È il primo pomeriggio di sabato nella Place de la République a Parigi. Un gruppo di persone si è riunito intorno a quattro ritratti appesi, contro i quali, a turno, si lanciano pomodori. Si tratta dei ritratti del deputato repubblicano Damien Abad, del Ministro degli Interni Gérald Darmanin, del militante comunista Maxime Cochard e del leader di Reconquête Eric Zemmour. Tutti accusati di violenze sessuali. Poco lontano, un enorme striscione riporta, in rosso, l’hashtag «MeTooPolitique».
È da qui che partirà la quarta edizione della manifestazione nazionale di «Nous Toutes», collettivo che si batte contro sessismo e violenze sessuali, e che ha riunito quest’anno, solo a Parigi, ottantamila persone secondo gli organizzatori. E quest’anno, come non mai, il movimento «Me too Politique» è stato protagonista della manifestazione, con slogan e canti mirati proprio ai leader politici di ogni parte.
È passato appena un anno dalla pubblicazione su Le Monde, il 15 novembre 2021, di una tribuna firmata da duecentoottantacinque donne del mondo politico e universitario, per esigere una risposta concreta alle violenze sessuali e sessiste commesse dai rappresentanti politici. Il segnale di inizio di un movimento che ha contrassegnato inevitabilmente un anno elettorale cadenzato dagli scandali successivi, in materia di violenze sessiste, sessuali e coniugali, e che è andato a toccare, senza distinzione, i diversi campi politici.
Prima, in concomitanza con le elezioni e la formazione del Macron bis, è stata soprattutto la maggioranza di Renaissance e la destra dei Républicains a dover fare i conti con scandali e proteste. Innanzitutto con la riconferma di Gérald Darmanin a capo del Ministero degli Interni, già prima contestato poiché sotto inchiesta per stupro, molestie sessuali e abuso di fiducia (accuse poi archiviate). E poi per la nomina del repubblicano (Lr) Damien Abad al Ministero della Solidarietà, contro il quale sono state rivelate diverse accuse di stupro, e che è stato poi sostituito, in seguito alla mobilitazione di diversi collettivi, pur rimanendo ad oggi deputato.
Gli ultimi mesi, invece, hanno visto la sinistra della Nupes (Nuova Unione popolare ecologica e sociale) prendere posto al banco degli imputati. Le vicende sono state diverse, ma tra i più imbarazzanti per la nuova coalizione ci sono i recenti casi di Adrien Quatennens, numero due della France Insoumise, e di Julien Bayou, deputato di Europe Écologie Les Verts (Eelv).
Il primo, fino a due mesi fa coordinatore nazionale di Lfi, ha dovuto rinunciare alla carica e allontanarsi dall’Assemblea Nazionale, pur rimanendo di fatto deputato, dopo aver riconosciuto a metà settembre, con un comunicato, di aver commesso violenze fisiche e psicologiche nei confronti della moglie, la quale ha in seguito sporto denuncia contro di lui. Il secondo è stato invece, dal 2019 e fino agli ultimi giorni di settembre, segretario nazionale del partito ecologista. Carica dalla quale si è dimesso in seguito alle accuse di violenze psicologiche formulate dalla sua ex-compagna, seguite poi da altre testimonianze simili.
Riforme interne
Se le elezioni non sono state risparmiate dagli scandali, le proteste e il lavoro di associazioni e collettivi hanno avuto un ruolo nel periodo elettorale. A febbraio, in vista delle elezioni, Mathilde Viot, ex-collaboratrice parlamentare all’Assemblea Nazionale, ha co-fondato l’«Observatoire des violences sexistes et sexuelles en politique», un organo nato in reazione ai numerosi casi di violenze all’interno dei partiti e delle istituzioni politiche, con l’obiettivo di indurre questi ultimi ad agire.
«Volevamo consolidare il “Me Too Politique” e avevamo bisogno di un organo di direzione per far sì che la gente potesse identificare il nostro messaggio. L’obiettivo è di mantenere la pressione sui partiti politici analizzando il loro funzionamento e il loro comportamento, e di invertire il rapporto di forza per dire: “Attenzione vi stiamo guardando”. Durante la campagna presidenziale e legislativa, non appena un candidato era oggetto di accuse di violenze sulle donne, diffondevamo le informazioni e chiedevamo ai partiti di renderne conto», racconta.
Alla manifestazione, la militante ricorda, oltre al caso di Damien Abad, tagliato fuori dal ministero ma ancora deputato, altri casi come quello di Jerôme Peyrat, candidato di Renaissance alle legislative che ha ritirato la sua candidatura in seguito alle polemiche dovute a una sua condanna, nel 2020, per violenze coniugali.
È proprio al funzionamento stesso dei partiti che si interessano organi come l’Osservatorio, con lo scopo di metterli in discussione e di riformarli per prevenire le violenze e condannare adeguatamente i politici colpevoli. Tra gli enti più discussi, vi sono le cellule d’inchiesta interne ai partiti, spesso considerate inadempienti e poco trasparenti.
«Il fatto che stiamo obbligando i partiti ad aumentare la propria vigilanza li ha portati a dotarsi più rapidamente di alcuni strumenti e a perfezionarne funzionamento, come le cellule d’inchiesta. Queste rimangono comunque imperfette e continueranno ad essere contestate perché fanno inevitabilmente un esame soggettivo, visto che sono gestite dai partiti stessi. Per questo noi chiediamo che venga creata un’entità statale e trasparente, ma abbiamo bisogno che le istanze pubbliche si facciano carico di questa questione e per il momento non è così», segnala l’ex-collaboratrice.
