“Alter che! capisset chi l’è?”. “Altro che! Capisci chi è?”. Può sembrare strano, ma la risposta è: Alessandro Manzoni. E a fare la domanda è ancora lui, il Don Lisander, che aggiunge di suo pugno quelle poche parole in milanese ad una delle tante lettere della seconda moglie, Teresa Borri, al figlio Stefano.
Soltanto una battuta per confermare i suoi saluti (già annunciati dalla mamma) e un finto indovinello al posto della firma. Perché anche lui, il padre indiscusso della lingua italiana, in famiglia e con gli amici usava abitualmente il milanese. Una conferma, nero su bianco, di quanto il dialetto fosse diffuso anche negli ambienti più nobili e colti. Così era nell’Ottocento e così è stato fino alla metà del Novecento.
E oggi? Quasi sparito per decenni, viene recuperato un po’ per passione, un po’ per moda. Ed è sicuramente presente anche in cucina, dove è non è così raro imbattersi in piatti, ingredienti e strumenti indicati col loro nome dialettale. Proviamo allora a divertirci con un piccolo (ovviamente incompleto) dizionario del milanese in cucina.
ARTICIOCCH (pron. Articioc) – Carciofo. Maschile invariabile (è uguale al singolare e al plurale). Chiaramente imparentato coll’inglese Artichoke, il tedesco Artischocke e il provenzale Arquichaut, ma anche con lo spagnolo Alcachofe. Tutti probabilmente derivati dall’arabo Al-kursuf. Usato anche come bonario insulto: “Te see propi on articiocch” (“Sei proprio un carciofo”). Ricorre nell’espressione “El pussee bon di articiocch”, la parte migliore del carciofo, per indicare con una perifrasi il sedere.
BUSECCA (pron. Büsecca, con la ü chiusa) – Trippa. Sia nel senso del piatto tradizionale, sia come ingrediente. Può essere “rizza” (riccia) o “foioeu” (foiolo). Al plurale (“Busecch”) indica genericamente le interiora. Il diminutivo “busecchin” indica il budello ripieno di sangue di maiale: il sanguinaccio.
CAZZUU (Casù) – Mestolo. Cazza (recipiente per la fusione dei metalli) e cazzuola (strumento del muratore) derivano dal greco kyathos, coppa, confluito nel tardo latino catta. E la stessa etimologia è attribuita a Cazzu.
CERVELEE (Cervelè) – Salumiere. La cervellata era una tipica salsiccia prodotta e consumata nel Milanese, oggi quasi scomparsa: non stagionata è composta di carne e sangue di maiale con l’aggiunta di aromi e formaggio. Nel Medioevo, fino al 1400, era fatta anche con le cervella degli animali. Da qui il termine Cervelee per indicare il salumiere.
CASSOEULA (Cassöla, con la ö alla francese) – Bottaggio. Dopo il risotto è forse il piatto tipico milanese più conosciuto. Ne esistono molte varianti, ma tutte hanno come base le verze e carne di maiale: indispensabili le costine. Gli esperti concordano nell’attribuirle origini spagnole: probabilmente una derivazione della Olla Podrida. Evidente poi la “parentela” con la Cassolulet della Linguadoca (famosa quella di Carcassonne), sia nel nome che nella ricetta.
CORNITT (Curnìtt) – Fagiolini, che però a Milano, anche in italiano, si chiamano comunemente cornetti. Molto diffusa anche la versione Cornett (curnett).
FOGHEE (Fughè) – Fornello. Da Foeugh, fuoco.
GIAMBON (Giambun) – Prosciutto. Evidentemente Imparentato col francese jambon (da cui probabilmente deriva) e lo spagnolo jamon. Può essere crù o cott. Esiste anche la forma persutt, caduta però in disuso.
GREMOLADA (Gremulada) – Gremolata. Italianizzazione del termine milanese. Da Gremolàa (Gremulà): ridurre in grani. È un condimento composto da un trito di prezzemolo, aglio e scorza di limone, utilizzato soprattutto nella preparazione degli ossi buchi: “I oss bus”.
