Mammina caraGiorgia, Ivanka e la rappresentazione del puccettonismo istituzionale

Abbiamo fatto finta che i corpi femminili non costituissero la vera disparità di genere, poi arrivano le nuove donne di potere a dirci che devono stare coi loro figli anche durante i vertici internazionali o allontanarsi dalla politica per dedicarsi completamente a loro

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Chi è, oggi, la rappresentazione più plastica del puccettonismo contemporaneo? Chi, tra i casi raccontati dalle pagine dei giornali in questi giorni, si presta meglio a dirci quale disastro sia, per le donne della mia età, l’intersezione tra famiglia e lavoro?

Giorgia Meloni e Ivanka Trump sono della stessa generazione, una nata nel 1977 e l’altra nel 1981, tutt’e due figlie di onesti bugiardi. Honest liar è la definizione che Dave Chappelle ha dato di Donald Trump sabato scorso al Saturday Night Live: se avete visto all’opera Trump, apprezzerete il guizzo; se avete letto l’autobiografia di Giorgia Meloni, non potrete non trovare che la definizione si attagli anche al grande assente, Francesco Meloni.

Giorgia Meloni è sui giornali perché, al G20 di Bali, si è portata Ginevra, la bambina al centro del suo posizionamento politico (sono una donna, sono madre), ma anche la bambina per la quale non si volevano i riflettori: il padre ha detto che non avrebbero vissuto a palazzo Chigi per farle fare una vita normale, la madre ha come primo gesto istituzionale diffidato tramite studio legale i giornali dall’occuparsene.

Ivanka Trump è sui giornali perché il padre ha annunciato che si ricandiderà, alle presidenziali del 2024. La seconda figlia, già consigliera durante il suo precedente mandato presidenziale, e sposata con un tizio che pure era nello staff presidenziale, ha preso le distanze scegliendo l’impermanenza: non un post di Instagram di quelli che restano per sempre – e nei quali i suoi sette milioni e mezzo di follower vogliono vedere i vestiti, mica annoiarsi con la politica – ma una storia di quelle che spariscono dopo ventiquattr’ore.

«Voglio molto bene a mio padre. Questa volta, scelgo di dare la priorità ai miei figli piccoli e alla vita privata che ci stiamo costruendo come famiglia. Non ho in programma di farmi coinvolgere dalla politica. Vorrò sempre bene a mio padre e lo appoggerò sempre, ma questa volta dal di fuori. Sono grata di aver avuto l’onore di mettermi al servizio degli americani, e sarò sempre fiera di molti dei risultati raggiunti dalla nostra amministrazione».

Se abitassimo tempi normali, potremmo concentrarci sull’ultima frase: molti ma non tutti, quali sono i risultati di cui invece non sei fiera, Ivanka, diccelo, rinnega tuo padre e rifiuta il suo nome e non essere più una Capuleti. Ma abitiamo tempi in cui chiunque ci sembra innanzitutto madre o padre o figlio o figlia, molto prima che astronauta o cardiochirurgo o premio Nobel; e quindi ci tocca concentrarci sul resto.

Come mai nel 2016, con un bambino di pochi mesi, potevi essere consigliori di papà, e ora che il bambino ha sei anni devi dedicartici? Il terzogenito di Ivanka è coetaneo dell’unicogenita di Giorgia Meloni: gli sceneggiatori si stavano già scaldando per un G20 con Trump presidente e una cotta da terza elementare tra il puccettone americano e la puccettona italiana, e Ivanka ha boicottato la rinascita del grande cinema italiano.

Ma anche: «voglio dedicarmi ai figli» è la carta pigliatutto, ma che succede se entra in conflitto coi tuoi doveri di figlia? Che succede quando dici al mondo, come ha detto Giorgia Meloni portandosi la figlia a Bali, che sì, il mondo ha fin qui fatto bene a diffidare delle donne, giacché esse considerano inaccettabile dormire quattro notti lontane dai puccettoni di mamma loro?

E poi, da quel che ho letto sui giornali, mi par di capire che il papà sia rimasto a casa. Quindi Ginevra non può stare quattro notti lontana dalla mamma ma può stare quattro notti lontana dal papà? Ma se i padri servono meno, il congedo di paternità che ce lo siamo inventato a fare?

La società occidentale in questo secolo ha cercato in tutti i modi di fingere che quest’inferiorità femminile – questa per cui mestruiamo e partoriamo e organizziamo gli impegni di lavoro attorno alla recita scolastica – non esista: ci siamo, all’uopo, appunto inventati il congedo di paternità. Un punto della dialettica dell’immaginario fattasi welfare che dice: siccome un corpo di donna ha partorito un bambino e un corpo di donna lo nutre a intervalli sfinenti, allora un corpo di uomo ha diritto a una vacanza retribuita dal lavoro.

Abbiamo cercato in tutti i modi di far finta che i corpi delle donne non costituissero la vera disparità di genere, e poi arrivano le donne di potere e ci dicono che devono stare coi loro puccettoni anche durante i vertici internazionali. Che poi, non è tanto l’obiezione formulata da molte (di giorno ai vertici internazionali mica hai tempo di stare con la bambina; ma questo sarebbe valso anche con la mamma a Roma, che di giorno governerà, mica giocherà con Ginevra a Barbie principessa del ballo, si spera); l’obiezione vera è: se due missili finiscono in territorio polacco quando a Bali sono le tre di notte, ti chiameranno per avvisarti, si spera; e il telefono sveglia pure la bambina in camera con mamma sua?

È bello ipotizzare che Ivanka prenda le distanze da Donald non per la di lui evidente cialtronaggine e impresentabilità, più evidente oggi di quanto lo fosse nel 2016; è bello pensare che la vera differenza tra la prima candidatura di Donald Trump e la prossima è che nel frattempo è morta Ivana, sua prima moglie e madre di Ivanka. È bello pensare che, a mamma morta, Ivanka risponda finalmente alla domanda «vuoi più bene a mamma o a papà», schierandosi col cadavere della prima moglie rimpiazzata con modello più giovane.

D’altra parte Giorgia Meloni, allorché accusata di discriminare i grassi additandoli come portatori di «devianze», postò una foto con la madre obesa: posso mai discriminare i grassi, puccettona di mamma mia quale sono?

È tutt’un affare di famiglia, e di grande immedesimabilità presso le elettrici. Che, proprio come Giorgia fa e Ivanka dice, sono anch’esse gente che al primo moccio al naso del puccettone molla l’ufficio e corre a riprendersi il pupo all’asilo. Gente che figuriamoci se non salterebbe la Casa Bianca per seguire l’inserimento montessoriano del terzogenito. Figuriamoci se permette agli impegni coi governi stranieri di farle saltare la favola della buonanotte alla puccettona di casa. Forse hanno ragione Giorgia e Ivanka. Forse, se tutto il mondo è elettorato debole che vuole specchiarsi in figure altrettanto deboli, è il momento giusto per far largo al puccettonismo istituzionale.