Cos’hanno in comune teatro, ristorazione e mixology? Apparentemente niente. Eppure un fil rouge tra questi ambiti c’è ed è molto più solido di quanto sembra, sostenuto da un legame che va ben oltre lo storico accostamento cronologico aperitivo-spettacolo-cena.
Le tre arti dialogano in modi sempre nuovi, ora plateali ora da scandagliare attraverso la storia scritta dai (o nei?) menù e raccontata attraverso gli ingredienti. E sono sempre di più gli chef e i bartender disposti a farsi autori di creazioni che portano il gusto a un livello superiore, trasformandolo nell’evocazione di un concetto o di un’ispirazione, nella celebrazione di valori atavici e intramontabili, ma anche di una realtà catartica e insieme radicata nell’attualità di ogni epoca. Esattamente come lo spettacolo sul palcoscenico.
Uguali ma diversi, nell’eterno ripetersi dell’unicità
Trame senza tempo, che si muovono tra la classicità storica e il mito, scenari da sogno o allestimenti essenziali che puntano dritto all’inconscio, lasciando che sia la magia dell’immediatezza a rinverdire una performance sempre uguale a se stessa e sempre diversa, grazie al dialogo irripetibile che avviene tra autore, attori e spettatori. Questo è il teatro. E questa è anche la cucina: un intreccio di competenza e ispirazione dello chef, piatti radicati in una tradizione culinaria mai anacronistica e sapori sempre pronti a rinnovarsi, sulla scorta di nuove esperienze e suggestioni, che vivono solo nel qui e ora di ogni servizio (e di ogni pubblico). L’obiettivo? In entrambi i casi rinnovare il piacere per qualcosa che, passando attraverso il giudizio razionale, va oltre per raggiungere l’istinto, la dimensione del desiderio inconscio e dell’appagamento inesprimibile da qualsiasi recensione.
Sapori dietro le quinte
Oggi è normale considerare gli chef come “artisti dei fornelli”, geni creativi depositari di un talento nobile, capace di indurre un’estasi paragonabile a quella delle altre arti visive e performative: beni culturali immateriali che si concretizzano in forma effimera, irripetibile, non tangibile (come musica, danza, teatro), che si caratterizzano solo nel momento in cui vengono realizzati, nell’interazione col pubblico, in forma diversa ogni volta. In molti apprezzano questa rinnovata fusione tra cena e performance, che prende forma in location particolari, attraverso menù e cocktail ispirati al cartellone e pensati per rendere omaggio ai grandi interpreti della cultura teatrale e lirica, ma soprattutto per portare in tavola (o sul bancone) lo stesso senso di “sospensione” e le stesse suggestioni proprie del palcoscenico.
Buona la prima: la quarta parete cade a tavola
Un esempio del retaggio wagneriano dell’“unità delle arti” e del legame tra palcoscenico e cucina è rappresentato dai menù speciali che gli artisti dei fornelli e dello shaker di storici ristoranti dedicano alle cene di gala organizzate per celebrare le aperture della stagione nelle città in cui la cultura lirica e teatrale è più radicata.
A Milano la tradizione si ripete ogni 7 dicembre, in occasione della prima della Scala, e tra i più significativi esempi di questo ci sono le due specialità realizzate
Nel 2012 l’executive chef milanese Manuel Poli del ristorante Il mercato del pesce ha reso omaggio all’opera romantica Lohengrin di Richard Wagner, eseguita dal maestro Barenboim, realizzando un menù a base degli ingredienti legati alle origini dell’artista, stagionali e facili da reperire. Sono nati così i “cestini di Wagner”; uno di soufflé e l’altro di mousse di patate, profumati al cren con speck croccante, con ali di parmigiano (simbolo del cigno che è emblema del cavaliere Lohengrin) e una decorazione blu sul piatto (simbolo del fiume dove si ambienta l’opera) e da foglie trite (simbolo di Lipsia, la città dei tigli, dove nacque il compositore).
