Onda neraIn Svezia hanno vinto gli ultranazionalisti, ma forse non riusciranno a governare

La coalizione di centrodestra ha ottenuto la maggioranza grazie agli estremisti dei DS, che hanno superato il 20%. Ma è difficile che gli altri gruppi dell’alleanza accettino di far parte di un esecutivo guidato dal leader populista Jimmie Åkesson

AP/LaPresse

Il principale partito di centrosinistra ha la maggioranza relativa ma non può governare, la coalizione di centrodestra vince ma non sa come formare il governo, la premier uscente ammette la sconfitta e saluta gli elettori. Le elezioni di domenica scorsa in Svezia hanno avuto più di un risultato, se possibile.

È stato necessario conteggiare fino all’ultimo voto espresso per stabilire la composizione del Riksdag, il parlamento del Regno di Svezia: la coalizione di centrodestra ha ottenuto il 49,6% dei voti e avrà 176 seggi, 3 in più del centrosinistra, che ha il 48,9%.

Nella coalizione di centrodestra ci sono quattro partiti, tra cui Democratici Svedesi, una formazione estremista, diretta discendente dei neonazisti svedesi. È stato il partito più votato della coalizione, andando leggermente oltre il 20%.

Il Washington Post dice che «un altro tabù in Europa sta per essere infranto». Il New York Times dice che «i risultati finali delle elezioni svedesi sono entrati nella storia». La tedesca Deutsche Welle ha detto che «le elezioni svedesi sono state uno shock per alcuni elettori».

Insomma, in Svezia un partito nazionalista e anti-immigrazione sembra sul punto di far parte di una coalizione di governo. E in parte è sorprendente, perché nell’ultimo decennio la Svezia sembrava avere più anticorpi democratici e più alti tassi di tolleranza per la diversità – ad esempio riguardo le accettazioni delle richieste di diritto d’asilo – rispetto al resto d’Europa, dove le formazioni populiste e sovraniste hanno guadagnato terreno e consensi (con le dovute differenze Stato per Stato.

L’affermazione dei Democratici Svedesi è stata graduale, silenziosa, per questo meno visibile, ma costante: nell’ultimo decennio hanno allargato anno dopo anno la loro base elettorale finendo per modificare il tradizionale assetto politico svedese.

Da partito nato per dare voce agli elettori vicini ai partiti nazisti svedesi degli anni ‘30 e ‘40 – o addirittura che avevano servito come volontari nelle SS tedesche durante la Seconda guerra mondiale – con il giovane leader Jimmie Åkesson è iniziata una fase transizione, nel linguaggio prima ancora che nei contenuti, che ha reso i Democratici Svedesi più tradizionali e istituzionali: un’operazione di normalizzazione.

Salito in carica nel 2005 a 26 anni, Åkesson ha selezionato un gruppo dirigente giovane e capace di intercettare le nuove potenzialità della comunicazione politica all’epoca dei social. Poi ha modificato il simbolo del partito e cambiato famiglia politica al Parlamento europeo, passando al gruppo degli euroscettici moderati Ecr. Ha anche dovuto allontanare dal partito una quarantina di esponenti a causa di dichiarazioni razziste o di legami con organizzazioni razziste, considerati inadeguati al nuovo volto dei DS.

Il percorso dei Democratici Svedesi sembra avere diversi punti di contatto con la crescita di altre formazioni di estrema destra che nell’ultimo decennio hanno moltiplicato i loro consensi in tutta Europa e nel resto del mondo.

«Make Sweden Great Again», lo slogan pensato dal partito per la campagna elettorale, non fa nemmeno finta di ammiccare a quello coniato da Donald Trump per le presidenziali americane del 2016: è proprio uguale.

