«Eu-Ets» è una di quelle sigle da addetti ai lavori. Respingente. Eppure dalla riforma del sistema di scambio di quote di emissioni passa la capacità dell’Unione europea di raggiungere gli obiettivi del Fit for 55, cioè l’architettura di misure per tagliare del cinquantacinque per cento i gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1992. L’accordo è arrivato, lo ha annunciato dopo trenta ore di trattative proprio la presidenza ceca del Consiglio europeo. Alcuni capitoli, come l’estensione del mercato del carbonio ai cittadini e una transizione di quattro anni sui permessi gratuiti di cui si avvalgono le industrie, sono meno ambiziosi di come avrebbe voluto l’Europarlamento, ma l’assetto uscito dal compromesso è comunque un passo in avanti. Sarà votato dalla plenaria di febbraio.
Una (lenta) sanatoria
Nel quadro di Eu-Ets, le aziende europee inquinanti ricevono su base annua dei crediti per ogni tonnellata di anidride carbonica (o per l’ammontare equivalente di un altro gas serra) che producono secondo i limiti di Bruxelles. A quel punto, le strade per una ditta sono due: spendere quei crediti, che ovviamente non sono infiniti, per emettere gas serra nell’ambito delle sue attività, oppure vendere alcune quote ad altre imprese, investendo però «più del cinquanta per cento dei profitti» per tecnologie ecosostenibili, cosa che non sempre accade.
Una delle principali novità del ritocco dello schema è che tutti i ricavi, non più solo la metà, verranno destinati al contrasto al cambiamento climatico. È indicativo del negoziato il verbo del testo: «Shall», che in inglese ha una sfumatura che oscilla tra i nostri «potranno» e «dovranno», per altro non accompagnato (a differenza di altre sezioni dell’intesa) da scadenze precise. Un tema sensibile riguarda poi i «permessi di carbonio gratuiti».
Erano nati per evitare che le industrie (anche di settori impattanti come cemento e siderurgico) delocalizzassero una volta esaurita la loro quota, ma secondo le ultime contestazioni del Wwf negli anni sono diventati un salvacondotto – da cento miliardi di euro tra il 2013 e il 2021 – per inquinare “a scrocco”, cioè senza pagare. L’Europarlamento aveva chiesto di rimuovere questo strumento entro il 2032, Commissione e Consiglio entro il 2036. Il punto d’incontro è stato trovato per il 2034, con una progressiva riduzione annuale come nella tabella qui sotto.
Il nuovo meccanismo
In parallelo all’abbattimento dei vecchi permessi, subentrerà un nuovo Carbon Border Adjustment Mechanism. Partirà nel 2026, sarà pienamente operativo entro il 2034. Lo scopo è sempre quello di proteggere dalla concorrenza straniera comparti strategici (ma altamente inquinanti) come cemento, chimica, alluminio, fertilizzanti, ferro e acciaio, produzione di energia elettrica e idrogeno. Entro il 2025, la Commissione dovrà calcolare i rischi di carbon leakage, cioè di «fughe di carbonio».
In pratica, per importare nel mercato comunitario dei prodotti con un alto impatto ambientale sarà necessario acquistare dei permessi che coprano la differenza tra la tassazione sul carbonio del Paese d’origine – per esempio gli Stati Uniti non ne hanno una – e quella pagata da chi produce nell’Ue. Una specie di dazio doganale green. Da un lato punta a proteggere le filiere europee, per evitare che gli obiettivi ecologici le penalizzino rispetto a quelle di nazioni meno virtuose; dall’altro mira a scoraggiare le rilocalizzazioni, rendendole più costose. Tradotto: chi pensa di poter spostare altrove, di esternalizzare, le sue emissioni e continuare a vendere nell’Ue dovrà pagare.
Non verranno invece introdotti sconti per facilitare le esportazioni, perché ritenuti non compatibili con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Agli Stati membri, invece, sarà consentito trasferire queste entrate a sostegno dei comparti potenzialmente danneggiati dalla fine del regime di favore dei permessi. «Se l’industria dell’acciaio si lamenta, o non vuole decarbonizzare o non ha letto il testo», ha spiegato in conferenza stampa il relatore, il tedesco Peter Liese (Ppe).
Ets2, raddoppio con un «freno d’emergenza»
I settori che rientrano nell’Ets, a cui ora si aggiunge quello navale, dovranno tagliare del sessantadue per cento le loro emissioni entro il 2030. Si disegna anche un mercato del carbonio scorporato per i combustibili fossili destinati al riscaldamento delle case e ad alimentare le automobili. Per raggiungere un’intesa, il Parlamento europeo ha rinunciato alla sua battaglia per non equiparare imprese e privati, ottenendo in cambio due clausole di salvaguardia.
Lo chiama «freno d’emergenza» il francese Pascal Canfin (Renew), presidente della commissione Ambiente dell’Europarlamento. Ets2 partirà un anno dopo, nel 2028, qualora il prezzo del carbonio superasse nel 2027 i novanta euro alla tonnellata. Dopo l’introduzione viene inoltre previsto un tetto – un vero e proprio price cap, a tutela dei consumatori – di quarantacinque euro, almeno fino al 2030. Infine, vengono stanziati 86,7 miliardi di euro (contro i cniquantanove inizialmente proposti) per aiutare i cittadini nella transizione verso mobilità, alimentazione delle case e riscaldamento più puliti.
Un compromesso bipartisan
«Troppo poco, troppo tardi». Così il Wwf ha bocciato l’accordo, deluso in particolare per la mancata applicazione del principio «chi inquina paga». Anche Carbon Market Watch ha criticato il testo, che favorirebbe più le grandi aziende dei cittadini di fronte allo spettro della deindustrializzazione. Lo schema europeo potrà integrarsi a quelli nazionali, o sostituirli, nei Paesi che già prevedono una tassazione del carbonio, come Francia e Germania, mentre vorrebbe interrompere l’immobilismo di chi ancora non l’ha introdotta, come Polonia e Italia, e al tempo stesso innescare investimenti più green.
«Per la prima volta c’è una definizione di “povertà energetica” nella legislazione europea – sottolinea l’eurodeputato romeno Dragoș Pîslaru –. Non lasceremo nessuno indietro». Liese si inorgoglisce per la «grande maggioranza» raccolta da provvedimento, con apprezzamenti anche di Verdi e Sinistra, fino ai conservatori di Ecr. «Da Tsipras a Meloni», dice. Un compromesso lascia sempre qualcuno deluso, riconosce il relatore, ma sui prossimi passi – e, soprattutto, sulle prossime iniziative – auspica lo stesso spirito collaborativo.