Nel 2016, in occasione della prima dell’opera Madama Butterfly di Giacomo Puccini, Giovanni Bon, chef del Savini di Milano, ha ideato quattro portate dedicate ciascuna a uno dei protagonisti della lirica italiana e frequentatori abituali dello storico ristorante: a Maria Callas l’antipasto di rognone trifolato al Porto con crema di polenta e germogli di salvia peruviana; a Giuseppe Verdi il classico risotto alla milanese; a Giacomo Puccini il piccione royale cotto al caramello salato con castagne; ad Arturo Toscanini il dessert pera cotta al Barolo Chinato e grappa con cioccolato e sbrisolona.
Nel 2018 è toccato allo chef Daniel Canzian, del ristorante Daniel di Milano preparare la cena per 500 ospiti curata dal Caffè Scala e ispirata all’Attila di Giuseppe Verdi. Il percorso gastronomico ha spaziato tra cucina meneghina e parmigiana, Adriatico, terre friulane di Aquileia, Roma e Lazio, seguendo le ambientazioni dell’opera ma anche le preferenze gastronomiche del compositore: come antipasto mousse di broccoletti, cavolo viola e mele, toc’ in braide friulano (“intingolo nel podere” o “polente cuinciade” ovvero polenta condita), panzerotto alla romana con cacio e pepe e anolino alla parmigiana in brodo di cipolle; a seguire un omaggio a Verdi con il risotto con stimmi di zafferano e scaglie di panettone; poi guancetta di vitello in salsa italiana con mele cotogne e melagrana; infine sfera di cioccolato fondente con salsa calda ai frutti esotici e praline da meditazione.
Nel 2019 (prima dello scoppio della pandemia) è stato Enrico Bartolini, chef patron del ristorante Enrico Bartolini al Mudec a firmare il menù della cena di gala per la prima della Tosca al Teatro alla Scala. Un menù di quattro portate: antipasto di melanzana alla brace, minestra di cavolo nero e piccione, ceci seppioline e cacciucco; primo (denominato “omaggio a Cavaradossi”) a base di risotto alle rape rosse e salsa al gorgonzola; per secondo la tenerezza di vitello con salsa affumicata, curcuma e millefoglie di funghi e patate; infine il dolce: un “albero di arance” con gelato al cioccolato ai tre fondenti e zabaione al rum.
Sconfinamenti artistici e menù d’autore
Quello che in pochi sanno è che molti grandi interpreti dell’opera italiana e straniera non erano solo buongustai cultori della buona tavola, ma anche dei veri e propri esperti di cucina, in alcuni casi ideatori di grandi ricette che ancora oggi si ritrovano nei menù di alcuni ristoranti tradizionali, ma ispirano anche gli chef che portano avanti un’idea di cucina più moderna e dinamica.
Giuseppe Verdi, l’autore del Nabucco, del Rigoletto, del Trovatore e della Traviata, intendeva il cibo come “consolazione per il corpo e per la mente” ed era un amante dei piatti semplici a base di prodotti della terra preparati in modo artigianale. Gli stessi che si ritrovano nella carta del ristorante Nabucco, nel cuore di Brera, che dopo 50 anni ha recentemente cambiato veste, continuando a offrire i profumi e i sapori della migliore tradizione Milanese (come il classici mondeghili e la costoletta alla milanese) ma rinnovandoli grazie all’apertura verso tecniche di preparazione moderne (per esempio l’ossobuco del risotto diventa “jus”) e al pairing ricercato con i cocktail a tutto pasto.
Gioachino Rossini, noto soprattutto per Il barbiere di Siviglia e il Guglielmo Tell fu amante di cibi e vini al punto da essere definito “principe della gastronomia”. Oltre a comporre brevi brani di “musica da tavola” per pianoforte intitolati Antipasti e Desserts, fu ideatore di sette piatti eponimi che si ritrovano ancora nella cucina regionale marchigiana e in quella francese: dall’insalata alle uova, dalla sogliola al filetto “alla Rossini”, dai macheroni al consommé di coda di bue al tartufo, fino agli spaghetti “alla Scala” e alla torta “Gugliemo Tell” un dolce a base di mele, servito in occasione della prima a Parigi nel 1829. Da non dimenticare infine il noto aperitivo a base champagne (o prosecco) e purea di fragole. Al compositore gourmet è dedicato il menù del Rossini Bistrot (a Pesaro), in cui lo chef Cesare Gasparri, allievo di Gualtiero Marchesi riporta in tavola i gusti del musicista, non sempre legati al territorio bensì ispirati alle eccellenze di altre regioni italiane e alle corti Europa, proponendoli attraverso un percorso sensoriale che varia ogni settimana.
