Impact investingIl capitalismo ha bisogno di riconnettere il profitto all’attualità ambientale e sociale

Le trasformazioni valoriali, umane e climatiche degli ultimi anni devono entrare a pieno titolo nella definizione dei bilanci d’impresa. In “Come ripartire” (Il melangolo), Giovanna Melandri spiega perché c’è un urgente bisogno di ridefinire gli standard di rendicontazione e contabilità per superare dibattiti finanziari del secolo scorso

Unplash

L’idea degli investimenti ad impatto nasce principalmente come reazione alla crisi finanziaria del 2008. Crisi che dimostrò definitivamente come il turbocapitalismo finanziario disancorato dalla creazione di valore reale potesse implodere velocemente. In realtà ben presto la nozione di investimento ad impatto assunse una dimensione più ampia collegandosi idealmente all’esercizio multilaterale delle nazioni unite sui Global Development Goals perché fu molto presto chiaro che senza una massiccia riallocazione di capitali privati quegli obiettivi non si sarebbero mai raggiunti. Tutti gli studi in corso, evidenziano infatti che il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità (SDGs) è impensabile esclusivamente attraverso un’allocazione di risorse pubbliche. Per raggiungere gli SDGs servono tra i 2,5 e 5 trilioni di dollari all’anno: la cifra necessaria a colmare il gap tra gli investimenti previsti e quelli realmente effettuati ogni anno.

L’impact investing è dunque il catalizzatore per attivare le risorse mancanti. Un’altra prova di come l’adozione di questo approccio su larga scala non possa più attendere. Per non parlare di quella componente “climatica” della finanza ad impatto che oramai è universalmente riconosciuta come strumento concreto e necessario per accelerare la decarbonizzazione su larga scala. A proposito della quale va qui ricordato un esercizio molto importante, un’iniziativa che parla al mondo impact e in particolare alla “green and climate finance”. Durante Cop 26 (la 26ª sessione annuale della conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si è riunita a Parigi), l’International Reporting Foundation (IFRS guidato da Emmanuel Faber – dirigente cacciato da Danone per le sue visioni troppo green e social) ha annunciato la creazione di un nuovo organismo preposto alla definizione degli standard per soddisfare la crescente richiesta, da parte degli investitori internazionali di un reporting di alta qualità, trasparente e comparabile sul clima e sulla transizione ambientale sociale e nelle strutture di governance.

Esercizio cruciale perché finalizzato all’adozione dì standard. Anche qui senza scivolare nel tecnicismo va detta una cosa importante. Esiste una infrastruttura intangibile, necessaria, urgente e cruciale per far decollare questo capitalismo 3D e un mercato dei capitali orientato all’impatto. Questa infrastruttura intangibile ma fondamentale è la modalità di misurazione del valore e di rendicontazione, è una nuova filosofia contabile che misuri la salute di un’organizzazione economica non solo per come risponde ai suoi azionisti (shareholders) ma per come risponde ad una platea estremamente più larga di interessi (stakeholders). Potremmo chiamare la impact economy anche la stakeholder economy.

Insomma, la questione della misurazione del valore, la consapevolezza sulle trasformazioni sociali, valoriali, fisiche e ambientali deve entrare a pieno titolo nella definizione dei bilanci d’impresa e per questo c’è un urgente bisogno di ridefinire standard di rendicontazione e di contabilità che includano la misurazione dell’impatto superando il dibattito economico, filosofico e politico del secolo scorso.

Ecco “il vero tema” la “pietra filosofale” per trasformare l’attuale sistema economico in un’economia a impatto: riconnettere il profitto finanziario al valore ambientale e sociale attraverso l’adozione di metriche per misurarne e confrontarne l’impatto. Una svolta storica, che faciliti la comparazione delle organizzazioni (imprese e fondi) anche dal punto di vista del loro impatto sociale, ambientale e di governance. E questa è una grande questione politica, oltre che filosofica e tecnica.

Da “Come ripartire” (Il melangolo), di Giovanna Melandri e Isabella Guanzini, 70 pagine, 6,65 euro

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