Canton TamigiPerché il rapporto dell’Ue con il Regno Unito non può essere come quello con la Svizzera

Il primo ministro Sunak esclude un accordo con Bruxelles sul modello di quello con la Confederazione, che non soddisfa nessuna delle controparti. Per i sostenitori della Brexit sarebbe impossibile accettarlo: vorrebbe dire ammettere che Londra è rimasta in Europa

Una foto di Londra vicino a Westminster
AP Photo/Alberto Pezzali

Quello del primo ministro inglese Rishi Sunak è un «No, no e ancora no». Magari non così enfatico come quello di Nikita Kruscev, che nel 1960 si tolse la scarpa e la batté violentemente sul tavolo, ma non saranno certo i modi a cambiare la sostanza della posizione di un Regno Unito che esclude un’intesa commerciale post Brexit con l’Unione europea basata sulle leggi in vigore all’interno di quest’ultima.

Parlando al congresso di una delle principali associazioni industriali del paese (Cbi), tempo fa Sunak è stato chiaro: «Ho votato per la Brexit, credo nella Brexit e so che può offrire, e sta già offrendo, enormi vantaggi e opportunità per il Paese». Ad esempio, aggiunge, sul controllo dell’immigrazione, che permette di essere loro più liberi, o per stipulare di accordi commerciali con altri Paesi, come ha fatto recentemente con l’Australia.

Un discorso che stona con le prospettive non proprio rosee per il futuro delineate dall’Office for Budget Responsibility che, in uno studio pubblicato a novembre, parla di una perdita del quattro per cento del Pil entro il 2026.

In ogni caso Sunak con la sua dichiarazione allontana quello spettro secondo cui tra i corridoi di Westminster si vociferava di un accordo commerciale come quello della Svizzera.

Business is business
Ma come mai si prende ad esempio proprio il «modello svizzero»? Per due aspetti: il primo, molto semplice da intuire, perché come la Svizzera la Gran Bretagna non fa parte dell’Unione Europea; il secondo, perché la confederazione elvetica è il quarto partner commerciale dell’Ue, così come al contrario l’Ue è il primo per la Svizzera.

Un’intesa forte che solo nel 2021 ha raggiunto i duecento ottanta miliardi di euro pari al 6,6 per cento del totale degli scambi di merci dell’Ue – come si legge sul sito della Commissione europea – con esportazioni che si concentrano in settori, come prodotti chimici/farmaceutici e medici (54,4 miliardi di euro, pari al quarantaquattro per cento), macchinari ed elettrodomestici (15,6 miliardi di euro, 12,6 per cento), perle e metalli preziosi (13,8 miliardi di euro, 11,2 per cento), e strumenti ottici e fotografici (11,3 miliardi di euro, 9,2 per cento).

L’altra faccia della medaglia
A reggere il tutto sono un’infinità di accordi bilaterali, oltre cento, divisi in due grandi pacchetti firmati rispettivamente nel 1999 e nel 2004, con l’ultimo che tra l’altro segna la partecipazione della Svizzera allo spazio Schengen e il sistema di accoglienza di Dublino, oltre anche ad accordi per la lotta contro le frodi.

Ma non tutto è oro quel che luccica, perché la Svizzera versa un contributo finanziario, anche se su base autonoma, che vale come pass per il mercato europeo, come affermato nel 2020 dall’alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Josep Borrell.

I dubbi dei puritani della Brexit
Già questo potrebbe far rabbrividire chi della Brexit dura ha fatto il proprio mantra, senza contare che la natura stessa degli stessi accordi bilaterali Ue-Svizzera non sembra soddisfare nessuna delle due parti. Già dal 2008 il Consiglio europeo ha ripetutamente sottolineato come la complessità, oltre che l’incompletezza, di tali accordi abbiano raggiunto i loro limiti, eppure da allora non si è ancora visto un nuovo quadro unitario in grado di mettere in soffitta l’attuale sistema normativo.

Contributo economico, accordi non proprio ottimali. Inoltre, la Svizzera deve comunque interfacciarsi con l’Ue sull’immigrazione, oltre che contribuire al bilancio europeo e sottostare alla Corte di Giustizia europea (uno dei punti dolenti del divorzio inglese riguarda proprio questa giurisdizione). Insomma, il modello svizzero per tanti motivi non può entusiasmare chi la Brexit l’ha voluta e continua a difenderla.

Il futuro incerto
Il dato certo è che nessuno degli integralisti della Brexit prende in considerazione un progetto che riavvicinerebbe troppo Londra alle regole Ue. Una soluzione come questa sbloccherebbe la questione del confine con l’Irlanda del Nord – uno dei problemi rimasti insoluti Oltremanica – ma il ritorno alla libera circolazione non pare una strada percorribile per Downing Street.

La Brexit è un dato di fatto, la Gran Bretagna non sta per rientrare nell’Ue, ma è ancora in Europa. Il primo ministro prende tempo, convinto che le cose miglioreranno, eppure gli spauracchi di una recessione di due anni, una disoccupazione che aumenta e una crescita che somiglia sempre di più a un’involuzione dovrebbero consigliargli di correre ai ripari.

Sunak potrà continuare anche lui a battere la scarpa sul banco, ma la suola dei suoi mocassini Prada, che indossa con una certa costanza, è molto sottile e ad ogni «no» si assottiglia sempre di più.

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