Per lei, se un grande passo avanti è stato fatto in termini di liberazione della parola, e se un primo obiettivo è stato raggiunto per fare in modo che «la sfera politica non volti le spalle alle questioni di violenze sessiste e sessuali e i partiti non nascondino sotto il tappeto gli uomini accusati di violenze», resta ancora molto da fare per quanto riguarda i meccanismi interni e i comportamenti stessi dei rappresentanti politici. Lo provano ad esempio i recenti tentativi del gruppo Lfi di far tornare Adrien Quatennens tra i banchi dell’Assemblea Nazionale, dalla quale era stato allontanato.
Il doppio standard della sinistra
Nella lunga marcia che si dirige da Place de la République verso Place de la Nation, si possono notare manifesti apertamente rivolti alla sinistra e al deputato Lfi, come un grande striscione bianco portato da alcuni militanti della France Insoumise che dice a grandi lettere «Quatennens dimettiti».
Gli scandali successivi hanno infatti fatto vacillare tutta l’unione della sinistra guidata da Jean-Luc Mélenchon, le cui reazioni hanno, peraltro, dato fuoco alle polveri. Il leader della sinistra ha prima reagito al comunicato di Adrien Quatennens con un tweet che lodava «la dignità e il coraggio» di colui che è generalmente considerato come il suo successore naturale, per poi affermare in un programma televisivo che il deputato «non è un violento perché è stato violento solo una volta».
Dichiarazioni che hanno creato parecchio disagio tra i membri del partito e indignazione tra alcuni militanti che vi hanno visto un divario imbarazzante rispetto ad un programma autoproclamatosi femminista, che era riuscito a distinguersi in campagna elettorale per le sue ambizioni in materia di lotta al sessismo e alla violenza sulle donne.
Ed è stata proprio la vicenda di Quatennens a far traboccare il vaso e a provocare lo sdegno di molti, all’interno e al di fuori del partito. La goccia di troppo che ha portato alla nascita del collettivo «Relève Féministe», letteralmente «ricambio femminista». Un collettivo che conta oggi circa trecento partecipanti, di cui una buona parte membri di partiti di sinistra, e che ha fatto molto parlare di sé quando, poco più di una settimana fa, alcune militanti sono andate ad incollare manifesti presso la sede della France Insoumise, contro il ritorno di Quatennens.
Tra loro, Sirine Sehil, venticinque anni, membro del movimento Génération.s, fondato dall’ex-socialista Benoît Hamon, si dice atterrita dalle reazioni di Mélenchon e di altri pezzi grossi della sinistra, ma soprattutto delusa: «Quando i partiti hanno un programma femminista e poi si scopre che quegli stessi deputati commettono violenze coniugali e sessuali è rivoltante, perché prova che utilizzano le nostre lotte per essere eletti, ma non si interessano davvero alle violenze subite dalle donne. È bello andare alle manifestazioni femministe, ma se poi non applichi i programmi è ipocrisia e strumentalizzazione».
«Non si rimettono in nessun modo in discussione e abbiamo l’impressione che gli interessi politici e egoistici prendano il sopravvento sulla protezione delle donne. Per questo abbiamo deciso di allearci contro i nostri stessi partiti, perché siamo donne prima di tutto», afferma la giovane avvolta in un velo viola, colore simbolo del collettivo Nous Toutes che organizza la manifestazione.
Le posizioni apologetiche, nonché le giustificazioni per far tornare Quatennens costi quel che costi tra le prime file del partito, proverebbero, per la giovane militante, l’impatto delle azioni portate avanti in nome del “Me Too Politique” e come queste disturbino «l’immagine femminista» che i partiti vorrebbe attribuirsi.
È d’accordo anche Elodie (nome di fantasia), che cammina a fianco di Sirine e che ha deciso di ritirarsi da Lfi, dopo aver lavorato per la campagna del partito alle legislative di Parigi, in seguito al caso Quatennens. «A partire dal momento in cui le violenze sono state rivelate, il doppio standard è apparso alla luce del giorno, ossia la dicotomia tra il discorso ufficiale e gli atti. Se fossero stati coerenti con il programma che la Nupes ha difeso in materia di violenze sessiste e sessuali, non manterrebbero un deputato che ha commesso questo genere di violenze».
Mentre Lfi cerca di insabbiare la vicenda e di preparare il ritorno di Adrien Quatennens tra i banchi dell’emiciclo, le militanti sono convinte che dovrebbe invece essere escluso da ogni visibilità pubblica perché, oltre ad avere un dovere di esemplarità in quanto politico di primo piano, «non ha più nessuna credibilità», spiega Elodie.
L’ex-militante di Lfi racconta di non essere stata l’unica ad aver abbandonato i ranghi del partito, pur trattandosi comunque di una minoranza di persone. «Chi rappresenta ormai Quatennens?» si chiede. La vicenda sembra in ogni caso aver provocato l’inizio di una frattura nel partito, tra coloro che difendono ad ogni costo il cosiddetto “puledro” di Mélenchon e coloro i quali, invece, denunciano una minimizzazione dei fatti e una scarsa conoscenza dei meccanismi di violenza sulle donne, in generale nella Nupes.
E mentre la vicenda fa sorgere seri dubbi sulla successione di leadership all’interno di Lfi, la “Relève Féministe” è determinata a continuare a interpellare i partiti, a sinistra come a destra, e a cambiare le cose dall’interno. «Il vantaggio è che molte di noi fanno parte di partiti politici. Quindi possiamo sensibilizzare i militanti su queste violenze che sono onnipresenti in politica. Possiamo prendere la parola e interpellare. Vogliamo che per le prossime elezioni, per le prossime investiture, le generazioni future facciano migliori controlli e proteggano le donne. Per questo ci chiamiamo “Ricambio Femminista”».