«Chiediamo di raddoppiare gli sforzi verso la democratizzazione delle relazioni internazionali e il rafforzamento del multilateralismo e di un sistema multipolare, basato, tra l’altro, sul rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti gli Stati, nonché sul rispetto del principio della parità di diritti e dell’autodeterminazione dei popoli, lo stato di diritto, la diplomazia, il dialogo politico, la tolleranza, la convivenza pacifica, il rispetto per la diversità, l’inclusività, una cultura di pace e non violenza e la dovuta considerazione per le differenze esistenti, che sono essenziali per lavorare insieme in modo costruttivo ed efficace su questioni di comune interesse e preoccupazione».
No, non sono parole del Dalai Lama. E nemmeno di Martin Luther King, o di Mohandas Karamchand Gandhi detto Mahatma. A enunciare questi nobili principi, con cui sarebbe oggettivamente impossibile dichiararsi in disaccordo, sono stati i rappresentanti di diciannove nazioni fra cui spiccano, fra le altre, Russia, Corea del Nord, Siria e Iran. Si sono incontrati il 5 novembre proprio a Teheran – in queste settimane al centro del discorso pubblico globale a causa della violenta repressione del regime degli ayatollah nei confronti dei manifestanti per la democrazia – per ribadire la loro contrarietà alle sanzioni imposte al Paese dagli Stati Uniti.
Una convention di amici, quindi, e non è una battuta. Si definiscono proprio “Gruppo di amici in difesa della Carta delle Nazioni Unite”, in virtù dell’unione siglata nel marzo dello scorso anno con l’obiettivo di supportare il trattato fondativo dell’Onu, e che comprende anche Algeria, Angola, Bielorussia, Bolivia, Cambogia, Cina, Cuba, Guinea Equatoriale, Eritrea, Laos, Nicaragua, Palestina, Saint Vincent e Grenadine, Venezuela e Zimbawe.
La nota rilasciata nel 2021 sosteneva che il multilateralismo fosse «sotto un attacco senza precedenti» che minacciava «la pace e la sicurezza globali». «Il mondo sta assistendo a un crescente ricorso all’unilateralismo, segnato da azioni isolazioniste e arbitrarie, tra cui l’imposizione di misure coercitive unilaterali o il ritiro da accordi storici e istituzioni multilaterali, nonché da tentativi di minare gli sforzi critici per affrontare le sfide comuni e globali» recitava il comunicato.
«I cosiddetti amici», dichiarò anonimamente a Reuters un alto diplomatico europeo, «sono quelli che hanno fatto di più per violare la Carta. Forse dovrebbero iniziare a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali nei loro Paesi». Il gruppo, formalmente parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, si era incontrato a livello ministeriale a margine della 77° sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu, a New York, il 22 settembre. La riunione di Teheran, questa volta tenutasi a livello vice-ministeriale, ha voluto riaffermare la dichiarazione politica adottata in quella sede.
Nel documento di novembre si legge come gli Amici ribadiscano le loro «serie preoccupazioni sui continui tentativi volti a rimpiazzare i principi sanciti nella Carta delle Nazioni Unite […] con un cosiddetto “ordine basato su regole” che rimane non chiaro», non discusso o accettato dai membri Onu, che avrebbe il potenziale di «minare lo stato di diritto a livello internazionale». I doppi standard applicati da qualche Paese, assieme a interpretazioni di comodo della Carta «in disprezzo del bene comune o degli interessi collettivi», rappresentano «una delle maggiori minacce alla prevalenza e alla validità degli strumenti universalmente e legalmente vincolanti» che costituiscono «una conquista eccezionale per il genere umano».
Il cuore della dichiarazione si trova al punto 13, dove il gruppo esprime il proprio «incrollabile supporto a, e in solidarietà con, il popolo e il governo della Repubblica Islamica dell’Iran, soggetta a misure coercitive unilaterali, incluse sanzioni unilaterali imposte da certe nazioni, che violano la Carta delle Nazioni unite e le regole e i principi della legge internazionale, minacciando il pieno godimento dei loro diritti umani e la realizzazione del loro diritto allo sviluppo». Gli Amici chiedono il ritiro di tutte le «misure unilaterali» contro l’Iran, così come contro Cuba, verso cui il sostegno è evidenziato al punto 14. Cuba «ha resistito eroicamente all’impatto negativo del blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti per oltre sessant’anni, che ha rappresentato il maggiore impedimento al suo pieno sviluppo economico e sociale».
Questo particolare consesso di dittature esprime inoltre «preoccupazione per il potenziale impatto delle tensioni geopolitiche in atto sulle attuali […] crisi globali, e, perciò, chiede il rispetto della sovranità e dell’indipendenza degli Stati, rifiutando ogni tentativo di trincerarsi in una mentalità da Guerra Fredda basata sul confronto, sull’allargamento delle divisioni e sull’impostazione di visioni e agende disparate, nel tentativo di dividere il nostro mondo in blocchi». Curioso che a dirlo sia, fra gli altri, la Federazione Russa, colpevole di un’invasione ai danni dell’Ucraina che ha causato decine di migliaia di morti, una catastrofe umanitaria che ha portato milioni di persone a fuggire dalle proprie case e dal Paese e una crisi energetica globale, in quella che è la guerra più importante dalla fine del secondo conflitto mondiale e che ha passato ormai i nove mesi di svolgimento.
Ancora più singolare che la Russia, una nazione nota per aver interferito nei processi elettorali delle democrazie di tutto il mondo anche attraverso interventi di comunicazione falsa e fuorviante nell’opinione pubblica, si dichiari preoccupata «per la continua proliferazione della disinformazione nelle piattaforme digitali, inclusi i social media, creata, disseminata e amplificata da attori sia statali sia non statali per motivazioni politiche, ideologiche o commerciali su una scala che cresce in maniera allarmante”. Tali azioni provocano “manifestazioni di linguaggio d’odio, razzismo, xenofobia, stigmatizzazione, incitando ogni forma di violenza, intolleranza, discriminazione e ostilità». Una finta conversione che ha dell’incredibile.
Il gruppo, di cui come detto fa parte anche la Palestina, tra le altre cose riafferma il proprio sforzo «volto a terminare l’occupazione israeliana, che costituisce un’occupazione coloniale illegale e un regime di apartheid, e a raggiungere l’indipendenza dello Stato della Palestina, con Gerusalemme Est come sua capitale».