L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea ha portato al risultato che molti osservatori temevano: caos politico in Irlanda del Nord. Il primo ministro Paul Givan, del Democratic Unionist Party (Dup), giovedì 3 febbraio ha rassegnato le proprie dimissioni. Poco dopo sono arrivate anche quelle della sua vice, la nazionalista dello Sinn Fein Michelle O’Neill, per effetto degli accordi sulla condivisione dei poteri stabilito con il Good Friday Agreement del 1998 (Accordi del Venerdì Santo).
La decisione di Givan, imposta dal suo partito, è arrivata a poche ore di distanza dall’annuncio di Edwin Poots, altro membro del Dup e ministro dell’Agricoltura, che ha deciso di eliminare tutti i controlli doganali previsti dalla Brexit sul cibo e sui prodotti agricoli con una decisione unilaterale.
Il monitoraggio delle merci che arrivano dal resto del Regno Unito è una condizione fondamentale del protocollo concordato tra Londra e Bruxelles nel 2019, voluto proprio per evitare un confine rigido nell’isola d’Irlanda e per preservare il mercato unico europeo.
L’attacco a Boris Johnson
Da quando è stato firmato, il protocollo è attaccato in maniera feroce dalla comunità lealista, che si sente sempre più abbandonata e lasciata al suo destino, soprattutto dal premier britannico. La scelta del Dup è stata spiegata dal leader del partito Sir Jeffrey Donaldson: «Le questioni del protocollo non sono state affrontate, nonostante gli impegni e le promesse fatte dal primo ministro (Boris Johnson)». Donaldson poi è stato ancora più duro, invitando BoJo a «farsi da parte e fare spazio a qualcuno» disposto a occuparsi della questione nordirlandese, se lui non è in grado di farlo.
Se non è un’esplicita richiesta di dimissioni, le si avvicina molto, in un periodo in cui il premier sta combattendo per la sua sopravvivenza politica contro gli scandali delle feste e la rivolta interna dei Tories.
Boris Johnson aveva riferito a Donaldson che le possibilità di giungere a un accordo con l’Unione europea sarebbero state molto basse, tra il 20% e il 30%. Come se non bastasse, il leader conservatore ha ammesso di non poter promettere azioni unilaterali drastiche del Regno Unito se mai le trattative dovessero fallire. In sostanza, quindi, per Londra l’ipotesi di azionare l’articolo 16 del protocollo e uscire dagli accordi post Brexit non sembra essere verosimile.
L’avvertimento all’Unione europea
A causa dell’atteggiamento di BoJo, il principale partito unionista dell’Irlanda del Nord ha forzato la mano nei confronti del governo centrale, dopo settimane di minacce di far cadere l’esecutivo.
Ma Donaldson non ha risparmiato neanche Bruxelles: «L’Unione europea ha affermato costantemente che lo scopo del protocollo fosse quello di proteggere le istituzioni politiche, la stabilità e gli accordi del Venerdì Santo. Sappiamo che non è così, perché gli unionisti non sono d’accordo. Ora c’è l’opportunità per il governo del Regno Unito e per l’Unione di fare un passo avanti e risolvere il problema con un accordo».
La palla ora passa nel campo dei negoziatori. La Commissione europea ha sottolineato come la scelta di Poots non aiuti l’Irlanda del Nord, creando solo ulteriore incertezza. Mentre per la Repubblica d’Irlanda lo stop ai controlli nei porti ha rappresentato una violazione del diritto internazionale.
Le elezioni all’orizzonte
Intanto in Irlanda del Nord la svolta unionista ha avuto l’effetto di un terremoto a livello politico. Ancora non si sa cosa accadrà al governo, se ci sarà un rimpasto di ministri o se invece si aprirà un vuoto istituzionale.
Lo Sinn Fein ha subito chiesto di anticipare le elezioni, già previste il 5 maggio. I nazionalisti non aspettano altro che l’arrivo della prossima tornata elettorale. Sanno che le urne potrebbero confermare le tendenze demografiche e sociali degli ultimi sondaggi.
La crescita della comunità cattolica e repubblicana tra qualche mese potrebbe essere messa nero su bianco dalla pubblicazione dei risultati del censimento britannico. Ciò che invece è già certo è il sorpasso dello Sinn Fein nei sondaggi ai danni proprio del Dup.
L’ex braccio politico dell’Ira (Irish Republican Army) ora punta per la prima volta alla maggioranza e a ricoprire la casella di First Minister nordirlandese. Peraltro, anche nella Repubblica d’Irlanda il partito è in testa e questo potrebbe far avvicinare il momento di uno storico referendum sull’unità dell’isola. Se le elezioni dovessero essere indette prima di maggio – e se i nazionalisti vincessero – potrebbe anche essere il colpo del definitivo ko per Boris Johnson.
Lo scenario di una vittoria repubblicana sarebbe grave soprattutto per gli unionisti ed è per questo che ora provano a giocarsi il tutto per tutto. La spirale della Brexit, causata anche dal loro voto a favore del Leave nel 2016, si avvita ogni giorno di più.