La mano di BuddhaC’è un diamante tra gli agrumi

Alessandro Magno lo introdusse in Europa dall’Asia ma soltanto con l’uso liturgico degli ebrei il cedro trovò diffusione in tutto il Mediterraneo. Oggi, oltre agli scopi alimentari, viene coltivato per ricavare un olio essenziale e altri elementi usati nell’industria della cosmesi

Foto Tivasee - Pexels

Santa Maria del Cedro, nel Cosentino, non è nome dato a caso. Qui, dove cresce la profumatissima varietà “diamante” e si concentra il 98% della produzione nazionale di questo agrume, si trovano le migliori cedriere della Calabria, anzi, del mondo. Sono appezzamenti a volte anche molto piccoli, per lo più a conduzione familiare, nascosti nella fitta vegetazione della zona, un paradiso terrestre collinoso di olivi, alberi da frutto e macchia mediterranea.

Qui si trovano anche le tre cedriere scelte nella seconda metà dell’800 da Tassoni per selezionare i frutti creare la famosa cedrata, al posto dell’originario cedro Salò che rende ancora omaggio nel nome alle ormai quasi estinte piantagioni sul lago di Garda.

Sono, da sempre, coltivazioni di nicchia, soggette a temperature ferree, che richiedono un clima molto mite, ma non torrido, umido il giusto, stabile in inverno tra i 12° e i 15° C e in estate tra i 23° e i 25, terreni particolarmente ricchi e ben drenanti e una potatura e un’ombreggiatura rigorose.

In Italia, oltre che lungo la Riviera dei Cedri, queste particolari condizioni si trovano solo in Sicilia nella provincia di Palermo, dove il frutto è noto come “cedro di Trabia”. All’estero è poco diffuso, benché sia antichissimo, capostipite insieme al pomelo e al mandarino, di tutti gli agrumi, introdotto in Europa dall’originaria Asia già da Alessandro Magno. È coltivato solo in Grecia, in Etiopia e in Israele, ma in quantità e di qualità non comparabili con la varietà calabra.

Non a caso, in autunno, quando gli ebrei celebrano la festa agricola del fine raccolto, Sukkoth, ovvero festa delle Capanne, che richiede la presenza per la liturgia di etrog, cedri, di perfette proporzioni e aspetto, i rabbini di tutto il mondo arrivano proprio qui a cercare e ordinare i frutti migliori, lisci, a forma di diamente, non troppo grandi, per creare il lulàv, la composizione da offrire durante le preghiere ai quattro punti cardinali, che comprende un cedro, un ramo di palma, due di salice, tre di mirto. Una tradizione che arriva da lontano: già per i monaci buddisti il cedro era simbolo di ricchezza, felicità e longevità, in particolare la curiosa varietà detta Mano di Buddha, dalla forma singolarmente frastagliata.

Ma è proprio grazie all’uso liturgico ebraico se i cedri, inizialmente considerati non commestibili, si sono diffusi in tutto il Mediterraneo e sono diventati la base per molti impieghi, dalla cucina alla cosmesi, senza trascurarne gli aspetti benefici per la salute (non a caso il nome latino è citrus medica). Ricchi di vitamina B1, C e di flavonoidi, poco calorici, si possono mangiare crudi, tagliati a fettine sottili perché la parte bianca, a differenza di quella dei limoni, non è amara, in una variante della classica insalata siciliana di finocchi e arance. Ma anche nelle insalate di riso, di pasta o di verdure, o con il pesce, la scorza tritata aggiunge un aroma delicato e raffinato.

Ci sono, ovviamente le marmellate, gli sciroppi e i canditi, da quelli amati-odiati del panettone, alla pastiera napoletana, ma anche le nuove varianti della pasticceria calabrese come il Dolce Matto, o quelle tradizionali, come le foglie di cedro cotte e arrotolate, ripiene di uva passa e scorza di cedro a pezzi.

E ancora, dal cedro si ricava un olio essenziale efficace contro la cellulite ed adoperato nell’industria dei cosmetici, mentre il succo è altamente digestivo e ricco di sali minerali. Vale la pena, ad esempio, provarlo, al posto del solito limone, per marinare il salmone.

Infine, c’è la cucina calabrese del territorio che utilizza il cedro in abbinamenti dolci e salati, dall’olio aromatizzato al liquore da fine pasto. Un nome fra tutti, il ristorante Tarì di Scalea, in una piazzetta con vista super panoramica, con piatti di terra e di mare in omaggio alla duplice natura della Calabria.

Senza dimenticare il Museo del Cedro che dalla coltivazione, alle varietà, all’iconografia racconta tutto, ma proprio tutto su questo agrume e sui suoi viaggi nel mondo.

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