La manifestazione a Piazza Santi Apostoli di sabato contro la legge di bilancio segna il punto più basso della storia delle mobilitazioni del Pd (non facciamo paragoni poi con i partiti-padri, dal Pds al Ppi). Qualche centinaio di persone che coraggiosamente hanno speso due ore della loro vita per andare a sentire i dirigenti ripetere cose che sapevano benissimo, quei dirigenti che hanno sul volto le rughe della sconfitta, non di una sconfitta come ce ne furono altre ma di una disfatta storica. Hanno gli occhi impauriti dal futuro, altro che “di tigre”.
Cammina come in una città distrutta, il Pd: ovunque macerie. Lo scandalo europeo che lo ha lambito e forse colpito si è andato a innestare su un crisi generale che investe tutti gli aspetti della vita di un partito (si salva solo la buona amministrazione di alcune regioni e molti comuni dove tanti amministratori onesti e sconosciuti fanno il loro dovere): basti pensare a un’organizzazione sempre più fatiscente o a una comunicazione inesistente o persino negativa.
Pd, anno zero, verrebbe da dire, come la “Germania anno zero” di Rossellini, tragedia ben più enorme, va da sé. Ma anche quella del Pd è a suo modo una tragedia, perché per la prima volta da quando è nato corre davvero il rischio di morire. Per ragioni politiche, non giudiziarie: queste semmai sono un’escrescenza putrida delle prime.
Lungo sarebbe il discorso su come si sia giunti a questo punto. A noi sembra un po’ un salto mortale quello di Massimo Giannini e in certo modo di Lucia Annunziata che scorgono nelle stagione del riformismo anni Novanta l’incubatrice della degenerazione morale cui stiamo assistendo. Il salto da Bill Clinton ad Antonio Panzeri è un carpiato con avvitamento da Tania Cagnotto, né regge l’equazione “teorica” riformismo uguale soldi. La faremmo un po’ più semplice.
Diciamo che in quella stagione il riformismo italiano si è pericolosamente manifestato sotto forma di provincialismo, subalternità a certi poteri forti, atteggiamenti da parvenu, un tocco di delirio di onnipotenza e grande disinvoltura politica e culturale, tutti tratti di quella stagione dalemiana del cui fascino sia Giannini che Annunziata non furono immuni, una stagione che lasciò sul campo quei detriti negativi che da subito inibirono la nascita di un nuovo partito riformista liberaldemocratico, facendo sì che il Pd fosse nient’altro che la somma dei due partiti precedenti e che una precisa area mischiò spesso politica e affari. La colpa di tutti gli altri è stata quella di sorvolare ”per il bene del partito”, rinviando sempre il chiarimento definitivo, prima che Renzi finisse strozzato da quelle stesse liane che voleva recidere.
Oggi quel nodo viene al pettine essendosi aggrovigliato a dismisura a causa dei conti non fatti con la storia, della debolezza organica dei gruppi dirigenti e del conseguente cedimento strutturale dell’organizzazione (molti circoli via via hanno chiuso, tantissimi altri sono semivuoti, in molte realtà non si sa neppure quanti siano e chi siano gli iscritti). È un nuovo “Dio che è fallito”, come recitavano i testi di Silone, Gide, Koestler a proposito del comunismo realizzato.
Tutto questo ovviamente non è un problema che riguarda solo Enrico Letta o chi verrà dopo di lui. Ma è una questione che investe la qualità della democrazia. Giorgia Meloni non ha un’opposizione organizzata, una condizione che dal 1946 non si era mai vista. Qualcuno pensa che si sia imboccata la deriva francese, o la prospettiva greca, cioè i burroni in cui caddero i socialisti del Ps e quelli del Pasok, e che Giuseppe Conte volteggiando come un avvoltoio sulla potenziale carcassa democratica facendo il suo mestiere di Mangiafuoco della politica finirà col mangiarsela.
In tutto questo, i Dem si sono inventati un Congresso estenuante per lunghezza dei tempi e per meccanismi cervellotici: la Costituente che non esiste se non per far entrare Speranza (nel senso di Roberto), la Bussola (un questionario ridicolo), i Saggi che stanno scrivendo un Manifesto superfluo (andava bene quello del 2008 aggiornato). Tanto che qualcuno se n’è andato dal “Comitatone”, e anche piuttosto seccato, come lo scrittore Maurizio De Giovanni.
Pd anno zero: può anche darsi che toccato il fondo si ripartirà. Non c’è molto tempo. “Germania anno zero” finiva con un suicidio.