Aria di guerra non solo a un braccio di mare dall’Italia, ma anche in una nazione, il Kosovo, che vede 852 militari italiani operare come forze di interposizione all’interno di un contingente NATO di migliaia di militari sotto il comando del generale italiano Michele Ristuccia. Dal suo lato della frontiera infatti la Serbia ha appena posizionato i cannoni pronti al tiro, ha ammassato truppe e il presidente Aleksandar Vučić ha messo le forze armate in stato di allerta massima. Altrettanto minacciosa la disposizione militare del Kosovo mentre barricate dividono in due Mitrovica per separare la minoranza serba della città dalla maggioranza albanese
Nelle ultime settimane moltissimi incidenti, per fortuna senza vittime, ma si sono sentiti molti spari in aria, hanno avuto luogo tra poliziotti della minoranza serba del Kosovo (centomila cittadini) e poliziotti della maggioranza albanese (1.650.000 cittadini) in un crescendo di tensioni sulle quali soffia la Russia di Putin che vede sicuramente di buon occhio l’apertura di un secondo fronte anti occidentale in Europa.
La causa scatenante della grave crisi è apparentemente quasi risibile: la scorsa estate infatti il governo kossovaro di Pristina ha disposto che gli automobilisti della minoranza serba avrebbero dovuto staccare dalle loro auto le targhe della Serbia, che orgogliosamente usano, per sostituirle con quelle kossovare. Naturalmente i serbi del Kosovo hanno rifiutato, perché in realtà non riconoscono l’esistenza stessa dello Stato kossovaro – così come non lo riconosce la Serbia – e si è dunque innescata la spirale di tensioni che negli ultimi giorni si è accentuata.
Una crisi serissima e più che allarmante, tanto che dopo anni di totale disinteresse dell’Italia per questa area da parte dell’ineffabile Luigi Di Maio, sia il nuovo titolare della Farnesina Antonio Tajani che Guido Crosetto, titolare della Difesa, si sono recati a Pristina e a Belgrado per avviare con forza una mediazione. Invano.
In realtà i due contendenti, il governo della Serbia e quello del Kosovo hanno tutto l’interesse ad acuire la tensione. Il governo di Belgrado, nonostante il presidente Vučić punti seriamente all’ingresso nell’Unione Europea, non ha nessuna intenzione di riconoscere l’amputazione dalla repubblica di Serbia della regione del Kosovo imposta dalla NATO con la guerra del 1998. Inoltre, la Russia di Vladimir Putin preme in questi mesi sullo storico alleato serbo perché irrigidisca la sua posizione e addirittura perché apra nei Balcani un secondo fronte contro la NATO
Specularmente, il governo di Pristina intende approfittare al massimo del fortissimo impegno militare della NATO in Ucraina per usare di una crisi al calor bianco che lo faccia uscire dal limbo in cui è sempre vissuto.
La realtà infatti è che, mentre era più che giustificata la guerra dichiarata nel 1998 dalla NATO alla Serbia di Slobodan Milosevic che stava conducendo una feroce pulizia etnica contro gli albanesi in Kosovo, dieci anni dopo, nel 2008, la decisione di proclamare l’indipendenza di una regione mai stata storicamente uno Stato è stata più che discutibile e foriera di instabilità cronica. Sul fronte delle relazioni internazionali infatti né la Grecia, né la Spagna, né Cipro, né la Romania, né la Slovacchia né 95 Stati membri dell’ONU su 193, riconoscono l’indipendenza del Kosovo. Tra questi ovviamente la Russia e i suoi alleati, ma anche l’Ucraina, la Cina, l’India e quasi tutti gli Stati dell’Asia e dell’America Latina.
La ragione di questo rifiuto è duplice. Innanzitutto, quasi la metà delle nazioni del mondo non accetta il principio di creare uno Stato ex novo, mai esistito storicamente, giudicandolo un pericolosissimo precedente per le proprie regioni autonomiste. Una secessione unilaterale di un nuovo Stato non è mai stata infatti accettata dalla comunità internazionale. Unica eccezione, la secessione del Sud Sudan dal Sudan che però è stata concordata dopo una guerra e una trattativa con lo Stato, il Sudan appunto, che precedentemente vi esercitava la sovranità,
In secondo luogo perché era evidente a molti che sarebbero – come sono – incontrollabili le feroci e millenarie tensioni e guerre tra i serbi cristiano ortodossi, che avrebbero mantenuto una consistente minoranza in Kosovo, e gli albanesi musulmani che controllano il governo di Pristina. Con una aggravante: durante la guerra del 1998 gli USA decisero improvvidamente di levare dalla loro lista delle organizzazioni terroriste la Uçk, la organizzazione autonomista kossovara e di riconoscerla invece, di colpo, come legittimo esercito di liberazione nazionale. Il risultato sul lungo periodo di questa mossa è stato disastroso. Infatti dopo la saggia leadership nel governo del Kosovo post 1998 dell’intellettuale moderato Ibrahim Rugova, i dirigenti della pur disciolta Uçk sono riusciti a imporsi nel governo di Pristina applicando nel paese una politica del terrore e mafiosa, praticando omicidi politici degli avversari e sempre finanziandosi con traffico di eroina, contrabbando e atrocità varie.
Tra questi ex dirigenti della Uçk dalle mani sporche, di nuovo con una scelta improvvida, gli Stati Uniti hanno per un ventennio privilegiato Hasim Taçi, considerandolo il più politico, tanto che questi è riuscito a diventare primo ministro dopo le elezioni del 2007, imponendo a una riluttante Unione Europea la scelta della indipendenza formale (voluta però fortemente ma di nuovo incautamente dagli allora ministri degli Esteri della Germania e dell’Italia Frank-Walter Steinmeier e Massimo D’Alema).
Hasim Taçi infine è riuscito addirittura a diventare presidente della Repubblica tra il 2016 e il 2020. Presidenza bruscamente interrotta su mandato del Tribunale Speciale per la ex Yugoslavia dell’Aja che gli ha finalmente contestato assieme ad altri ex dirigenti della Uçk crimini di guerra e contro l’umanità. Crimini di guerra e contro l’umanità che peraltro la pur disciolta Uçk e altre organizzazioni islamiche hanno perpetrato sin dell’indomani della fine della guerra del 1998. La NATO infatti è stata costretta a inviare subito in Kosovo un forte contingente denominato Kfor forte ancora nel 2007 di sedicimila unità – oggi sono 3411 – per proteggere manu militari chiese e conventi serbo ortodossi attaccati freddamente dagli albanesi musulmani con molte vittime. La NATO ha quindi disposto una cintura di sicurezza armata a favore della minoranza serba che risiede nel nord del Kosovo ma anche in alcune enclaves.
Dunque un esistenza travagliata del più giovane stato europeo, inquinata sino al 2020 da classi dirigenti malavitose e criminali, solo oggi finalmente normalizzate, che ha tutte le premesse per diventare l’ennesima polveriera dei Balcani.