Psicodramma democraticoPaola De Micheli dice che nel Pd provano a silenziare la sua candidatura alla segreteria

«Siamo il partito che ha fatto più leggi a favore delle donne, ma poi le candidature a sindaco o presidente di Regione sono rarissime. E la colpa è anche della misoginia di alcune donne che, con un po’ di accidia, si sentono soddisfatte da un ruolo ancillare». Ora l’ex ministra vuole scalare il Nazareno, e per farlo non deve chiedere il permesso a nessuno. Nel dibattito interviene pure Occhetto: «A tutti coloro che si professano di sinistra: riunitevi in una stanza, guardatevi negli occhi e chiedetevi: vogliamo continuare a giocare a rubamazzetto?»

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

L’ex ministra Paola De Micheli è stata tra i primi esponenti Dem ad avanzare la sua candidatura per la segreteria del Partito democratico in vista del congresso annunciato da Enrico Letta dopo le elezioni. Una candidatura «vera», dice al Corriere, «anche se molti provano a silenziarla».

«Io ho ragioni potenti per candidarmi alla segreteria di un partito che è scalabile. Non sono sola, tante federazioni e circoli lavorano con me a un’idea diversa di Pd, per mettere molto più potere decisionale nelle mani degli iscritti. Un cambiamento radicale, che illustrerò nella mozione e in un libro», annuncia. «Sono una donna grintosa, concreta, felice, che va al punto. Ho una visione di sinistra del Paese. Quando vado a correre o al supermercato le persone mi dicono “Non mollare!” e si complimentano per il coraggio. Mai una donna si era candidata a guidare il Pd».

Rosy Bindi, «ci ha provato, unica nella storia. Ora provo io e dicono “Paola farà il ticket con un uomo”. No, facciano il ticket con me, perché io sono già stata vicecapogruppo e vicesegretaria». Oltre che sottosegretaria, ministra, commissaria al terremoto. «Ho molte idee per cambiare il Pd, a partire da un’organizzazione più concentrata su iscritti e volontari», spiega.

De Micheli ha detto che si candida «contro il patriarcato che governa il Pd con la complicità delle donne». Nell’intervista conferma: «Siamo il partito che ha fatto più leggi a favore delle donne, ma poi le candidature a sindaco o presidente di Regione sono rarissime. E la colpa è anche della misoginia di alcune donne che, con un po’ di accidia, si sentono soddisfatte da un ruolo ancillare».

De Micheli dice che non deve chiedere il permesso a nessuno per candidarsi, tantomeno a Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna. «Io almeno l’ho detto e non mi candido solo se vinco. Mi candido, poi vinco. A furia di marcarsi a uomo finiranno per spaventarsi e vincerò io». In ogni caso, precisa, «l’unica corrente a cui ho partecipato è stata quella di Letta, poi ho votato Cuperlo e Zingaretti».

Contro «un’avversaria così aggressiva e suadente» come Meloni, spiega però De Micheli, «bisognava fare una campagna elettorale corpo a corpo». Letta «ha perso la sua freddezza quando è caduto Draghi, forse pensando bastasse il prestigio del premier. Non abbiamo capito la sofferenza del Paese e la reazione alla sconfitta è stata un po’ gattopardesca. Comunque è finita un’epoca».

Ora, scommette, «lei sarà la prima donna premier e io la prima segretaria del Pd, guiderò l’opposizione e torneremo a vincere. Sarò l’anti Meloni perché mi preoccupa molto il modello dei governi ungherese e polacco, che comprime le diversità in favore di una semplificazione deteriore».

È arrivato il momento di tagliare il cordone con i padri nobili del Pd, dice. A Veltroni, Bersani, Prodi, D’Alema «voglio bene e il Pd deve loro molto. Ma adesso tocca alle donne e agli uomini nati tra i ‘70 e i ‘90, che si sono impegnati per tenere in piedi il Pd. Ne avremo cura amorevole, determinata e materna». Il Pd «ha una funzione storica molto importante, in Italia e in Europa. Io la Ue la voglio diversa e migliore, Giorgia Meloni non la vuole. La sfido, facciamo in Parlamento un patto per il lavoro e ci troverà. Non ho ancora nessun altro da sfidare».

Ma i consigli al futuro Pd arrivano oggi da uno dei leader storici della sinistra, Achille Occhetto, l’ultimo segretario nella storia del Pci, colui che trasformò il partito nel Pds con la svolta della Bolognina. Alla Stampa dice: «I capicorrente hanno già iniziato le grandi manovre tattiche, che non servono al partito. Se è vero che la prima cosa a cui pensare è la ridefinizione di una identità più complessiva, fino ad oggi la cosa più sbagliata è stata quella di concepire il Pd come soggetto isolato. Da una ventina d’anni abbiamo un’Italia divisa in due come una mela, ma il confine tra destra e sinistra non si è più spostato. Gli scontri passionali e i passaggi di voto si sono consumati all’interno dei due campi e a sinistra non si è più posto il problema di spostare il confine dell’area democratica».

Per Occhetto serve un fronte largo contro i reazionari: «Consentitemi un consiglio a Letta, Conte, Calenda, Fratoianni e a tutti coloro che si professano di sinistra: riunitevi in una stanza, guardatevi negli occhi e chiedetevi: vogliamo continuare a giocare a rubamazzetto? Oppure vi ponete il problema più serio? In Italia e in Europa è in atto una nuova ondata reazionaria, che non sarà fascismo, ma che è diversamente pericolosa. Io credo che sia urgente un esame di coscienza». Perché «abbiamo forze a sinistra del Pd, che dicono: i Democratici sono incapaci di parlare con gli umili e con gli operai, ma poi si va alle elezioni e quelle forze non intercettano quel voto, che invece consolida la destra». Il problema è che «il Pd non ha un’anima», per questo ha finito per definire Conte il leader del fronte progressista.

E un esempio della crisi a sinistra, secondo Occhetto, sono le mancate manifestazioni di piazza contro la Russia e ora la mobilitazione “indistinta” per la pace guidata dal leader dei Cinque Stelle: «Io sono per il disarmo generale, per la messa al bando di tutte le armi distruttive ma trovo molto curioso che si pensi di iniziare il disarmo partendo dall’aggredito. Un atteggiamento parziale che finisce per fare il gioco degli ultrà atlantisti. Il vero pacifismo chiede il cessate il fuoco all’aggressore! Durante la guerra del Vietnam, il giusto slogan in tutto il mondo era “Yankee go home!”. Trovo singolare che non sia nessun movimento che oggi dica: “Putin go home”».

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club