Ormai è una formula fissa, un po’ come cinque anni fa lo era l’attrice che improvvisamente si ricordava che il regista, il produttore, il coprotagonista trent’anni prima le avevano messo una mano su una chiappa. Finite le molestie sessuali, siamo passati ai traumi artistici.
Aveva cominciato il trentunenne che, quando aveva quattro mesi, comparì nudo sulla copertina d’un album dei Nirvana. Pare che la sua nudità di quattromesenne fosse riconoscibilissima, forse anche grazie ai tre decenni successivi passati a dare interviste sul suo unico momento di gloria: guardatemi, sono proprio io, quel pisellino penzolante in piscina è il mio.
Egli era da questa nudità imposta e commercializzata gravemente traumatizzato, epperciò aveva fatto causa. Adesso, sono gravemente traumatizzati Giulietta e Romeo, che già come personaggi non se la passavano benissimo quanto a equilibrio psichico.
A fare causa sono gli attori del film di Zeffirelli, il primo Shakespeare nella vita di molti italiani (il film uscì cinquantacinque anni fa, e ancora non era il periodo in cui Shakespeare era divenuto il soggettista preferito dai registi di cinema; il successivo “Romeo+Juliet”, quello con DiCaprio, è del 1996: sì, era più bello, con le musiche più paracule, più nel linguaggio di noi ventenni dell’epoca, ma non l’avevamo visto da piccini nel tv color).
Olivia Hussey quest’anno compie 72 anni, Leonard Whiting 73, probabilmente non hanno ancora capito se quella di cui si sente il verso fuori dalla finestra sia l’allodola o l’usignolo, ma hanno ormai l’età della nutrice e si sono trovati un portavoce con un nome così cinematografico che potrebbe stare in un ulteriore seguito del Padrino: Tony Marinozzi.
Variety riferisce le parole di Marinozzi, «business manager di entrambi gli attori», secondo il quale i due sono stati ingannati: «Si sono fidati di Franco. A sedici anni, come attori, hanno creduto che non avrebbe violato la loro fiducia. Franco era loro amico e, francamente, a sedici anni cosa fai? Mica ci sono alternative. Mica c’era il MeToo». Non vedo l’ora di vedere la serie giudiziaria tratta da questa denuncia, serie che spero vorranno intitolare “Francamente Franco”.
Non vedo altresì l’ora di vedere dove ci porta la nuova moda dei traumi da set retrodatati. Farà causa quell’attrice del “Tempo delle mele” che, nella scena in cui tutti i ragazzini erano al cinema, infilava una mano nella scatola delle Cipster del compagno di classe, e quello aveva fatto un buco sul fondo e la tredicenne si ritrovava un pisello in mano? Secondo me sono più milioni di danni di una banale scena di nudo, diamine.
Il fatto che di quell’attrice io non abbia mai saputo il nome è anche incentivo: quelle che hanno avuto uno straccio di carriera non fanno causa. Questo criterio renderebbe più probabile una causa retroattiva (in California hanno tolto la prescrizione per i reati sessuali, quale sarebbe questo secondo i deliranti codici puritani) di Phoebe Cates, che tutti abbiamo visto ignuda in “Laguna blu” e pochi hanno visto dopo, di quanto lo sia una causa di Brooke Shields, che una vita professionale dopo “Pretty Baby” ce l’ha avuta. (Però Cates era maggiorenne, e Shields no: meno male che Louis Malle è morto prima di rischiare accuse di pornografia minorile, e che noi rischiassimo di dover leggere cento editoriali americani sul fatto che i francesi sono i soliti pervertiti).
Dopo essere stati Romeo e Giulietta in un film di gran successo, Whiting e Hussey non hanno più combinato granché, e certo non può essere colpa di una qualche loro inadeguatezza. È che «sono stati per cinquantacinque anni preda di angoscia psichica e stress emotivo», giacché Zeffirelli, sul set, li convinse a non tenere le calzamaglie color carne (vorrei chiedere scusa a Maria Schneider per non aver finora preso sul serio il trauma del burro sul set di “Ultimo tango”: in confronto, sembra una vicenda d’una certa gravità).
C’è anche un avvocato con un nome più da romanzo di Grisham che di Puzo, Solomon Gresen, secondo il quale «Erano molto giovani e ingenui, negli anni Sessanta, non capivano cosa stava per capitare. All’improvviso si ritrovano famosi a livelli che non si sarebbero mai aspettati, e perdipiù erano stati violati in modi che non sapevano come gestire». Violati. Da una scena di nudo in un film (forse la più innocente scena di nudo mai comparsa su schermo), scena di nudo che cinquantacinque anni dopo si sono resi conto di aver girato controvoglia.
Esattamente come nel caso di “Nevermind”, ci sono le interviste passate – ma già ben adulte – in cui si parlava con toni gongolanti dei fatti che ora improvvisamente sono traumatici. Cinque anni fa, per il cinquantennale del film (era ancora vivo Zeffirelli), la Hussey commentò su Variety la scena di nudo: «Nessuno della mia età l’aveva mai fatto, fu girata con grande buongusto, serviva al film». Niente che non abbia detto ogni attrice scosciata parlando di «nudo artistico« e di esigenze della trama, ma con un’interessante aggiunta di cui nessuno deve aver avvisato Gresen: «Tutti pensano: erano così giovani che probabilmente non si rendevano conto. Ma noi due eravamo molto consapevoli».
Ma anche un appunto interessante sugli anni successivi: «Lo dicevo sempre a Franco, non voglio lavorare con altri registi, solo con te. Per te posso fare qualunque cosa perché tu mi capisci. Se avessi potuto, avrei lavorato solo con Franco». Almeno finché Tony non ti dice che puoi raccontare che non hai mai superato il trauma e chiedere cinquecento milioni di dollari; almeno finché Solomon non si accorge che «le immagini di nudo dei minorenni sono illegali e non possono essere rese pubbliche» (il set era in Italia: ai due ragazzini avranno pure dato da bere vino prima dei ventun anni, avvocato, allunghi la lista delle accuse).
Un classico è quell’opera che dice tutto quel che c’è da dire anche sulle polemiche che arriveranno settecento anni più tardi. Se posso prendere a prestito la chiusa d’un dramma inglese ambientato a Verona, quindi: «Andiamo: parleremo ancora di questi fatti dolorosi, perché tra coloro che vi parteciparono alcuni saranno perdonati, altri puniti. Certo non vi fu mai una storia più infelice di quella di Giulietta e del suo Romeo».