Misure di emergenzaLe proposte europee contro la crisi energetica

La Commissione lancia un tetto al prezzo dell’energia elettrica, un prelievo sugli extra-profitti e chiede di ridurre i consumi. Per ora niente riforma del mercato né price cap sul gas e i conti non tornano sui gettiti previsti

AP/Lapresse

Se quella con la Russia è una guerra energetica, come l’ha definita la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, l’Unione europea presenta il suo arsenale: quattro proposte con l’obiettivo di abbassare il costo delle bollette. Manca però quella che per molti resta un’arma fondamentale contro il caro energia: un tetto al prezzo del gas.

Le proposte della Commissione
Nessun effetto sorpresa per le misure annunciate al Parlamento di Strasburgo dal vice-presidente della Commissione Frans Timmermans e dalla commissaria all’Energia Kadri Simson. Ad anticipare i contenuti del pacchetto anti-crisi era stata la stessa Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione di fronte all’Eurocamera: riduzione dei consumi elettrici, tetto ai ricavi dei produttori di elettricità con fonti alternative al gas, tassa sugli extra-profitti delle compagnie energetiche e regolamentazione dei prezzi dell’energia elettrica.

La prima misura risponde alla logica secondo cui la riduzione della domanda abbasserà i prezzi. La Commissione propone di tagliare il consumo di energia elettrica di almeno il 5% in determinate fasce orarie considerate «di picco». Il target è obbligatorio, ma saranno gli Stati membri a individuare le fasce giornaliere a cui applicarlo e a studiare le misure da adottare, comprese eventuali compensazioni per chi rinuncia all’energia.

Obiettivo dell’esecutivo comunitario è che ogni Paese riduca la sua domanda complessiva di energia elettrica di almeno il 10% entro il 31 marzo 2023: secondo i calcoli si otterrebbe un risparmio di 1,2 miliardi di metri cubi di gas.

La Commissione prevede inoltre di applicare un tetto massimo ai ricavi dei cosiddetti «produttori inframarginali» di energia elettrica: quelli cioè che la ottengono da rinnovabili, nucleare, ma anche lignite, idrogeno o biocombustibil: molti di loro in questo momento vedono lievitare i propri guadagni, visto che le fonti utilizzate costano meno del gas.

Il massimale proposto è 180 euro/MWh: i ricavi che superano questa soglia saranno prelevati dai governi degli Stati membri e utilizzati per ridurre le bollette: più sale il costo dell’energia, più aumentano gli introiti statali. Per completare la misura, pensata per durare sei mesi, si invitano i Paesi a concludere «accordi bilaterali di solidarietà»: in questo modo che chi dispone di più aziende energetiche a cui attingere possa girare i proventi ai consumatori degli altri.

Un altro prelievo alle aziende private è quello previsto dal «contributo temporaneo di solidarietà» sugli extra-profitti generati dalle attività nei settori di petrolio, gas, carbone. Chi estrae queste materie prime ha beneficiato dell’aumento generalizzato dei prezzi, realizzando profitti «che non avrebbe mai nemmeno sognato», come ha detto la presidente von der Leyen e ribadito il suo vice Timmermans.

Per questo verrebbe versato, sempre nelle casse nazionali, almeno il 33% di quella quota degli utili del 2022 che eccedono un incremento del 20% sugli utili medi dei tre anni precedenti. Tecnicamente non si tratta di una tassa, hanno chiarito fonti della Commissione europea, quindi per la sua approvazione al Consiglio non è necessaria l’unanimità.

L’ultima delle soluzioni proposte è un intervento sulle regole del mercato dell’energia elettrica: in sostanza la Commissione propone nuove misure che consentirebbero di regolamentarne i prezzi, facendo così respirare famiglie e imprese. Visto che le soglie fissate potrebbero essere inferiori al costo di produzione, le aziende energetiche dovrebbero essere opportunamente compensate per ogni vendita «sottocosto».

Riforma rimandata
Come emerso dalla fila di domande dei giornalisti ai due commissari, sono molte le perplessità di fronte alle iniziative in questione. Il primo riguarda le stime dei gettiti dei due prelievi: quello sui «produttori inframarginali» dovrebbe generare 117 miliardi di euro e quello sulle aziende di combustibili fossili altri 25, scrive la Commissione.

Da questo conteggio deriva l’annuncio di von der Leyen al Parlamento europeo di raccogliere, grazie alle misure proposte, 140 miliardi di euro. Ma per i «produttori inframarginali» il calcolo è annuale, mentre la norma è almeno inizialmente concepita per durare solo sei mesi. In più si pone il problema della disparità di incasso tra i vari Stati membri, vista l’ineguale distribuzione delle compagnie energetiche sul territorio europeo e il mix energetico dei Paesi: l’Italia, ad esempio, produce il 50% della sua elettricità da gas e quindi avrebbe meno gettito a disposizione.

La commissaria Simson ha spiegato che la soglia di 180 euro/MWh potrà pure essere abbassata dalle normative nazionali, per allargare la platea e quindi recuperare più risorse, prima di fornire una risposta piuttosto zoppicante sulla riforma del mercato dell’energia, sbandierata dalla sua presidente nel discorso sullo Stato dell’Unione. La legislazione in merito arriverà all’inizio del prossimo anno, ha detto, tradendo un certo nervosismo.

Forse perché il suo dipartimento deve trovare un costante equilibrio tra posizioni «politiche» e necessità «tecniche», che riguardano il mercato dell’energia. Esempio più chiaro è il dibattito intorno al price cap sul prezzo del gas, desiderato da diversi Stati membri ma al momento non pervenuto tra le iniziative della Commissione, che saranno combinate in un unico testo legislativo da approvare a maggioranza qualificata dagli Stati membri.

Appuntamento al 30 settembre, giorno in cui i ministri dell’Energia si incontreranno nuovamente per discutere come fronteggiare la crisi in corso. Prima di allora, l’esecutivo comunitario potrebbe aggiungere nuove proposte nella lunga e complicata sfida per contenere l’aumento dei prezzi.

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