Nei primi vent’anni di questo millennio i nostri ghiacciai hanno perso 1.163 miliardi di tonnellate di ghiaccio, che in compenso hanno fornito ai mari un aumento del loro livello di tre millimetri. Chi ha visto assottigliarsi maggiormente la massa dei propri ghiacciai in senso assoluto è stata l’Alaska, seguita dalla Groenlandia. I ghiacciai che in percentuale hanno perso più massa sono quelli dei Tre fiumi paralleli in Cina, che hanno perso il cinquantasette per cento, quelli del parco Los Alerces in Argentina, che hanno perso il quarantasei per cento, e quelli del bacino di Uvs Nuur tra la Mongolia e la Russia, che hanno perso il trentasette per cento.
Dai primi anni del 2000, quindi, la fusione glaciale ha continuato la sua corsa a velocità accelerata e non vi sono elementi che possano indicarci che questa tendenza stia rallentando e possa fermarsi. Con un ritmo di cinquantotto miliardi di tonnellate di ghiaccio l’anno, che equivale al consumo annuale idrico di due nazioni come Francia e Spagna messe insieme, tutti i cinquanta ghiacciai siti dell’Unesco presentati nel rapporto “World heritage glaciers: sentinels of climate change”, hanno perso massa.
Secondo l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’educazione, la scienza e la cultura, un terzo dei ghiacciai nei siti patrimonio dell’umanità sono destinati a scomparire definitivamente, cosa che avverrà entro il 2050, mentre gli altri due terzi potranno essere salvati solamente mantenendo la temperatura globale sotto 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, come appunto dicono gli accordi di Parigi.
Entro il 2050, quindi, potrebbero scomparire tutti i ghiacciai africani, tra cui quello del Kilimangiaro, i ghiacciai di Yellowstone e di Yosemite in Nordamerica. Anche quelli delle basse e medie latitudini non versano in una situazione migliore: secondo il rapporto Unesco, per ragioni termodinamiche, negli ultimi quaranta-cinquant’anni le aree tra i duemila e i tremila metri sono proprio quelle che hanno subito l’aumento maggiore delle temperature. Cosicché, se a livello globale o europeo l’aumento delle temperature negli ultimi cinquant’anni è stato di circa un grado, in montagna lo è di circa due gradi, causando effetti molto più forti sull’ecosistema. Stessa sorte pure per i tre ghiacciai italiani che superano i dieci chilometri quadrati, Adamello, Forni e Miage. Anch’essi negli ultimi quindici anni hanno perso mediamente il dieci per cento del loro volume.
La situazione è davvero drammatica, se consideriamo che i cinquanta siti del patrimonio mondiale dell’Unesco che ospitano ghiacciai rappresentano quasi il dieci per cento dell’area ghiacciata della Terra. Tuttavia, e lo studio ben lo sottolinea, se per un terzo non possiamo nutrire alcuna speranza – scompariranno entro la metà di questo secolo qualunque sia lo scenario climatico – gli altri due terzi si salveranno se ridurremo le emissioni di gas serra e manterremo l’aumento della temperatura entro il limite di 1,5 gradi.
Solo una rapida riduzione dei nostri livelli di emissioni di CO2 può salvare i ghiacciai e la biodiversità che da essi deriva. «Metà dell’umanità dipende direttamente o indirettamente dai ghiacciai come fonte d’acqua per uso domestico, agricoltura ed energia. I ghiacciai sono anche elementi fondanti della biodiversità, alimentando molti ecosistemi – spiega il rapporto – quando i ghiacciai si sciolgono rapidamente, milioni di persone affrontano la scarsità d’acqua e il rischio di disastri naturali come le inondazioni.
«La devastante alluvione del Pakistan di agosto, che ha lasciato un terzo del paese sott’acqua -chiosa il rapporto – è stata causata da un monsone particolarmente intenso che ha fatto tracimare i laghi montani colmi a causa dalla fusione accelerata dei ghiacciai. Altrove, come in Italia, la scarsità di ghiaccio sulle montagne ha lasciato a secco i fiumi in primavera, spalancando le porte alla peggiore siccità estiva degli ultimi settanta anni».