Giacomo Puccini, autore di La bohème, Tosca, Madama Butterfly e Turandot, era e una buona forchetta e si divertiva a inserire nelle sue opere brani brani in cui si canta il vino e si fanno brindisi. Ideava personalmente ricette come la “pasta con le anguille” o le “aringhe coi ravanelli” e amava organizzare con gli amici allegre tavolate a base di fagiani arrosto, folaghe rosolate e pernici fritte. A lui si ispirano i menù di molti ristoranti e trattorie toscane, soprattutto quelli che circondano la casa natale del compositore a Lucca, ma nel 2014, in occasione della 47esima Stagione Lirica del Teatro Pergolesi di Jesi, molti ristoranti e bar cittadini hanno aderito all’iniziativa della Fondazione Pergolesi Spontini “Con l’Opera si mangia!”, rendendo omaggio alla Tosca con menù (come il “E io venivo a lui tutta dogliosa-Floria Tosca” dell’Hostaria Dietro le Quinte o il “Vissi d’Arte” dell’Osteria I Spiazzi), pizze (“Floria&Mario” e “Scarpia” del Ristorante Gatto Matto e “Pastorello” e “Recondita armonia” della pizzeria Settimo Cielo) e cocktail dedicati (“L’Altra: Giulia Attavanti”, alcolico dal colore “cilestrino” a base di basilico, ananas e vodka; “Lei: Floria Tosca”, alcolico a base di mirtillo, gin e mandarinetto del Caffè imperiale; il “Diabolico Scarpia” alcolico con un pizzico di peperoncino e pepe, e “Il bacio di Tosca” analcolico ai frutti rossi al Pergolesi Enocaffè, “Spoletta” e “Sciarrone” al Bar del Teatro).
Giovan Battista Pergolesi, celebre per le opere teatrali La serva padrona e lo Stabat Mater è legato a un piatto caratteristico di Jesi, sua città natale: la “coratella d’agnello con cipolla”, un’antica ricetta della cucina povera ancora oggi presente nella tradizione culinaria di diverse regioni del centro Italia, dalla Toscana all’Umbria, dal Lazio alle Marche, mentre a Vincenzo Bellini rimanda la storia affascinante ma controversa della pasta alla Norma, un piatto tipico della cucina siciliana: secondo alcuni fu il commediografo catanese Nino Martoglio, a esclamare “È una Norma!” per paragonare la bontà di un piatto di pasta condito con pomodoro, melanzane fritte, ricotta salata grattugiata e basilico fresco alla soavità dell’opera di Bellini. Un’altra versione attribuisce l’ideazione della ricetta a un cuoco siciliano, che volle risollevare l’umore al compositore, dopo le pesanti critiche ricevute in occasione della prima della Norma andata in scena alla Scala di Milano il 26 dicembre 1831. Rivisitata da chef Giuseppe Raciti, in occasione di Emergente Chef Sud 2015, e ribaltata letteralmente dallo chef Pino Cuttaia, due stelle Michelin del ristorante La Madia a Licata, in occasione della rassegna Cibo a Regola d’Arte 2022, nella sua versione originale si è recentemente confermata tra i dieci piatti di pasta più iconici della cultura italiana e più amati al mondo secondo l’Unione Italiana Food.
