Effetto inflazionePichetto Fratin dice che al suo ministero mancano 5 miliardi per realizzare le opere del Pnrr

«O si taglia sulle opere o non ci stiamo dentro», spiega il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica. Sul rigassificatore di Piombino, «noi andiamo avanti, speriamo di portarlo in funzione tra marzo e aprile». Mentre sulla Lukoil, dopo il 5 dicembre, le strade sono due: «Potrebbe essere un’ipotesi l’intervento dello Stato, con garanzie se sono sufficienti, o al limite estremo con un’operazione di quasi nazionalizzazione»

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Accelerare sui tempi, ma anche rinegoziare il Piano nazionale di ripresa e resilienza perché i soldi stanziati prima della guerra e dell’inflazione alle stelle non bastano più. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, alla Stampa dice che solo al suo ministero mancano 5 miliardi. Soldi in più che servirebbero a causa dei prezzi lievitati.

Il suo ministero è chiamato a gestire 35 miliardi dei fondi in arrivo. Ma, visti i costi attuali, ne servirebbero almeno 40 per realizzare le opere calendarizzate. «Solo il mio ministero ha un onere maggiore di 5 miliardi sugli interventi. O si taglia sulle opere o non ci stiamo dentro», spiega Pichetto Fratin. «Sull’attuazione del Pnrr c’è un ritardo, ma il mio dicastero sta rispettando tutte le tappe e i target. Sto attrezzando il ministero perché abbia una struttura di consulenza per gli enti locali: l’80% dell’attuazione del Pnrr spetta a loro. Dobbiamo fare in modo che gli interventi non rimangano bloccati anni per un parere».

Quanto al tema energetico, il ministro dice che «la transizione energetica è il rovesciamento della clessidra che ci porta a dover ricercare a Sud il gas che prima arrivava da Nord e che in prospettiva può anche porre l’Italia in condizione di vantaggio rispetto ad altri Paesi europei. Non abbiamo ancora rovesciato la clessidra, la Russia continua ad avere interesse a esportare gas e noi a non essere in condizioni di autosufficienza. Non siamo ancora fuori dal tunnel, dunque. Per questo inverno ce la faremo ma la preoccupazione resta forte perché da maggio dobbiamo riempire gli stoccaggi per dare copertura alla prossima stagione invernale e questa è un’impresa ardua. Secondo gli ultimi dati di ieri, abbiamo portato in Italia 250 milioni di metri cubi di gas di cui 90 dall’Algeria che è diventato il nostro primo fornitore, ma 30 arrivano ancora dalla Russia e la media giornaliera in arrivo da questo Paese si aggira sui 20 milioni di metri cubi. Poi 25 milioni di metri cubi, fortunatamente, arrivano dal Tap, una decina dalla Norvegia e 45 di gas liquefatto che in questo mento satura i nostri rigassificatori».

La Russia, prosegue, «ha ancora bisogno di esportare e l’Europa non è ancora autosufficiente. Questo problema non si pone tanto per l’Italia, che ha solo tre rigassificatori che vengono saturati presto, ma di altre nazioni. Una su tutte la Germania».

Ma sul rigassificatore di Piombino «noi andiamo avanti, speriamo di portarlo in funzione tra marzo e aprile. È un legittimo il diritto di Piombino anche il ricorso al Tar, lo Stato si difenderà. È una questione nazionale, al di là di quello che sarà il giudizio del Tar. Il venir meno di 5 miliardi di metri cubi di stoccaggi in prospettiva nel 2023 creerebbe enormi problemi al nostro Paese».

Più ardua la battaglia sull’introduzione del tetto al prezzo del gas a livello europeo: «La questione si era bloccata per la posizione della Germania, che era molto dura nel non volerlo. Mentre i 15 Paesi favorevoli, di cui l’Italia era capofila, erano più preoccupati dal prezzo, i tedeschi erano più preoccupati della quantità. L’accordo con il Qatar di martedì fatto dalla Germania per importare 15 milioni di metri cubi penso potrebbe ammorbidire questa posizione. Continuiamo a portare avanti questa battaglia e mediare una soluzione tecnica».

Dal 5 dicembre, intanto, scatterà l’embargo totale dal petrolio russo. Si pone quindi il caso del gruppo Lukoil. «Su questo il governo sta ragionando su varie soluzioni. Una, in attesa che si possa arrivare a un compratore e una proprietà che non sia più russa, potrebbe essere un’ipotesi l’intervento dello Stato, con garanzie se sono sufficienti, o al limite estremo con un’operazione di quasi nazionalizzazione», spiega. «Oppure con deroga rispetto al meccanismo delle sanzioni. Le possibilità sono tre: o ci autorizzano la deroga come per la Bulgaria oppure la valutazione è dire se non c’è subito un compratore bisogna fare un’operazione ponte dello Stato».

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