Renew PdL’agonia della sinistra e l’occasione imperdibile per riformisti e liberali

Il Partito democratico completa la sua regressione ad alleanza socialista e populista, e allontana i popolari e i riformisti. Forse è arrivato il momento di semplificare e di mettere insieme i socialisti con i socialisti e i liberal democratici con i liberal democratici

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L’abbandono del Partito democratico da parte di tanti elettori e di tanti iscritti e militanti ha un effetto preciso: il baricentro della base del partito si sposta nettamente a sinistra. Ad uscire, o minacciare di farlo visto come si stanno mettendo le cose, sono infatti i più lontani dalla linea “socialista” che oggi qualcuno vuole rinverdire, ultimo è il caso degli ex popolari che comprensibilmente con Pierluigi Castagnetti hanno detto che non potrebbero restare in un partito che avesse cambiato il suo profilo ideale.

Ma anche tra “liberal”, ex veltroniani, riformisti di vario tipo l’allarme è il medesimo. Il primo a esternarlo in modo esplicito era stato Giorgio Gori ma sono tanti che la pensano come lui senza dirlo. D’altra parte è chiaro che la sinistra dem, i cui ideologi sono Goffredo Bettini e Massimo D’Alema (i più forti dirigenti della Fgci 1976-79), punta a una prospettiva “socialista”, pur non essendo chiaro a quale esperienza concreta faccia riferimento: ma per quello c’erano bene o male i Ds.

Viene in mente quello che disse Jean-Luc Godard a una sua ammiratrice: «I sentimenti? Ma per quelli c’è Truffaut!». Che senso avrebbe avuto allora fare il Partito democratico se non quello di superare vecchi steccati e antichi miti e costruire un nuovo partito appunto «non socialista» come lo definì a suo tempo Walter Veltroni? Per questo è inevitabile che il fenomeno delle uscite e degli abbandoni ci sia già, colpendo soprattutto quegli iscritti ed elettori appunto più lontani dalla prospettiva socialista.

Per quanto riguarda gli elettori l’ultimo dato Swg è impressionante, dal momento che colloca il partito di Letta al 14,7 per cento, minimo storico, ipotizzando uno sgocciolamento progressivo che evidentemente né un’astrusa macchina congressuale e probabilmente nemmeno le figura dei candidati riescono a bloccare.

Il fenomeno rischia di assumere proporzioni serie e di smuovere il quadro generale degli orientamenti politici ma la domanda a questo punto diventa un’altra: chi è in grado di raccogliere questo “sgocciolamento”? Purtroppo per i riformisti laici e cattolici del Partito democratico non si scorge alle viste un contenitore politico in grado di proporgli una nuova casa perché per varie ragioni il Terzo Polo non pare attrezzato alla bisogna. Forse perché Carlo Calenda e Matteo Renzi pongono in cima alla loro strategia un’altra tematica, non meno interessante peraltro, quella dell’attrazione dei liberali ancora dentro Forza Italia, e l’ostilità mista a delusione verso i riformisti del Partito democratico è ancora troppo densa per aprire questo capitolo.

E il discorso vale, al rovescio, anche per quanto riguarda questi ultimi. Gori a questo proposito è stato chiaro: «Renzi vorrebbe che il Pd diventasse una cosa piccola e estremista tutta di sinistra per allargare il suo partito, fa il tifo perché succeda quello che è successo in Francia. Io farò di tutto perché questo non accada e non abbia soddisfazione. Chi vuole spostare il Pd dal centrosinistra alla sinistra fa un grande regalo a Renzi».

Tuttavia, se il congresso dovesse sancire uno snaturamento in senso “socialista” del Partito democratico è chiaro che per tutti questi bisognerà «andare a fare il Pd da un’altra parte» (formula gentiloniana di molti anni fa ma che rende l’idea).

Resta da capire insomma che fine faranno i riformisti ora nel partito se dovessero perdere il congresso – che poi si può perdere in molti modi – o se comunque la deriva dem dovesse rivelarsi irrecuperabile.

Che farebbero Gori, Guerini, Delrio, Bentivogli, Ceccanti, Castagnetti, lo stesso Zanda, e soprattutto gli elettori legati alla visione dell’Ulivo prodiano e del primo Partito democratico veltroniano.

E poi: cosa intendono fare Calenda e Renzi? Aprirsi o alzare le saracinesche alla loro sinistra? Dalle risposte a queste domande potrebbe scaturire una novità nel panorama politico e anche un elemento di chiarezza, le famose mele con le mele e le pere con le pere, cioè i socialisti con i socialisti (qualunque cosa voglia dire), i liberal democratici con i liberal democratici. Nel disastro dem potrebbe insomma venire qualcosa di nuovo. Sempre che, al solito, non prevalga il caro vecchio tran tran.