Anche nella scelta lessicale, Åkesson potrebbe essere facilmente confondibile con i leader dei partiti populisti di destra di Francia, Germania, Austria, Finlandia, Ungheria, Polonia, la stessa Italia. «È ora di iniziare a ricostruire sicurezza, prosperità e coesione». «È ora di mettere la Svezia al primo posto». «Le concessioni del diritto d’asilo dovrebbero essere ridotte a quasi zero». Queste frasi potrebbero essere facilmente attribuibili a Giorgia Meloni, Viktor Orban, Marine Le Pen. Non a caso proprio la leader del Rassemblement National ha salutato il successo dei Democratici Svedesi come un segno di rinascita nazionalista.

La ricetta è sempre la stessa. Åkesson spinge su un nazionalismo fondato su identità, lingua e cultura svedese, è contrario al multiculturalismo, ha proposto di negare asilo alle persone che chiedono protezione per motivi religiosi o di orientamento sessuale, va contro la libertà e l’autodeterminazione delle donne, insiste sul tema della sicurezza ogni volta che può.

L’immigrazione è stato il vero propulsore della crescita dei Democratici Svedesi. Nel 2015 arrivarono in Svezia 163mila migranti, troppi – per i partiti di destra – per un Paese di 10 milioni di abitanti.

«Con l’immigrazione come argomento principale nelle elezioni in Svezia, i Democratici svedesi hanno potuto marciare sulla preoccupazione dei cittadini», scrive Deutsche Welle. «Il motivo principale del successo del partito nell’ultimo decennio è stato il numero eccezionalmente alto di richiedenti asilo e i dati demografici insolitamente rapidi in termini di etnia e percentuale di cittadini nati all’estero».

Il traguardo del 20% alle elezioni di domenica scorsa è un risultato eccezionale per Åkesson e il suo partito. In un sistema sostanzialmente proporzionale come quello svedese in teoria sarebbe sufficiente a renderlo il kingmaker nella coalizione che forma l’esecutivo. Ma potrebbe non essere abbastanza.

Ancora adesso buona parte dell’opinione pubblica svedese guarda con sospetto ai Democratici Svedesi, li considera una minaccia per la democrazia. Gli stessi partiti di centrodestra, alleati con loro, potrebbero essere contrari a un governo guidato da Åkesson: liberali, democristiani e moderati hanno pagato un prezzo pesante in termini di voti per la loro coalizione con gli estremisti, e per questo potrebbero decidere di prendere le distanze.

I liberali, ad esempio, escono dalla tornata elettorale come il partito più piccolo del Riksdag, con il 4,6%. Per i loro elettori e alcuni pezzi grossi del partito è stato difficile accettare un’alleanza innaturale con l’estrema destra.

Se i moderati dovessero decidere di formare un governo con i Democratici Svedesi, i liberali potrebbero cambiare fronte e sostenere un’amministrazione di sinistra guidata dai socialdemocratici: al partito della premier uscente Magdalena Andersson farebbero comodo i 16 seggi dei liberali.

«Tale è lo stigma politico che circonda i Democratici Svedesi che potrebbero rimanere tecnicamente al di fuori di un governo guidato dai moderati e dai liberali di centrodestra», scrive il Washington Post. «Sembra che il partito di estrema destra creda di avere un posto importante al tavolo in un Paese noto da tempo per la sua etica e le sue politiche progressiste».

Allora l’incarico di provare a formare un nuovo governo potrebbe ricadere su Ulf Kristersson, leader dei moderati di centrodestra, che ha bisogno di riportarsi più al centro dal momento che il partito ha perso il sostegno dei suoi elettori più progressisti: a Stoccolma, i moderati hanno registrato i peggiori risultati degli ultimi 52 anni, a vantaggio soprattutto dei socialdemocratici al governo.

Tuttavia, non sarà affatto semplice per Kristersson trovare i numeri necessari per formare un governo senza il 20% abbondante degli ultranazionalisti.

Il puzzle politico in Svezia è appena iniziato. Potrebbe volerci un po’ per trovare un assetto stabile e dar vita a un nuovo esecutivo. Ma in ogni caso sarà un test per la politica nazionale, per capire quanti anticorpi democratici e antipopulisti ha il Paese, ora che l’estrema destra reclama un ruolo da protagonista.

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