In ogni locale pubblico del Marocco c’è una foto di re Muhammad VI. Non sono solo foto ufficiali, tutte uguali come quelle del Presidente della Repubblica nei nostri uffici statali, no. Ci sono anche immagini che lo ritraggono con i figli, in vacanza con la moglie, in atteggiamenti quotidiani, magari mentre beve un tè.
La monarchia è talmente tanto insita nel tessuto sociale marocchino da diventarne implicitamente parte della quotidianità, senza che nessuno ci faccia troppo caso, mentre gira tra i vicoli di Jemaa el Fnaa, o mentre attraversa l’Atlante in macchina, magari per andare da Ouarzazate a Marrakech.
Quella del Marocco non è però solo la storia di un Paese bello, capace di sorprendere con i suoi tramonti tra le dune del deserto e di emozionare il mondo del calcio con la sua nazionale. È soprattutto la storia di una corona ingombrante, autoritaria, che da anni occupa un territorio senza alcun diritto, contro le decisioni della comunità internazionale, facendo pressioni sugli Stati europei, corrompendo e spiando i politici più importanti.
Il Qatargate ha acceso i riflettori sui legami di potere illeciti e sulle manovre che alcuni regimi fanno sul Parlamento europeo per ottenere un miglior trattamento. Nello specifico, se il Qatar ha fatto in modo che a Bruxelles si parlasse bene dell’organizzazione dei Mondiali appena conclusi, il Marocco ha spinto perché fosse riconosciuta la sua autorità sul Sahara Occidentale.
Facciamo un piccolo passo indietro (neanche troppo piccolo). Per la prima volta nel 1973, la Spagna, che andava verso la fine del franchismo, iniziò a valutare, a causa delle pressioni dell’Onu, l’ipotesi di dare autonomia al Sahara Occidentale, Paese che era una sua colonia.
Questa volontà di chiudere la pagina del colonialismo si scontrò fin da subito con le mire di Re Hassan II, il padre di Muhammad VI, che voleva avere potere sulla regione perché ricca di materie prime, perché rappresenta il quaranta percento della superficie attuale dello Stato maghrebino, ma anche per portare avanti l’ideologia distorta di «Grande Marocco».
Questa idea, nata nel 1937, è ripresa dal monarca alawide, secondo cui Rabat avrebbe dovuto conquistare la Mauritania, la regione occidentale del Sahara algerino, parte del Mali occidentale, Ceuta, Melilla, le Isole Alhucemas, le Isole Chafarinas, Peñón de Vélez de la Gomera, Perejil, Alboran, le Isole Canarie, l’Arcipelago di Madeira e, per l’appunto, il Sahara Occidentale.
La questione venne portata all’attenzione della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, che nel 1975 emise una sentenza in cui rispondeva ad alcune domande. Alla più importante (Erano Rio de Oro e Saguia El Hamra al momento della colonizzazione della Spagna un territorio che non apparteneva a nessuno, terra nullius?), la risposta fu (testualmente):
«La Corte dichiara che né gli atti interni né gli atti internazionali invocati dal Marocco indicano l’esistenza nel periodo di riferimento dell’esistenza o del riconoscimento internazionale dei legami giuridici di sovranità territoriale tra il Sahara Occidentale e lo Stato del Marocco. […] Essi forniscono, tuttavia, indicazioni che un vincolo legale di lealtà esisteva nel periodo in questione tra il Sultano e alcuni, ma solo alcuni, dei popoli nomadi del territorio, attraverso i leader tribali della regione di Noun, e loro testimoniano che il Sultano ha dimostrato loro, ed è stato riconosciuto da altri Stati di possedere, qualche autorità o influenza nei confronti di tali tribù».
Il tutto suffragato da una relazione successiva delle Nazioni unite che specificava che: «Nel territorio la popolazione o per lo meno la quasi totalità delle persone che ha incontrato si è pronunciata categoricamente in favore dell’indipendenza e contro le rivendicazioni territoriali del Marocco e della Mauritania. […] Il Fronte Polisario, che era considerato come clandestino fino all’arrivo della missione, è apparso come la forza politica dominante nel territorio. Ovunque nel territorio, la missione ha assistito a manifestazioni di massa in suo favore».
Questa querelle si concluse il 6 novembre del 1975, quando trecentocinquanta mila marocchini, scortati da venticinque mila uomini dell’esercito, invasero il Sahara Occidentale, con la scusa di una manifestazione non violenta che prese il nome di Marcia Verde (un evento talmente importante che fino al 2013 è stato ritratto sulla banconota da cento Dirham).
Da quel momento il Marocco occupa il Sahara Occidentale e la popolazione che un tempo abitava la regione vive oggi in campi profughi, la maggior parte su territorio algerino, Paese che ha dato rifugio a centinaia di migliaia di persone. Se ve lo state chiedendo, sì, gran parte dei Saharawi ha vissuto la sua intera vita dentro tende di fortuna nel mezzo del deserto.
Dal 1991 è presente la missione Onu Minurso, che oggi è guidata dall’italo-svedese Staffan De Mistura e che in trentun anni non ha portato nessun risultato, benché meno l’inizio del censimento per impostare il referendum sull’autodeterminazione che i Saharawi chiedono da quasi mezzo secolo e che le Nazioni Unite, almeno sulla carta, sosterrebbero (Minurso sta per Mission des Nations Unies pour l’Organisation d’un Référendum au Sahara Occidental).