Gaetano Donizetti, autore del melodramma Gianni da Parigi in cui vi è la scena cosiddetta “dei perniciotti” paragonabile a un vero e proprio menù musicale, è anche il dedicatario della Torta del Dunizet, una ciambella simile alla Margherita ma arricchita con frutta candita e Maraschino. Secondo la leggenda questo dolce sarebbe stato commissionato da Rossini al suo chef personale per alleviare le pene d’amore dell’amico; in realtà, la sua ideazione avvenne solo nel 1948 a opera di Alessandro Balzer, per celebrare il centenario della morte del compositore bergamasco. Al lui è dedicata la proposta gastronomica del ristorante Don Pasquale diretto dall’executive chef Domenico Boschi, all’Hotel Maalot di Roma, il cui menù è disegnato come fosse un programma d’opera, mentre in tavola si abbinano sapori tradizionali romani (supplì, parmigiana di melanzane, spaghettone all’amatriciana, baccalà fritto e carciofi, Vitello alla Fornara e broccoli) con la creatività contemporanea delle preparazioni e della mise en place a base di padellini e tegamini d’acciaio, con manici in ottone vecchio stile.
Al livornese Pietro Mascagni, autore della Cavalleria Rusticana (ma anche della Danza dei gianduiotti in onore della sua passione per il cioccolato), è invece dedicato il classico cacciucco, l’emblema gastronomico di Livorno che il compositore amava aromatizzare con salvia e zenzero, ma anche l’Iris, un dolce fritto da servire per la prima colazione, ripieno di crema alla ricotta, cioccolato fuso e a pezzetti, ideato dal pasticciere Antonio Lo Verso in occasione del debutto a Palermo dell’opera omonima.
Celebre soprattutto per I promessi sposi, Alessandro Manzoni fu anche autore delle due tragedie Il conte di Carmagnola e Adelchi e soprattutto un gran buongustaio e appassionato di viticoltura. Fra le ricette di carne prediligeva la testina di vitello glassata, ma amava soprattutto i dolci, in particolare il panettone e la cioccolata, il caffè e il vino. In suo onore, nel 2021 è andata in scena “Il Desco di Alessandro Manzoni”, un’esperienza gastronomica in quattro menù ideati dagli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani e realizzati da Dario Pisani e Alessandro Laganà di Vòce, Aimo e Nadia e da gustare nel giardino della casa Manzoni a Milano. Le ricette si sono ispirate alle opere, alla vita dell’autore tra Lombardia, Toscana e Parigi e ai testi culinari in cui egli descriveva come lavorare gli ingredienti.
Tra i piatti proposti: polenta di sorgo, insalata di frutta e verdura con formaggio “grande” lodigiano (uno dei primi Grana Padano) e remulass (rafano), polpette di quinto quarto con marinatura al miele, prugne e noci di Como; ris giald (riso giallo, con una razione doppia di zafferano); ravioli di farina di sorgo con borragine, maggiorana e raveggiolo; poi anatra al miele della Valtellina accompagnata da una tarte tatin di sedano e rabarbaro; infine dessert come la rasumada, antenato dello zabaione abbinato a fragole e tamarindo e il Cioccolatte sotto forma di praline di cioccolato fondente ripiene di gelato al latte variegato al cacao.
Ma a rendere stabilmente omaggio al più grande esponente del romanticismo italiano ci pensano Don Lisander ristorante storico aperto nel 1947 che deve il suo nome all’appellativo con cui i milanesi chiamavano affettuosamente Alessandro Manzoni e ancora oggi mantiene in menù alcuni piatti a base di ingredienti cari allo scrittore, e The Manzoni, un ristorante a due passi dalla Scala, inaugurato nel 2019 e dal 2022 guidato dallo chef Giuseppe Daniele, che ha mantenuto in carta alcuni dei cibi più amati da Alessandro Manzoni (come la polenta, il risotto, il Parmigiano, i prodotti dell’orto, la selvaggina e il cioccolato), ma soprattutto con il nuovo menù autunnale (“Magnete”) ha espresso la volontà di trasformare il pasto in un intrattenimento per tutti i cinque sensi, che attragga i commensali e conquisti il palato e la mente (grazie al profumo e al cromatismo dei piatti, ma anche alla seduzione del design, della luce e degli arredi), rendendo l’esperienza gastronomica in un ricordo indimenticabile grazie ad abbinamenti insoliti e talvolta prepotenti e senza compromessi: capriolo con polenta fritta, spugnole e foie gras; ravioli del plin con ripieno di faraona e champignon su crema di nocciola; lepre à la Royale; sorbetto di cetriolo, crema di agrumi e animelle fritte su zucchine trombetta marinata agli agrumi; gelato alla ricotta ricoperta da una gelatina di barbabietola al profumo del gin.
