In Friuli-Venezia Giulia centrodestra e centrosinistra si alternano con schematicità metodica. Dopo la vittoria di Forza Italia alle elezioni regionali del 1998 è arrivata quella di Riccardo Illy, indipendente sostenuto da una coalizione a guida Ds e Margherita, nel 2003. Poi cinque anni con Renzo Tondo del Popolo della Libertà e altri cinque Debora Serracchiani del Partito democratico, fino al leghista Massimiliano Fedriga, eletto nel 2018 con il doppio dei voti dello sfidante dem.
Quest’anno lo schema sembra destinato a rompersi, Fedriga secondo i sondaggi sarebbe pronto a fare il bis. «Il motivo è che il Partito democratico ha smesso di essere quello che era e ha fatto il gioco della destra». È la lettura che propone Alessandro Maran, nativo di Grado, ex segretario regionale Ds, deputato e senatore per quattro legislature, con Ulivo, Partito democratico, Scelta civica e di nuovo Partito democratico. Ed è anche il motivo per cui ha deciso di candidarsi alle elezioni. Ma con il Terzo Polo.
La corsa alle regionali del 2 e 3 aprile sembra una causa persa per gli sfidanti del governatore uscente. Maran, però, la vede più come una battaglia, o almeno questa è la metafora che usa per spiegare la scelta di tornare in campo dopo essersi congedato dalla vita politica: «Bisogna imparare a farsi da parte nel momento giusto, e pensavo di averlo fatto. Poi però ci sono dei momenti in cui bisogna scendere nell’arena, sporcarsi le mani assumere dei rischi in prima persona anche in situazioni di grande incertezza».
La necessità di tornare in campo, per Maran, è dettata dalla convinzione che in Friuli, come nel resto del Paese, la politica abbia bisogno di un’alternativa credibile al bipopulismo di una destra sovranista e una sinistra ammaliata dai Cinquestelle. Il primo passo per costruire l’alternativa è in una capacità di recuperare i voti degli astenuti, «ma quell’elettorato lo si raggiunge soltanto se si prova a rompere gli schemi attuali che non soddisfano nessuno, non seguendo uno scenario novecentesco», dice.
Maran è nato a Grado, provincia di Gorizia, il 15 aprile del 1960. Lì ha ottenuto il diploma all’istituto tecnico nautico e si è avvicinato alla vita politica partecipando ai movimenti studenteschi. Negli anni Ottanta si è iscritto al Pci nella sezione locale, diventando prima consigliere comunale e poi vicesindaco dal 1989 al 1994 – contribuendo in prima persona alla costruzione di un’inedita esperienza di governo che ha unito i cattolici democratici con diverse proposte riformiste.
È stato tra i protagonisti del progetto Ulivo, con cui è stato eletto alla Camera dei Deputati nel 2001 e poi di nuovo nel 2006. Alle elezioni del 2008 è stato rieletto alla Camera, ma con un giovanissimo Partito democratico, di cui è stato parte della Direzione nazionale e capogruppo nella Commissione Esteri. Sui primi smottamenti del Pd ha lasciato al barca per aderire – l’11 gennaio 2013 – alla lista Con Monti per l’Italia, per poi rientrare nel Partito democratico durante la segreteria di Matteo Renzi: il 7 luglio 2015 è stato nominato, all’unanimità, Vicepresidente del gruppo parlamentare del Partito democratico al Senato.
Esperto di politica e relazioni internazionali, nell’ultimo anno Maran ha espresso più volte la sua posizione a favore dell’impegno italiano e occidentale al fianco dell’Ucraina, contro l’aggressione deliberata da parte della Russia di Vladimir Putin: il 30 settembre scorso è uscito il suo libro “Nello specchio dell’Ucraina” (nuovadimensione).
Certo, è difficile che la politica estera abbia un ruolo in un’elezione regionale – anzi, a volte sembra che faccia fatica persino a connotare il dibattito nazionale, come se la collocazione internazionale dell’Italia fosse un elemento accessorio. La scelta di campo di Maran, però, racconta molto di lui, del suo vissuto: «Dalle mie parti, a Gorizia, bastava nascere dalla parte sbagliata della strada per avere un destino completamente diverso», racconta. «Un destino di miseria, di oppressione politica, perché dall’altra parte della strada era Jugoslavia: è il motivo per cui la nostra Regione è molto sensibile alla vicenda umana dell’Ucraina. La pretesa dell’omogeneità etnica di Putin, la stessa che ha scatenato conflitti immani in tutto il continente, qui la conosciamo bene».
Il peso della storia del territorio in cui è nato e cresciuto, Maran lo ritrova anche nel processo di integrazione europea, fondamentale per l’Italia a suo tempo, altrettanto importante oggi per l’Ucraina. «Quei processi politici – racconta – hanno cambiato il panorama di questa parte di mondo. Per questo oggi l’alternativa più rilevante non è tanto quella tra destra e sinistra, quanto accelerare o frenare il processo di integrazione europea. Da una parte ci sono le politiche tendenti la difesa delle sovranità nazionali e delle vecchie frontiere fortificate, la difesa dell’identità, la protezione dei lavoratori indigeni contro la concorrenza di chi viene da fuori, dall’altra ci sono le politiche che vogliono invece costruire un ordinamento sovranazionale continentale».
Maran ha due figli, entrambi adulti, uno lavora in Germania, l’altro in Olanda: per lui sono l’esempio di come un mercato unito, grande, forte, veramente globalizzato e libero sia una risposta, una soluzione, non un problema. È un problema comune a molte regioni d’Italia, un Paese che viene da un decennio di bassa crescita è una società che invecchia.
«La nostra è una regione per certi versi fortunata, è ricca, con competenze e professionalità capaci di competere con chiunque nel mondo – dice – però abbiamo avuto negli anni una politica, di destra e di sinistra, che non ha saputo guardare al futuro, non hanno saputo creare legami con l’esterno e valorizzare quel che c’è. I miei figli all’estero sono la normalità, perché è normale spostarsi per raggiungere certi obiettivi e crearsi certe opportunità. Quello che dovremmo chiederci non è “perché i nostri ragazzi vanno via?”, ma “perché nessuno viene qua?”».
La sfida di Maran, candidato con il Terzo Polo dopo una vita tra una sinistra più a sinistra e una più moderata, è quella di chi guarda al Partito democratico e pensa che non abbia una proposta valida, «avendo perso quella spinta riformista che l’attuale classe dirigente non vede e di cui invece ci sarebbe bisogno, in Friuli come in molte altre regioni».