LUGANEGA (Lüganega, con la ü chiusa) – È la tipica salsiccia lombarda: un insaccato di carne e grasso di maiale, arrotolato a spirale. Particolarmente ricca quella di Monza, nel cui impasto si trovano anche grana, brodo di carne e vino. Il nome deriva dal latino Lucanica, che ne indica la regione d’origine. Sarebbe stata importata in Lombardia dai legionari romani. Secondo un’altra versione a portarla al nord sarebbero stati i Longobardi della cosiddetta Longobardia Minor, costituita dai Ducati di Spoleto e Benevento.
MAGIOSTRA (Magiustra) – Fragola. Plurale: Magioster (Magiuster). Qualcuno la vuol far derivare dal mese di maggio (periodo di raccolta e vendita delle fragole), ma illustri studiosi ricollegano il termine ad una antica forma indoeuropea sopravvissuta soltanto in alcune zone della Lombardia e del sud della Francia. Il diminutivo, Magiostrina, significa piccola fragola, ma anche cappello di paglia da uomo: la classica paglietta.
OEUV (Off, con la ö alla francese) – Uovo e uova. L’uovo al piatto o all’occhio di bue è detto “oeuv In cereghin” perché ricorda una piccola chierica (cerega) di alcuni religiosi. L’espressione può però fare anche riferimento all’abbigliamento del chierichetto (cereghett) con la cotta bianca ad avvolgere la tunica rossa, che emerge al centro, attorno al collo.
OFFELEE (Ufelè) – Pasticciere: colui che produce le Offelle (ciambelline e più generalmente pasticcini). Dal latino offella. Famoso il detto “Offelee fa’ el to mesté”: non cercare di improvvisarti esperto di qualcosa che non conosci. Lascia fare a chi ne sa più di te.
PEDRIOEU (Pedriò, con la ö alla francese) – Imbuto. Sono chiamati così anche i piccoli “proiettili” di carta da lanciare soffiando nella cerbottana. Pare dal latino pletria. Comune l’espressione “Mangiaa col pedrioeu”, mangiare in fretta, ingozzarsi.
PRESTINEE (Prestinè) – Panettiere, fornaio. Dal tardo latino pistrinarius, da pistrinum “mulino, forno”. Usato comunemente nella forma italianizzata prestinaio, passata a indicare anche il negozio di panetteria, in milanese Prestin.
RUBINETT (Rübinet, con la ü chiusa) – Rubinetto. Esiste però anche la forma Trombin (trumbin), che, in caso di guasto, richiede l’intervento del Trombee, l’idraulico.
TOMATES (Tumates) – Pomodoro e pomodori. Dallo spagnolo tomate, trascrizione del termine azteco “tomati”, ripreso anche in francese e inglese.
VERZ (Vers) – Verza, cavolo. Per il solo singolare esiste anche Verza (versa, con la esse dolce). Ingrediente base della Cazzoeula. Comune l’espressione “Gh’è pocch de sfoià i verz” (Gh’è poc de sfuià i vers), C’è poco da sfogliare le verze. C’è poco da scialare (anche in senso figurato), come nei periodi di magra, quando è necessario usare tutta la verza, anche le foglie più esterne e brutte, che nei periodi di abbondanza possono essere scartate.
ZUCCA (Süca, con la ü chiusa) – La zucca in tutte le sue forme. È usata nell’espressione “Zucch e melon a la sua stagiòn” (Succ e melun a la sua stagiun): ogni cosa a suo tempo.
Postilla
Nelle cucine delle nonne milanesi si usavano, ovviamente, termini per nulla tecnici che servivano a indicare dosi e azioni. Ne ricordiamo qualcuno.
Le dosi, naturalmente approssimative, date “on tant al tocch”
On ciccinin – un pochino
On gottin – un goccino
Ona sguriada – intraducibile, qualcosa come “un filo di olio o un dito di vino”
On tocchell – un pezzetto
On bel tocch – un grosso pezzo
On cugiaa e on cugiarin – rispettivamente un cucchiaio e un cucchiaino
On biccer – un bicchiere
I verbi
Coeus – cuocere
Menàa – mescolare con forza, detto della polenta
Pacciàa – mangiare
Quattàa giò – coprire con il coperchio
Rugàa – girare, mescolare
Taccàa giò – attaccare (detto del risotto o di altri cibi al tegame)
Adesso non resta che allacciare il scossàa, il grembiule.