Guardando al teatro più recente, Eduardo De Filippo ha ispirato il nuovo menù del ristorante pizzeria Galleria Navarra di Napoli, che ha riaperto dopo cinque anni con un’offerta culinaria a base di piatti tipici di mare e di terra, ingredienti stagionali e veracità partenopea, ridisegnata dallo chef Antonio Sorrentino e dal maestro pizzaiolo Davide Civitiello. Insieme alla pummarulella e allo scarpariello, il vero piatto icona del nuovo menù è il saponariello, uno spaghetto semplice con aglio, olio, olive nere, capperi e pangrattato che il cavalier Navarra preparava all’amico De Filippo quando si fermava per il pranzo.
Altri omaggi da gustare
La lista dei piatti legati alla musica operistica potrebbe proseguire con una serie di ricette dedicate ai grandi cantanti: La poularde Adelina Patti, Il chicken Tetrazzini e Le pesche Melba, La Diva Renée, la torta di Maria Callas e la ricetta di uno dei suoi piatti preferiti, i Bigoli con ragù d’anatra alla veneta, i Bucatini alla Caruso e il famosissimo cocktail dal tipico color verde smeraldo, a base di vermouth secco, gin e crema di menta, dedicato al tenore italiano. Lo stesso vale per i piatti “musicati” dai compositori internazionali: Johann Strauss compose una cotolekt-polka per esaltare la famosa cotoletta impanata (milanese o viennese?); Wolfgang Amadeus Mozart celebrò il cioccolato nel Don Giovanni e nel dramma giocoso Così fan tutte; Richard Strauss scrisse il balletto Schlagobers, i cui giovani protagonisti entrano in pasticceria per ordinare cioccolata e panna montata; Johann Sebastian Bach si divertì a glorificare la sua bevanda favorita nella Cantata del caffè; Antonio Vivaldi amava il risotto in tutte le sue declinazioni, tanto che alla sua celebre opera Le quattro stagioni si sono ispirate quattro interpretazioni venete di questo piatto ancora presenti nei menù lagunari: il riso e cavolfiore per l’Inverno; il “risi e bisi” (portata d’obbligo il 25 aprile, giorno di San Marco patrono di Venezia) per la Primavera, risotto alle seppie per l’Estate; il risotto ai finferli e prosecco per l’Autunno.
Ma un altro merito va riconosciuto a Domenico Barbaja, garzone e cameriere, poi titolare del rinomato Caffè dei Virtuosi a pochi metri dalla Scala e capo di numerose imprese legate al mondo teatrale: ideò la Barbajada, una bevanda a base di caffè, cacao amaro, zucchero e panna montata: l’ideale prima o dopo un appuntamento a teatro nelle fredde serate milanesi!
Mangiare in teatro o…“teatro da mangiare”: l’ultimo trend è il dinner-theatre
Oggi il binomio cibo-spettacolo si arricchisce di sempre nuove insegne, menù dedicati e spazi-limbo creati apposta per mangiare a teatro o per portare la recitazione dentro il ristorante. L’obiettivo? Creare un’esperienza coinvolgente tout court che mescoli sacro e profano, realtà e magia, gusto e sensazione, in una dimensione sospesa, che esclude la realtà esterna. Tra i luoghi in cui vivere questa suggestione c’è Il Piccolo Café & Restaurant, situato Chiostro Nina Vinchi dello storico teatro milanese da cui prende il nome, un locale dal mood contemporaneo, in cui l’unico tributo esplicito del menù alla scena è rappresentato dall’“Insalata Strehler”, ma dove l’allestimento sobrio della sala e la regia informale ma raffinata del servizio sono pensati per trasformare ogni pasto (dalla colazione alla cena, passando per il brunch) in un’esperienza unica paragonabile a quella sperimentata in platea.
