Zoomers in enotecaSe il vino spaventa, serve competenza per aiutare a comprenderlo

Formazione solida e vino nel cuore, Filippo Carraretto - miglior enotecario d’Italia 2022 e miglior Under 30 - racconta il business con gli occhi della Gen Z, tra enoteca 4.0 e comunicazione con i giovani coetanei

Foto Maksym Kaharlytskyi - Unsplash

È il migliore enotecario d’Italia 2022 e il migliore per il premio speciale Under 30 al concorso indetto da Aepi, Associazione Enotecari Professionisti Italiani in collaborazione con Vinarius. Classe 1997, Filippo Carraretto porta il titolo in dote a La Mia Cantina, il negozio di famiglia a Padova avviato dal nonno Francesco nel 1979, dove oggi lavora assieme ai genitori.

«Da allora abbiamo solamente cambiato il civico, ma siamo sempre sulla stessa piazza», racconta ricordando quei sorsi di Serprino Frizzante (vino tipico dei vicini Colli Euganei, ndr) rubati da bambino quando il nonno, a fine giornata, portava a casa delle bottiglie da assaggiare.

Filippo studia enologia e viticoltura, ma a folgorarlo sulla via di Damasco è la “magia” trasmessa da chi sa raccontare il vino. «Veloce, chiara e professionale», così deve essere secondo lui la comunicazione con i giovani, oltre ad accogliere e rassicurare, perché il vino a volte intimorisce i consumatori meno maturi – e non solo in senso anagrafico.

Nell’intervista a Linkiesta Gastronomika, Filippo racconta l’enoteca di oggi e il ruolo chiave di chi sta dietro al bancone nell’avvicinare i consumatori al vino e ai territori.

Come ti sei avvicinato al vino? si è trattato di un processo naturale o c’è stata una spinta da parte dei tuoi genitori?
Un po’ tutte e due. La Mia Cantina è nata nel 1979 con mio nonno e da allora abbiamo cambiato il civico, ma siamo rimasti su Piazza Santa Croce. Il vino è sempre stato parte della nostra famiglia e a casa non è mai mancato. Non ho avuto l’occasione di apprendere tante nozioni dal nonno, ma ricordo che spesso alla sera si portava a casa delle bottiglie e ci faceva assaggiare qualcosa. Ero piccolo, ma ci scappava qualche bicchierino rubato di Serprino Frizzante. Più avanti sono rimasto folgorato da una delle mie prime visite in cantina da Pojer e Sandri. Erano gli ultimi anni delle superiori e non avevo un palato allenato come adesso, ma Mario Pojer mi ha davvero impressionato. Sentivo la passione che trasmetteva e mi è piaciuto il fatto che loro facessero vivere un’esperienza. Quella è stata la miccia. Da lì in poi mi sono appassionato sempre più.

Come ti sei formato sul vino?
L’università l’ho fatta a Trento, alla Fondazione Mach, dove ho preso una laurea in enologia e viticoltura. Poi nel 2018 ho trascorso tre mesi a Barolo da Luciano Sandrone, in periodo di vendemmia. Un’esperienza che mi ha dato moltissimo. Tutto quello che ho appreso con loro per me è stato fondamentale. La passione è rimasta, ma nel tempo sono cambiato io. All’inizio guardavo tanto alla produzione, adesso guardo più al lato della comunicazione. La mia prospettiva ha iniziato a cambiare quando ho assistito a una masterclass di Andrea Zarattini sul Brunello di Montalcino. Nelle sue parole riconoscevi la tecnica, ma non era così fredda come avrebbe potuto suonare con un enologo. Nel presentare il vino ci dev’essere la tecnica, ma ci devono essere anche magia e passione. Negli anni mi sono spostato verso la comunicazione con il cliente finale e la vendita in enoteca.

Come hai mosso i primi passi?
In enoteca ci sono da quando avevo 18 anni. La prima volta mia mamma mi ha messo davanti allo scaffale di Prosecco e bollicine. All’inizio avevo paura di fare figuracce. «No sta’ preocuparte, vedrai che te la cavi bene», mi ha detto e così ho iniziato. Pian piano mi sono allargato verso i vini italiani e la Valpolicella, poi la Francia, poi il settore dei distillati, anche con l’aiuto di Davide che è il nostro esperto. Prima part-time, poi più assiduamente, da circa tre anni.

Parliamo di giovani, cosa bevono i tuoi coetanei in una città come Padova?
Benzina?! (ride). Non ho tantissimi amici appassionati quanto me, ma negli anni ho conosciuto coetanei che si stanno appassionando. Quelli con più consapevolezza riescono a selezionare ciò che gli piace, ma magari hanno bisogno di aiuto. Quando rompi il ghiaccio e riesci a entrare nelle grazie dei più giovani, sono molto più aperti rispetto a consumatori dai 45 anni in su, che magari hanno più pregiudizi. Va detto, che per un giovane di 20-25 anni che fa l’università, pagarsi certe bottiglie può diventare un problema. Se riesci a far capire loro che anche con 10 euro puoi bere bene, poi ti seguono. Ci sono poi tanti ragazzi della mia età che hanno fatto qualche corso e bevono cose interessanti. Ne sanno, hanno un occhio attento e magari escono anche dai brand più conosciuti.