Oggi la questione del Sahara Occidentale, che i media non trattano mai con grande interesse, torna su tutte le prime pagine del mondo, complice il Qatargate. L’inchiesta che fa tremare il Parlamento europeo tira fuori ogni giorno nuovi dettagli. Mettendo insieme i puntini però appare evidente che il ritratto che viene fori è quello rubicondo di re Muhammad VI.
Andiamo con ordine. A maggio scorso il deputato basco Aitor Esteban aveva accusato il regno del Marocco di aver spiato i cellulari personali di alcuni dei ministri più importanti di Spagna. Alle sue parole fecero seguito inchieste e dibattiti, finché il Guardian non è arrivato al vero proprio scoop: oltre duecento telefoni spagnoli, compreso quello del Premier Pedro Sanchez, sono stati infettati dallo spyware Pegasus.
Madrid non ha mai polemizzato con Rabat, per non alimentare lo scontro tra i due Paesi, divampato durante l’emergenza coronavirus, quando il presidente della Repubblica del Sahara Occidentale Brahim Ghali fu ricoverato sotto falso nome e con passaporto algerino proprio in Spagna, contro il parere di Muhammad VI. Il giornale inglese però ha trovato i numeri di cellulare in una lista di contatti, circa cinquantamila, raccolta dal Marocco nel 2019.
Una vicenda senz’altro preoccupante, ma cosa c’entra Qatargate? C’entra nel momento in cui, in una lettera che il ministero degli esteri marocchino inviò nel 2011 al suo ambasciatore presso l’Unione Europea, venne scritto che: «La visita a Tindouf (città in Algeria dove ha sede il governo della Repubblica del Sahara Occidentale, ndr.) è indispensabile per supportare la credibilità del sig. Panzeri presso l’Algeria e il Polisario, visto che lui è stato accusato di essere pro-Marocco. Non è nell’interesse del Marocco che il sig. Panzeri sia percepito come tale».
In parole povere, il Marocco avrebbe scelto a suo tempo Panzeri come “agente sotto copertura” per visitare i campi Saharawi, mostrarsi accogliente, ma allo stesso tempo portare avanti a livello europeo le politiche contro l’autodeterminazione. Ancora, nel documento si chiarisce, sempre riguardo Panzeri, che: «È difficile non vedervi un capacità di disturbo, che dimostra come l’interessato possa essere un alleato di peso o un avversario da temere».
Potrebbe essere sicuramente una coincidenza, un caso isolato. Beh, sì, se non esistesse un’altra nota, stavolta del 2013, in cui Panzeri viene definito un «amico intimo del Marocco» e in cui si parla della sua importanza centrale nell’attuazione del «piano d’azione per il Parlamento Europeo».
In che modo però gli eurodeputati avrebbero potuto aiutare Muhammad VI nella battaglia per mantenere lo status d’occupazione nel Sahara Occidentale? Semplice: organizzando conferenze, eventi, incontri, alimentando dibattiti in cui rilanciare la «soluzione marocchina» (che prevede il solo riconoscimento dello status di regione a statuto speciale, a discapito dell’autodeterminazione) nell’opinione pubblica, ma soprattutto, contrastando le conseguenze della sentenza della Corte di Giustizia Europea che dal 2016 garantisce ai Saharawi una rendita per lo sfruttamento delle risorse della loro terra (su tutte: fosfati e pesce).
Un approccio sistematico che trova riscontri ovunque, andando a cercare. Anche nei cablogrammi marocchini del 2014, quasi un decennio fa. Al tempo, c’era grande preoccupazione per la posizione dei socialisti europei, generalmente avversi al Marocco e sensibili alla causa Saharawi. Nei loro messaggi di corrispondenza, inviati stavolta dall’ambasciata di Bruxelles verso Rabat si legge, senza troppi giri di parole:
«Il nuovo alto rappresentante (per gli esteri e la sicurezza, ndr.) Federica Mogherini, proveniente dal Pd, partito promotore della mozione contro il Marocco al Parlamento italiano, ha assunto posizioni favorevoli alla tesi dei separatisti sulla questione del Sahara Occidentale. Pertanto, è necessario agire con gli amici del Marocco (alti funzionari europei e membri del partito S&d, in particolare Gilles Pargneaux e Antonio Panzeri) per sensibilizzare su questo tema».
In definitiva: i tentacoli del Marocco arrivano senza troppa difficoltà dentro le aule dei Parlamenti del nostro continente: si annidano tra i banchi, nelle tasche, nei cellulari, per portare avanti interessi oscuri, con buona pace delle popolazioni del Sahara Occidentale, mentre la Mezzaluna Rossa, ciclicamente, avverte che la situazione umanitaria nella regione è al collasso, e mentre la guerra sembra sempre più vicina, dopo che nel novembre 2020 l’esercito marocchino ha violato la tregua che resisteva dal 1991. Il tutto nell’inconsistenza di una missione Onu che non ha ancora neanche posto le basi per un referendum sull’autodeterminazione.
Chissà cosa ne faranno i Saharawi, circondati da 2720 chilometri di muro disseminato da due milioni di mine antiuomo, delle foto di Re Muhammad VI che gioca con i figli, o prende il tè.