Anche Tamo Bistrò, il nuovo spazio dedicato food all’interno del Teatro Arcimboldi è concepito per creare una vera e propria “messa in scena”, in cui luci, sipari e oggetti fanno da cornice a un menù sushi d’autore creato ad hoc e firmato da Roberto Okabe (già chef di Finger’s Garden nel capoluogo lombardo e, da poco, anche di Finger’s Beach a Porto Cervo). I piatti si rinnovano ciclicamente, seguendo l’alternarsi delle stagioni: metereologiche, teatrali e creative di chi sta in cucina e unisce il rigore e la leggerezza nipponici e il calore e il sapore dei piatti brasiliani e degli ingredienti mediterranei, con l’obiettivo di suscitare emozioni sempre nuove a cui abbandonarsi piacevolmente a pranzo e a cena.
Infine, nel 2021 è nato il Parenti Bistrot, un progetto di Ugo Fava e Marco Giorgi (manager di Gud Milano), che trasforma il foyer e la sala Café Rouge del teatro Franco Parenti in uno spazio conviviale per l’aperitivo “pre-spettacolo” o la cena “post”, con arredamento minimal, accenti che richiamano i velluti borgogna di palchetti e delle poltrone in platea e piatti milanesi doc preparati dallo chef stellato Stefano Cerveni, con qualche variazione regionale e stagionale, omaggio alla regista teatrale André Ruth Shammah.
…o recitare tra cucina e sala
Un approccio diverso è quello adottato da Federico Rottigni, chef dall’anima ribelle, che dopo molte esperienze in grandi cucine, a Milano ha da poco aperto Sensorium, uno spazio metafisico dall’allestimento minimal in cui vanno in scena cene immersive pensate come vere e proprie “performance sensoriali”, percorsi gustativi unici di sette portate e della durata di due ore , in cui tutte le convenzioni vengono abbandonate e gli ospiti possono sperimentare menù (due all’anno) in cui non c’è più distinzione tra dolce e salato, né una sequenza prestabilita delle portate, abbinate in modo originale con i vini alchemici e biotici di Giorgio Mercandelli.
L’opera nel bicchiere
Riaperto nel 2019 come evoluzione de Il Marchesino di Gualtiero Marchesi, il nuovo Ristorante Foyer, proprio in Piazza della Scala, mantiene la tradizione di luogo ideale per il per il “prima” e “dopo-Teatro” che si è guadagnato nei tre lustri scorsi. Il menù conserva le creazioni del Maestro (come il piatto signature “Riso, oro e zafferano”), reinterpretate dai nuovi executive chef (prima Anatolij Franzese poi Marco Amasi) in un mix di semplicità ed eleganza che accomuna anche l’offerta di pasticceria, affidata al pastry chef italo-argentino Matias Ortiz.
Oltre che per la posizione strategica e per la lunga tradizione di “ristoro pre- post spettacolo”, il legame tra Il Foyer e il teatro emerge soprattutto dalle proposte del cocktail bar, guidato dal milanese Matteo De Palma. La nuova drink list si ispira al fascino e alla complessità del teatro e prevede, oltre ai grandi classici, una serie di cocktail ispirati al mondo della lirica, del balletto e dei suoi protagonisti, grazie a una sapiente combinazione di colori, profumi e aromi e alle tecniche di lavorazione originali come l’ice-carving e affumicatura. L’Aida è una ricetta afrodisiaca a base di liquore allo zenzero e succo di melograno, con note di cacao e peperoncino. Il Tosca, ideato in occasione dell’inaugurazione della stagione 2019-2020 con la prima dell’opera di Puccini, è un drink passionale e femminile, di colore rosso ottenuto attraverso l’impiego di Martini Riserva Rubino, con una spuma ai fiori di sambuco su cui è scritto il nome della protagonista con una polvere di pomodoro e peperoncino; il Lago dei Cigni, un mix gin, succo di lime e St. Germain, sciroppo di agave e basilico, reso scuro con l’aggiunta di colorante al carbone vegetale; il Boulevardier dopo teatro, preparato con Bulleit Rye whiskey, infuso al peperoncino, bitter, vermouth Cocchi e qualche goccia di assenzio; lo Scala Spritz, a base di Prosecco, con bitter Le Sirene, liquore di fico, soda e menta; il Foyer 75, a base di champagne, con gin, liquore allo zafferano, succo di lime, sciroppo di zucchero.
