Se ci sono più articoli sul menù della cena che su una fantomatica conferenza di pace, forse una delle due non esiste. Qui, infatti, ci concentreremo sulla prima (per le hard news scendete), anche perché la seconda è stata un’invenzione dei titolisti italiani. Stiamo parlando della visita in America della settimana scorsa del presidente francese, Emmanuel Macron, in cui ha esibito una bromance con Joe Biden, ai limiti di quella di un vostro amico appena tornato single con la smania di mostrare sui social che la sua vita va avanti.
Pace fatta, insomma. Dopo quello sgarbo diplomatico sui sottomarini, ricordate l’Aukus?, e la «relazione speciale» con il Regno Unito a soffiare una commessa miliardaria proprio a Parigi, con l’Australia compratrice contesa. Ma mentre i giornali americani tessevano un gemmario sulla serata di gala, un’agenzia ha battuto, seguita sùbito dalle redazioni online, frasi mai dette e, soprattutto, vaticinato un summit internazionale per la pace, il 13 dicembre, che non esisteva. O, meglio, quello già in calendario per quella data era un vertice per la ricostruzione dell’Ucraina.
La stessa ansietta di ricomposizione ha portato numerose testate a titolare su una presunta apertura di Biden al dialogo con Vladimir Putin. L’ha fatto pure il Financial Times, che si presume disponga di un organico più folto dei nostri siti dove eroici redattori fanno reparto da soli. A leggere virgolettati e comunicati ufficiali, però, si scopriva che la disponibilità della Casa Bianca era vincolata a condizioni sul campo che ancora non ci sono, tra le quali il ritiro delle truppe russe e la fine del terrorismo di Stato. Qualcosa è andato lost in translation.
Quella nel bicchiere di Biden è ginger ale. È astemio, a differenza del francese. Senza una maggioranza parlamentare in Francia, secondo la firma del New Statesman Jeremy Cliffe, Macron sta vivendo una specie di «Tony Blair moment». Il format è questo: di fronte ai problemi domestici, si rilancia in politica estera. Forse anche per costruirsi un capitale verso il prossimo capitolo della sua vita. È ancora giovane, il più giovane nel ruolo. Lui. Biden è invece il più anziano presidente in carica. Quando il suo ospite nasceva, nel dicembre 1977, era già al primo mandato in Senato.
«Dear Emmanuel», «Cher Joe». I due hanno ostentato un’intesa e un affetto anche fisico. Tre ore di bilaterale a porte chiuse, dopo un rapporto “a distanza” nutrito da trenta telefonate e una lettera manoscritta per augurare buon ottantesimo compleanno a Joe. Emmanuel non si è presentato a mani vuote: ha regalato un vinile con la colonna sonora di “Un Homme et une Femme”, il film che Biden e Jill, oggi first lady, andarono a vedere al cinema per il loro primo appuntamento. Pure la conferenza stampa «a tratti somigliava a una festa d’amore», ha scritto il New York Times. Il New York Times, non Dagospia.
Torniamo alle cose importanti, cioè la cena. C’è stata un’uscita a quattro in un ristorante marchigiano di Washington (lo scoop è del Corriere adriatico), con tanto di coppa di gelato condivisa. Poi il gala, con 339 invitati, alle 9:43 di sera. Il menù includeva aragoste del Maine, caviale, vini e formaggi made-in-the-Usa. Sui crostacei c’è stata una polemica interna ai Dem, perché la loro pesca non è più considerata sostenibile. La bistecca era servita con marmellata di scalogno, le patate al burro erano cotte tre volte, c’erano ravioli ripieni con zucche coltivate nel giardino della Casa Bianca. Sulle dieci cene di Stato, ben tre hanno omaggiato la Francia. Macron è il terzo presidente a essere invitato due volte dopo Charles de Gaulle e Jacques Chirac.
Senza Angela Merkel, può atteggiarsi a leader de facto dell’Europa. Tutto bello, peccato per quell’uscita infelice, sulla necessità di offrire «garanzie di sicurezza» alla Russia nei futuri negoziati che ricorda un po’ la “strategia” di non mettere Putin in un angolo. A Kyjiv non l’hanno presa benissimo, e ci mancherebbe, ma gliene hanno chiesto conto anche la Polonia e i tre Baltici. Forse Manu non ha smaltito il dessert. Ma chi vuole parlare a nome di tutta l’Ue, se non del continente, non può permettersi queste ambiguità. L’unica è sperare in un altro errore di traduzione, ma purtroppo resta una frase vera. E indigesta.
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