Dove comprano i giovani?
Io, ad esempio, acquisto diverse cose. Mi piace assaggiare anche altro rispetto a quello che abbiamo in enoteca, qualche volta acquisto online, ma più spesso vado in altre enoteche padovane – come La Moscheta o da Decanter. Mi piace guardare gli scaffali e vedo che i giovani lo fanno, l’ho visto anche durante la pandemia. I locali erano chiusi e ho visto un afflusso maggiore di giovani. Se guardo i miei coetanei, tanti vanno verso le mode o vedono dei locali su Instagram e li provano, ma in fondo l’approdo per un giovane che vuole bere bene sono le enoteche e l’online. Molti si affidano anche alla gdo, ma in fondo preferiscono bere un bicchiere fuori con gli amici. Da noi invece vengono principalmente per i regali. E tra i clienti che ritornano e si fidano, dopo il lockdown, ci sono molti giovani.

Quanto è importante la comunicazione sui social?
All’inizio eravamo titubanti, ma abbiamo pensato che sarebbe stato uno strumento utile per avvicinare i clienti dai 35 in giù. Seguo personalmente i social network assieme a un professionista. L’idea è quella di far vedere una faccia giovane, che spiega in maniera seria, facendo passare la ‘magia’ ma senza essere troppo tecnici, essere chiari e rapidi, ma senza essere approssimativi.

Quali sono i risultati?
Tanti ragazzi della mia età chiedono di me in enoteca. Per un giovane approcciarsi al mondo del vino e dei distillati è più facile se vedono un coetaneo all’interno. Certe volte vedevo ragazzi che entravano terrorizzati, quando invece noi eravamo là proprio per aiutarli. Si ‘smollano’ vedendo un coetaneo che li accoglie.

Il vino incute timore nei giovani?
Secondo me c’è un timore generale verso il mondo del vino, lo vedo trasversale in tutti i clienti. Eppure funziona come in un concessionario; devi comprare una. macchina ma non ci capisci niente e c’è qualcuno lì apposta per assisterti. Invece tante volte le persone entrano e hanno timore di fare figure barbine o di essere giudicati. Magari i giovani la vedono come una cosa da adulti e complessa da capire. E forse c’è anche un po’ di pregiudizio verso i prezzi in enoteca. C’è la paura di spendere chissà quali cifre, quando te la puoi cavare benissimo anche con 7 euro.

I giovani arrivano con un’idea o si fanno guidare? E quando c’è già un’idea, come si forma?
Se fanno dei regali, hanno le idee più chiare e partono dai gusti del destinatario.Certe volte arrivano con la bottiglia già fotografata e te la chiedono, altre invece si lasciano consigliare. Nella maggior parte dei casi hanno un’idea chiara della cifra che vogliono spendere, spesso sui 15-20 euro. Verso le proposte sono più aperti rispetto a una fascia di pubblico più matura. Ad esempio, sono riuscito a consigliare diverse volte dei vini alsaziani o zone meno battute della Francia come Languedoc-Roussilion e poi sono tornati contenti di aver conosciuto un vino nuovo.

Quali sono gli ingredienti per comunicare con i giovani?
Fare più formazione che business, questo alla fine paga. Quando sono andato a visitare Kante, ho caricato storie e video. Le persone interagivano e alcuni sono venuti in enoteca ad acquistare proprio quei vini. La comunicazione dev’essere veloce, chiara e però sempre professionale. È importante perché vedo tanta disinformazione in giro, talvolta ci sono cose spiegate in maniera approssimativa e passa un messaggio sbagliato. Quello del vino è un mondo complessissimo. Bisogna trovare il modo per spiegare in maniera chiara, senza termini difficili e risultando inclusivi. Alla lunga, mostrare che tu sei lì per aiutare, per insegnare e dare qualcosa in più, soprattutto con i giovani, a parer mio ripaga.

Quanto conta oggi la figura dell’enotecario e, più in generale, di chi ha l’ultimo contatto col pubblico?
Un guru della Champagne, Antonino Trimboli, ha detto: «Gli enotecari devono vendere vino perché a vendere bottiglie ci pensano i supermercati» e io ho sposato questa frase come il segno di ciò che dev’essere l’enoteca. Un enotecario deve essere preparato, non come un enologo ma abbastanza da affascinare il cliente e capirlo, deve conoscere un territorio e saperlo spiegare. Da qui può anche nascere la curiosità per una zona di produzione meno conosciuta. In questo senso il nostro ruolo nei confronti del cliente finale è molto importante e il gancio tra territorio e consumatore dev’essere solido.

Che caratteristiche deve avere un’enoteca oggi?
Si deve aggiornare. Ci sono ancora tante realtà che devono mettersi al passo col digitale. Un eCommerce è un modo per avere un’altra vetrina. Ho insistito su questo con i miei genitori. Ovviamente gestire un sito è un lavoro che deve fare una persona dedicata, quindi capisco che le enoteche più piccole facciano fatica. Nelle vendite online le enoteche non potranno mai competere con le grandi piattaforme, perché hanno numeri e dinamiche completamente diversi, ma devono puntare sulla scelta, la ricerca, il consiglio, l’abbinamento, l’esperienza, l’assistenza al cliente al momento dell’acquisto.

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