IBL Libri, la casa editrice dell’Istituto Bruno Leoni, ha di recente pubblicato il nuovo libro di Giuliano Cazzola, “L’altro 1992. Quando l’Italia scoprì le riforme”. Il libro racconta l’esperienza del primo Governo Amato, che nei drammatici mesi che videro gli attentati a Falcone e Borsellino e l’avvio di “Mani Pulite”, avviava un percorso di riforme destinato ad aprire una nuova fase nella storia politica dell’Italia.
Pubblichiamo di seguito un brano tratto dall’introduzione del libro, che verrà presentato giovedì 24 novembre a Milano presso la sede dell’Istituto Bruno Leoni. Insieme all’autore interverranno Franco Debenedetti, Alessandra Del Boca e Mario Monti. A Roma, invece, il libro verrà presentato il prossimo 12 dicembre. Con l’autore, parteciperanno Giuliano Amato e Tiziano Treu.
La slavina ebbe inizio il 17 febbraio del 1992 con l’arresto del socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, mentre intascava una “mazzetta”. La più recente saggistica è tornata agli avvenimenti di quel periodo riconoscendo i limiti e gli arbitri dei metodi di “fare giustizia” da parte delle procure a cominciare da quella di Milano, che divenne la procura “più uguale” delle altre, ammettendo – da parte degli stessi protagonisti – la costituzione di un circolo mediatico-giudiziario che concertava le linea di condotta; in questo modo sono emerse le contraddizioni di indagini che si concentrarono con particolare accanimento su alcuni partiti e i loro leader, magari trascurando o sottovalutando altre piste. Si è trattato di un lavoro di ricerca tardivo, ma di revisione importante, non solo perché condotto con maggiore obbiettività e con un minimo di pietas che allora fu negato a quanti furono coinvolti in quell’operazione, ma anche perché in quei mesi la stessa classe politica che veniva messa alla gogna iniziava un percorso di riforme che apriva una nuova fase nella storia politica del Paese.
Protagonisti di tale svolta furono il governo presieduto da Giuliano Amato e il parlamento degli “inquisiti”, che non si sottrassero dall’assumersi pesanti responsabilità nell’interesse del Paese in un momento di gravissima crisi, benché, ogni giorno, calasse su alcuni di loro la scure dell’avviso di garanzia sempre “strillato” sulle prime pagine dei quotidiani e in apertura dei Tg, mentre erano soliti stazionare davanti al Palazzo di Giustizia milanese dei veri e propri presidi permanenti. Da allora iniziò la trasformazione di un atto di garanzia per l’indagato in una condanna già definitiva. Tangentopoli offuscò il lato virtuoso di quegli anni difficili, che fu espunto dalle cronache perché niente doveva essere salvato di una classe politica destinata all’infamia, in quanto corrotta, privilegiata e intrallazzona. Non si poteva riconoscere a essa l’aver fatto anche “cose buone”, tanto più che l’opinione pubblica non era pronta a misure rigorose come quelle che furono adottate in quei mesi.
Per anni, l’Amato del 1992 non ha potuto prender posto nella galleria degli statisti gloriosi. Sulla sua compagine pesavano la condanna che il nuovo regime aveva decretato per il vecchio, la maledizione di Mani pulite, la colpa di un risanamento finanziario condotto con l’accetta e senza guardare in faccia a nessuno. Così si era arrivati a falsificare non solo le pagine, ma persino la cronologia della storia patria. La nuova era (quella del latte e del miele, delle virtù repubblicane, dell’intelligenza applicata alle riforme) prendeva l’avvio, nelle cronache ufficiali, col governo Ciampi, la personalità che era succeduta al Dottor Sottile a Palazzo Chigi e che, per la prima volta, avrebbe avuto fior di ministri ex comunisti se non fosse capitato quel maledetto 29 aprile 1993, un incidente di percorso imprevisto, ovvero il voto della Camera che aveva respinto l’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi e che aveva indotto Achille Occhetto a chiedere le dimissioni di Vincenzo Visco e Augusto Barbera. Ma questa è tutta un’altra storia. Forse di un’occasione sprecata.
La rimozione del ruolo svolto dal governo Amato è arrivata ai nostri giorni. A gennaio di quest’anno, quando si parlava dei possibili candidati al Quirinale, tra i quali anche il Dottor Sottile, dell’azione dell’esecutivo da lui presieduto si ricordava solo la sorpresa del taglio del “6 per mille” sui conti correnti, come se si trattasse di un impeachment preventivo e permanente. Ma segnali di oblio, molto più raffinati e profondi, si sono riscontrati in un’altra circostanza. Chi scrive lo ha notato in una occasione particolare: la formazione della maggioranza di unità nazionale e del recente governo presieduto da Mario Draghi. In quei giorni di giustificata euforia (poi rientrata nel giro di alcuni mesi), le cronache si accanirono nella ricostruzione di una sorta di albero genealogico dei casi di buongoverno. La ricerca non poteva che partire da Palazzo Koch (l’edificio con le palme di via Nazionale) sede della Banca d’Italia. Si sarebbe potuto risalire a Luigi Einaudi, uno dei “padri” della ricostruzione e del boom economico, che divenne il primo presidente della Repubblica, inaugurando un cursus honorum che sembra essere lo sbocco naturale degli ex governatori, chiamati, nelle ore più buie, a salvare il Paese.
Nel passare in rassegna i governi di alto profilo del recente passato, i commentatori hanno avuto una grave e ingiusta dimenticanza. Nessuno ha ricordato l’azione del primo governo di Giuliano Amato. Fu l’ultimo rantolo della Prima Repubblica (ora oggetto di una rivalutazione postuma persino eccessiva) ormai sottoposta allo smantellamento per via giudiziaria. Eppure, quell’esecutivo, operò con coraggio per consegnare ai posteri un’Italia meno sofferente di quella che gli era stata affidata. Chi scrive è convinto che il coraggio prima o poi paghi sempre. E che all’uomo di Stato sia chiesto di avere una visione di prospettiva, di saper guardare più lontano degli altri. Anche per conto di chi insiste a non allontanare gli occhi dalla punta dei piedi. Certo, a volte diventa un’imperdonabile colpa aver compreso prima degli altri la via da seguire. Purtroppo – come Eschilo fa dire al suo Prometeo incatenato – parlare è dolore. Ma anche tacere è dolore.