Etica gastronomica, scelte sostenibili, stimoli creativi, differenze generazionali, (non) bisogno di etichette. Ecco i principali temi che sono stati affrontati durante il think tank del tavolo 6 del Gastronomika Festival – “Diventeremo tutti vegetariani? La cucina è circolare” – moderato da Andrea Cuomo, giornalista de Il Giornale e curatore della pagina gastronomica Retrogusto, che ha visto coinvolti diversi protagonisti della giovane cucina italiana, da chef a giornalisti, da docenti a content creator. Vegetariani in minoranza, attenti alla sostenibilità all’unisono.
Il confronto è partito con una domanda: perché scegliere di lavorare quasi esclusivamente con materie prime vegetali? «Perché rendere il vegetale protagonista, come se utilizzassi una proteina animale, è un lavoro di creatività», risponde Sara Scarsella, Chef e proprietaria del ristorante Sintesi ad Ariccia. Creatività, una parola che è stata alla base della riflessione tra gli addetti ai lavori, perché per cucinare a base vegetale c’è bisogno di stimoli creativi e di divertirsi con le materie prime.
Un’altra domanda, però, è sorta spontanea: spesso la cucina vegetariana viene considerata una cucina di rinuncia, una cucina triste, è solo un cliché? Questa volta, sono Sara Nicolosi e Cinzia De Lauri, Chef del ristorante Altatto di Milano, a rispondere: «Molte persone sono prevenute sulla cucina vegetariana. Le donne sono più propense a provarla, gli uomini invece a inizio cena si voglio suicidare, a fine cena si stupiscono». Questo perché è stata da sempre considerata una cucina “dietetica”, ricca di preconcetti, un contorno, e al termine appagamento vengono associate solo le proteine animali. Complici l’industria alimentare e i prodotti confezionati che si trovano al supermercato, come i burger vegetali. «È molto difficile essere vegetariani a casa se non si sa cucinare, la scelta più semplice è ricorrere a piatti pronti che ricordano gusti conosciuti», continua Cinzia.
Anche per Anna Mida, Instagram Content Creator che con il suo progetto @storie_sfuse si occupa di sensibilizzare su temi di sostenibilità ambientale e sociale, «I prodotti che “imitano” le opzioni onnivore possono essere una buona soluzione di accompagnamento, un momento di passaggio per il consumatore medio nella transizione». Una delle principali motivazioni di questa transizione si chiama etica. «La scelta etica non è più un’opzione, oggi è imprescindibile», afferma Sofia Andreotti, founder di Match Hot Wild Tasty, un progetto di cucina itinerante, onnivora, basato sulla sostenibilità (e sulla griglia!).
Sulla scelta etica e sostenibile si trovano tutti d’accordo, sulle etichette apposte alla cucina vegetariana un po’ meno. Interviene Matteo Rebora, Chef e Co-owner di Trattoria dell’Acciughetta e del ristorante Quelli dell’Acciughetta «Ci sono però delle aspettative iniziali che non corrispondono alla realtà, a volte utilizzare il termine “vegetariano” crea delle barriere». Per Sofia, invece, «È importante dichiararsi, penso che ci sia bisogno di “urlare” scelte più coraggiose».
Sradicare le idee e modificare le aspettative, con o senza etichette, è quindi compito dello Chef? «A livello creativo il menu vegetale è quello più divertente» ci svela Alessio De Bona, Chef e titolare del ristorante Primo a Belluno, che offre due menu degustazione, uno onnivoro e uno vegano.
«Sono i giovani Chef che inseriscono i vegetali nel menu, la “vecchia guardia” invece è più restia, perché spesso i vegetali vengono visti solo come contorno», afferma con decisione Sara Scarcella. L’etichetta più ostica da sradicare porta con sé due tematiche importanti, che vanno quasi a braccetto, educazione alimentare e problema generazionale. La giovane cucina italiana è più consapevole e si sente più vicina alla cultura gastronomica dei nonni che a quella dei genitori.
Saper avvicinare i commensali al prodotto, non a quello che viene cucinato o al prezzo del piatto, è una sfida degli Chef di oggi. «Più che educare, dobbiamo cercare di sensibilizzare» replica Daniel Zeilinga, Chef del Fàula, ristorante del resort ecosostenibile Casa di Langa.
E mentre la Guida Michelin non viene più vista come strumento di comunicazione perché manca di freschezza e di una visione (davvero) realistica, un buon utilizzo dei canali social può essere un modo diretto di comunicare a clienti e ipotetici tali, di incuriosire, di informare, di raccontare i valori e il dietro lei quinte del ristorante, non solo bei piatti e caption descrittive del menu.
Un menu dell’orto, che chi ce l’ha è fortunato, in campagna o in città. In campagna è più facile attuare una cucina circolare e attività volte al non spreco, ma anche in città lo scarto può diventare una fonte di guadagno. Come per Alex Leone, Chef del bistrot milanese Mater Bistrot, che con le foglie di scarto del carciofo prepara un amaro da vendere o regalare ai suoi commensali. La circolarità può essere – anche – una scelta economica e non solo etica.
Per chi metterla in pratica è complesso, come per Sofia, che, lavorando su eventi, non riesce a rendere la cucina circolare, inizia dalle piccole cose: «Cerchiamo di prendere un evento piccolo a ridosso di un evento più grande, così possiamo riutilizzare i prodotti e trasformare quello che ci resta».
La circolarità è quindi un processo, ma può essere anche uno stimolo creativo e costruttivo, un modo per abbattere la pigrizia. E per abbattere l’utilizzo della plastica. Appena menzionato il termine plastica, è subito intervenuto Valerio Cabri, docente del corso di Tecniche di Cucina di Alma, illustrando come all’interno della Scuola, attraverso il progetto “Next Generation Chef”, insegnino ai giovani chef non solo a cucinare, ma anche ad avere un’educazione e una cultura gastronomica, basate sulla sostenibilità, sull’etica e sulla consapevolezza.
Etica e consapevolezza sono gli ingredienti fondamentali pure di Chiara Pavan, chef del ristorante stellato Venissa a Burano: «La mia cucina è prevalentemente vegetale perché ha un’impronta carbonica e idrica minore rispetto alla carne. La motivazione è anche etica, perché ci interroghiamo sul futuro e sul cambiamento climatico». Una cucina appunto prevalentemente vegetale, ma non del tutto: «Abbiamo deciso di servire comunque il pesce, non il pesce “comune”, ma cosa c’è sul mercato locale. Cerchiamo di collocarci sopra la food chain, vogliamo aprirci a nuove prospettive e non usare le solite proteine in futuro», sottolinea Chiara. Grazie anche al loro laboratorio di fermentazione – e qui torna il carciofo! – riescono a riutilizzare in modo sapiente gli ingredienti ed evitare lo spreco.
Quindi, diventeremo tutti vegetariani? In un mondo ideale, forse. Nella realtà, invece, i giovani protagonisti della cucina italiana under 40 scommettono su una cucina circolare e sostenibile, (ri)utilizzando i vegetali con creatività e consapevolezza.
È proprio il caso di dirlo: del carciofo non si butta via niente.