«Occidente, il tuo silenzio significa per noi la morte»: questo gridano i ragazzi iraniani nelle strade di Mahbad. E purtroppo hanno ragione. Ma cosa potrebbe fare il mondo libero per aiutare questa rivoluzione che riesce a sopportare una repressione feroce e non dà segno di fermarsi dopo due mesi di mobilitazione, quattrocento morti, sedicimila arresti e sei condanne a morte di manifestanti? Molto, ma non lo fa.
Certo, le sanzioni economiche sono già in atto e non è facile aggiungerne altre efficaci, inoltre l’Iran degli ayatollah le elude in buona parte grazie ai fiorenti commerci con la Russia, con la Cina, con Cuba, con il Venezuela e con la Corea del Nord. Un fronte di dittature non casuale. Il pieno appoggio militare di Teheran a Putin per la sua guerra in Ucraina con la fornitura di micidiali droni (che verranno ora costruiti in Russia grazie a un recente accordo con i Pasdaran che controllano e possiedono l’intera industria militare iraniana) rivela lo spessore politico pieno e anti occidentale della alleanza filo iraniana.
Spuntata la pressione economica già forte, resta però quella diplomatica, l’isolamento internazionale, e su questo l’Occidente incredibilmente non si muove, se non a parole. Nemmeno in sede Onu, che continua a non espellere l’Iran dalla Commissione sullo status delle donne! Una Onu imbelle e silente anche a fronte della ultima gravissima provocazione di Teheran che ha appena annunciato di avere raffinato uranio al sessanta per cento, a un passo dal livello utile per armare la bomba atomica.
Il punto politico è comunque chiaro: il potente e decisivo avversario della rivoluzione iraniana è la compattezza del regime. Non uno spiraglio di mediazione o di trattativa con le piazze in rivolta si è aperto. Anzi, ogni giorno che passa il blocco clericale che detiene il potere politico si subordina sempre più al blocco militare.
Sono i Pasdaran a dettare l’agenda politica a imporre una repressione feroce, nella chiara prospettiva di essere decisivi da qui a poco quando dovrà essere intronato il successore di Ali Khamenei, anziano e molto malato, quale Guida della Rivoluzione. Nessuno nel regime e nel clero osa alzare la voce o prendere le distanze dai Pasdaran, men che meno quei “riformisti” di facciata che sono scomparsi da anni dalla scena politica iraniana (se mai sono esistiti realmente e non a parole).
Dunque, questo è il nucleo di potere che va colpito e sanzionato. Annalena Baerbock, ministro degli Esteri della Germania, tenta da settimane di convincere l’Unione Europea a inserire i Pasdaran nella lista delle organizzazioni terroristiche (come già hanno fatto gli Stati Uniti nel 2019 per decisione di Donald Trump, anche se nella primavera scorsa Joe Biden stava per fare marcia indietro in nome di uno sciagurato accordo sul nucleare nella illusione reiterata che col regime degli ayatollah si possa trattare).
Questa scelta è saggia ed urgente. Avrebbe un riflesso sui troppi commerci che ancora fa l’Europa con le industrie e le infrastrutture iraniane che sono sotto il controllo societario dei Pasdaran, sul modello delle SS hitleriane. Ma soprattutto darebbe un segnale politico forte ai manifestanti iraniani che vedrebbero l’Europa trattare da terroristi, quali sono, i Pasdaran che gli sparano contro.
Giorgia Meloni e Antonio Tajani faranno dunque bene a concordare con Annalena Baerbock e col governo tedesco e francese di inserire nel prossimo Consiglio Europeo i Pasdaran nella lista delle organizzazioni terroristiche superando una tradizionale morbidezza della nostra diplomazia nei confronti del regime degli ayatollah.
E non sarebbe assolutamente insignificante se ci fosse una forte mobilitazione parlamentare e di opinione pubblica per arrivare a questo obbiettivo.