Anche i bicchieri fanno la loro parte: il Madama Butterfly viene servito in una coppa con farfalla annessa, mentre l’Amleto si gusta in un calice a forma di teschio!
Allontanandosi dalla Madonnina, lo stesso tributo alcolico all’opera si incontra all’Arya Bar & Mixology, il bar d’autore dell’Hotel Indigo Verona – Grand Hotel Des Arts, con un design e un concept ispirati alle appassionanti atmosfere liriche dell’Opera, in particolare a Romeo e Giulietta. La drink list varia in base al calendario dell’Arena e, per questa stagione, prevede uno Shakespeare Martini a base di Grapeheart gin, Martini Extra Dry, Biancosarti, Recioto della Valpolicella, Angostura Orange Bitters; un Mercuzio Boulevardier a base di Campari Bitter, Cocchi Chinato, Whisky Arran Malt Amarone Finish, Whisky Puni Vina Marsala Finish; un Tebaldo con Lugana Cà Maiol, Biancosarti, Cocchi Americano, Martini Bianco, Creme de Cassis on the side; un Giulietta Star Martini con Vodka alla Vaniglia, Lime’s Rose Cordial, Monin Hibiscus, Acqua di Rose e Prosecco Extra Dry, Fior D’arancio; un Ariel con Malfy Pink Grapefruit, Maraschino Luxardo, Liquore Zafferano, Vodka alla Vaniglia, Prosecco Brut; un Puck con Valpolicella, Kapriol Gin, Cannella, Aperitivo Nonino, Aranciata Lurisia.
Futuro prossimo, tra intramontabili repliche e colpi di scena?
La stagione operistica 2022-2023 del teatro milanese sarà inaugurata il 7 dicembre da una “prima” russa con il Boris Godunov, opera lirica di Modest Petrovič Musorgskij, nella sua versione originale del 1869, diretta da Riccardo Chailly, con Ildar Abdrazakov, mentre quella sinfonica sarà aperta da Daniele Gatti con la Sinfonia n.3 di Mahler. Torna anche il balletto con una sessantina di recite, da Lo schiaccianoci al Lago dei Cigni e al Romeo e Giulietta. Non mancheranno il ritorno di La bohème, Macbeth, Il barbiere di Siviglia, Le nozze di Figaro, Li zite ’ngalera di Leonardo Vinci, con i versi in dialetto napoletano.
Sulla cena di gala ancora nessuna anticipazione, ma se il menù non dovesse prevedere Borsch, la celebre zuppa a base di barbabietole, carne e panna acida o Manzo alla Stroganoff, un secondo piatto a base di carne bovina cotta insieme a cipolla e funghi, le opzioni possono spaziare da un menù “alla Rossini”, ai finger food ispirati agli spuntini (ostriche, cozze, granchio, ma anche pesche, fichi e prugne) che il pubblico di Shakespeare amava sgranocchiare durante i suoi spettacoli, fino a una cena a base di “Carabaccia” l’antenata dell’odierna zuppa di cipolle, tanto amata da Leonardo Da Vinci, magari accompagnata da broccoletti, carne cruda, fagiano, cinghiale, fegato di vitello con polenta, carote con capperi e acciughe, spesso in combinazioni tra dolce e salato, con abbondante uso di erbe e spezie (tra cui salvia, pepe, curcuma, zafferano, fiori di papavero e aloe) e in accompagnamento all’“Acquarosa”, una bevanda a base di acqua di rose, zucchero, limone e alcool.
Insomma, quale che sia l’accompagnamento gastronomico di una serata in platea, vale la pena abbandonarsi, affidarsi e lasciarsi catturare… proprio come avviene quando le luci si spengono e il sipario si apre, regalando a chi sa lasciarsi trasportare la possibilità di godere di un qui e ora che allontana (temporaneamente) la realtà, regalando un momento dal sapore irripetibile, nonostante la possibilità di replica.