligence occidentali).
L’argomento è stato affrontato dal Financial Times in un articolo pubblicato a fine agosto, a firma di John Paul Rathbone e Demetri Sevastopulo. «Gli agenti dell’intelligence cinese – ha detto al quotidiano economico britannico un ex capo della stazione europea della Cia – sono alla pari con i russi. Le migliori operazioni della Cina ora sono pericolose quanto le migliori della Russia».
La Cina è attiva in tutto il mondo con attacchi informatici, anche molto sofisticati. Lo ricordano bene i vertici di Microsoft, che nel 2021 hanno subito un attacco hacker che ha compromesso 30mila sistemi in tutto il mondo e che secondo gli Stati Uniti, l’Unione europea e il Regno Unito sono stati perpetrati da gruppi criminali che lavorano per volere di Pechino. Ovviamente la Cina ha negato tutto.
«Con le tecniche di spionaggio sviluppate dalla Cina, le agenzie occidentali devono riconfigurare il loro approccio in materia di controspionaggio», scrive il Financial Times.
La Human Intelligence cinese – le attività di intelligence di raccolta di informazioni attraverso contatti interpersonali – ha acquisito un livello di complessità solitamente associato allo spionaggio russo.
La grossa differenza tra i due apparati di intelligence, da quel che hanno spiegato le fonti ascoltate dal Financial Times, è che le operazioni estere della Russia si basano ancora su una più tradizionale rete di agenti d’élite, addestrati in tecniche di spionaggio come le comunicazioni codificate, che hanno il compito di raggiungere uno specifico obiettivo. Quelle della Cina, invece, hanno obiettivi più ampi e generici, che vanno dall’influenza politica all’ottenimento di segreti commerciali o tecnologici.
«Quindi mentre lo spionaggio russo tende a essere estremamente focalizzato, la Cina utilizza un approccio universale che interessa l’intera società cinese», ha detto un funzionario dell’intelligence americana, citando ad esempio una legge sull’intelligence di Pechino del 2017 che richiedeva a «tutte le organizzazioni e i cittadini» di «sostenere, assistere e cooperare con gli sforzi di intelligence nazionali».
La differenza negli stili dei due Paesi viene spesso descritta, tra i funzionari delle intelligence europee e statunitensi, con una metafora sui granelli di sabbia: gli agenti russi sono quelli che sbucano da un sottomarino in piena notte e inviano un piccolo gruppo di spie sulla spiaggia per prendere un secchio di sabbia, che fuor di metafora è il bersaglio scelto dai servizi segreti russi; i cinesi sono quelli che inviano migliaia di bagnanti in pieno giorno per portare a destinazione anche pochi granelli ciascuno, creando comunque un bottino molto grande.
Come spiega Nicholas Eftimiades, esperto di Cina ed ex ufficiale della Cia, si tratta di «un nuovo paradigma su come vengono condotte le attività di intelligence»: tattiche nuove e in parte sconosciute, che in qualche modo potrebbero apparire anche inefficienti e poco coordinate, dal momento che diversi ufficiali cinesi a volte lavorano allo stesso obiettivo. Ma le operazioni sono talmente diffuse che il più delle volte raggiungono comunque l’obiettivo, risultando ugualmente efficaci.
«Una stima dell’intelligence degli Stati Uniti suggerisce che le operazioni di spionaggio commerciali cinesi hanno rubato fino a 600 miliardi di dollari di proprietà intellettuale degli Stati Uniti ogni anno, anche se la Cina ha negato tali affermazioni», scrive il Financial Times. «L’Unione europea inveec ha stimato che il totale del furto di proprietà intellettuale ha un valore di circa 50 miliardi di euro ogni anno, e causa la perdita di 671mila posti di lavoro».