«Sai cosa dicono alla Croce rossa? “È come sparare sul Pd”». Raccomando caldamente, se avete settimane infernali in cui, se proprio vi viene da piangere, vi organizzate in modo da piangere sotto la doccia così quando finite avete la faccia già lavata, di fare molta attenzione a come investite quei venti minuti su ventiquattr’ore che riuscite a ricavarvi.
Leggere i giornali sarebbe uno spreco. Il riassunto, ve lo dico non leggendoli da una settimana, vi arriverà comunque, impreciso e frammentario ma tanto mica vivete nel secolo dell’approfondimento. Tassa sulle consegne a domicilio, compensata da detassazione degli assorbenti (se ve li fate consegnare a domicilio andate in pari); il tizio che si è messo a sparare in un bar per gay in Colorado si dichiara non binario (cosa dice il codice penale del Colorado della punibilità dei non mammiferi?); la Meloni è stata sgarbata in conferenza stampa; ventimila euro se vi sposate in chiesa.
Quest’ultima notiziola, in particolare, mi fa pensare che la categoria che più beneficia dell’operato del governo Meloni siano i battutisti social, gente che finalmente ha modo di rinnovare il proprio repertorio di «Ora i treni arriveranno puntuali»: mi serve davvero un editoriale pensoso su quanto sia discriminatorio incentivare i matrimoni religiosi?
Raccomando caldamente, in caso di ridotto tempo da perdere, di investire quei venti minuti a guardare Fiorello. Intanto perché da Instagram sta per arrivare su Rai2, e voi di certo siete il genere di pubblico che vuole conoscere le cose prima della massa, che vuole tra un paio di settimane dire che Fiorello lo preferiva quando suonava nelle cantine.
Non ho peraltro capito se, quando sarà sulla Rai, continuerà a essere in diretta su Instagram. Per me è dirimente: io, mentre bestemmio perché sono le sette di mattina e sono già in ritardo su quattro consegne, mica mi ricordo che c’è Fiorello. Però apro Instagram per controllare i messaggi, e vedo quel tondino fucsia che mi dice che Fiorello è in diretta, e posso ascoltare stronzate per venti minuti.
La preziosità delle stronzate ai lettori di questa rubrica è nota (almeno lo spero per voi, altrimenti ogni mattina una delusione), ma non tutti i produttori di stronzate hanno le qualità di Fiorello. Intanto, per dire, è novecentesco.
E non solo perché, come me, non si capacita della depilazione maschile («L’immondizia a Roma sono tutti peli dei concorrenti del Grande Fratello»). Ogni volta che, col telefono, invece d’un giornale inquadra una notizia che ha preso dall’internet, quella notizia è su un foglio: Fiorello stampa l’internet, come facevamo nelle redazioni radiofoniche venticinque anni fa.
Non buttando mai niente, a ogni trasloco ritrovo notizie stampate in un altro secolo. Faccende che riguardavano cantanti che nessuno sa che fine abbiano fatto, attori intanto defunti, oggetti che si compravano in lire, e all’epoca tutto questo mi sembrava sufficientemente importante da stamparlo a colori (a colori! Che nostalgia di quando la Rai era ricca. Anche Fiorello stampa a colori, finché oltre che il tetto ai compensi non mettono pure quello alle cartucce della stampante).
Le neuroscienze dicono tutto e il contrario di tutto, ma io decido di credere alla parte in cui dicono che la fisicità dei supporti, sfogliare, toccare le pagine, quel meccanismo lì aiutava ad assorbire e ricordare. È così per forza: da quando ho i giornali sul telefono non so più niente di niente, e non sono solo io: non siamo mai stati informati così poco e male.
L’altro giorno ho instagrammato la foto d’un timbro del passaporto. Era della dogana di New York, diceva che ero atterrata lì il 19 ottobre del 2012, il giorno del mio quarantesimo compleanno. Ho postato la foto – dove si leggeva nitidamente «19 ottobre» – il 20 novembre. Nella didascalia parlavo di compleanni, cifre tonde, e altre amenità. Nei commenti la gente mi fa gli auguri.
Il giorno prima, per parlare di cappuccini, avevo messo una foto in cui, sul tavolo al quale ero seduta, c’era un cappuccino finito, ma abbastanza identificabile da avermelo, Google Photos, messo nella cartella “caffelatte” (sì, Google Photos ha una cartella per le foto di cappuccino: immagino l’abbiano ideata dopo essersi accorti di cosa noialtri derelitti cercavamo, tra le nostre foto, per postarle; ha anche cartelle “ricevute”, “selfie”, “birra”, “cielo”: non ne ha una “libri”, nonostante l’umanità s’affanni molto a posizionarsi come lettore forte instagrammando pagine a caso). Un tavolo più in là, oltre il mio cappuccino, c’era una tizia vestita da lampadario.
Quelli che hanno commentato complimentandomi il vestito pensano che io abbia instagrammato una foto che mi ha scattato un maniaco dal tavolo di fronte? Macché: quelli che commentano Instagram non pensano, così come quelli che commentano i titoli degli articoli dei giornali, così come quelli che ti spiegano una notizia superata che sono convinti sia nuova perché loro l’hanno appena intravista nello schermo del telefono dei tizio seduto di fianco a loro in metrò.
L’economia dell’attenzione, la chiamava uno bravo: mica possiamo dedicare i nostri neuroni a tutto, troppe informazioni, troppa disponibilità di stimoli in arrivo su un oggetto che abbiamo in tasca. Non sappiamo più niente, non leggiamo più niente, non ricordiamo più niente. È perché siamo vegliardi? Anche, ma non solo.
L’altra mattina, quando Fiorello ha detto che se si va in pensione a 62 anni lui va in pensione, ho finalmente avuto la risposta italiana all’insensatezza di pensare come età pensionabile a quella che nel Novecento era l’età di mio nonno e ora è l’età dei sex symbol: finora l’esempio che usavo era che a maggio 62 li compie Clooney, vi sembra pronto per intrattenere i nipotini?
Naturalmente le battute di Fiorello non me le ricordo, guardandolo sul telefono mentre faccio altre cinque cose, e sono in grado di riferirvele solo perché me le ero annotate (con particolare plauso alla geniale intuizione di «Techetechemé», in cui quello giustamente manda i suoi vecchi sketch di quanto si facevano i varietà coi soldi). In compenso mi ricordo tutte le notizie che ho stampato negli anni Novanta, tutti i ritagli dei quotidiani che parlavano della morte di John Kennedy jr, tutto quello di quando non avevamo dato i neuroni in subappalto ai like.