Tenacia diplomatica I sei mesi in cui la Cechia (alla guida dell’Ue) ha stupito l’Europa e ottenuto il price cap

Ha funzionato il mantra di Praga: «Convocheremo Consigli finché sarà necessario». Il principale risultato è il tetto al prezzo del gas russo, ma la presidenza è riuscita anche a dare continuità alle sanzioni e a disinnescare le resistenze ungheresi

Il ministro ceco dell’Energia, Jozef Síkela, con la felpa celebrativa di un frase mantra della presidenza: «Convocheremo Consigli finché sarà necessario» (a raggiungere il price cap)
Il ministro ceco dell’Energia, Jozef Síkela. Sulla felpa il mantra: «Ci riuniremo finché sarà necessario» (per il price cap)

Lo scorso luglio la Presidenza ceca si insediava alla guida del Consiglio dell’Ue con un programma che veniva riassunto nello slogan Rethink, Rebuild, Repower. «L’Europa si trova attualmente ad affrontare molti problemi e molte sfide ma, agendo con unità e determinazione, usciremo da queste crisi più forti e più resilienti», aveva detto il premier ceco Petr Fiala alla presentazione delle priorità della sua Presidenza.

La sfida principale era ovviamente quella della crisi energetica, con una particolare attenzione al pacchetto «RePowerEU»: una serie di misure presentate a maggio dalla Commissione europea, che hanno l’obiettivo di azzerare la dipendenza dell’Unione dai combustibili fossili russi entro il 2027. Praga è riuscita a raggiungere un accordo con il Parlamento europeo e ora spetterà alla Presidenza svedese attuare il pacchetto.

Price cap, il risultato più rilevante
Il risultato di maggior rilievo raggiunto dalla Presidenza ceca è però quello relativo all’accordo sul tetto al prezzo del gas importato dai Ventisette. Per arrivarci sono stati necessari otto Consigli dell’Energia negli ultimi sei mesi. «Convocheremo quanti Consigli dell’energia saranno necessari».

Lo hanno ripetuto diverse volte e alla fine lo hanno pure scritto su una felpa, quella indossata da Jozef Síkela, ministro dell’industria e del commercio della Repubblica Ceca che ha presieduto tutte le riunioni. L’ultimo Consiglio, quello del 19 dicembre, ha portato al raggiungimento di un risultato che sembrava insperato viste le resistenze di Paesi come Germania o Paesi Bassi.

Il meccanismo del price cap si potrà attivare dal 15 febbraio 2023 e prevede che entri in vigore un tetto massimo solo quando i prezzi del metano superano la soglia di centottanta euro/megawattora per tre giorni consecutivi. L’esecutivo guidato da Fiala ha gestito le pressioni dei governi grazie a un buon lavoro diplomatico, riuscendo anche ad ottenere accordi su una riduzione dei consumi di gas del quindici percento, oltre a un contributo di solidarietà del trentatré percento dei profitti per le aziende del settore dei combustibili fossili.

Un risultato non banale, quello conseguito da Praga, arrivato nel pieno di una “nuova” fase del conflitto in Ucraina che ha aumentato l’imprevedibilità di Vladimir Putin. La risposta dell’Europa, però, è arrivata e l’accordo sul price cap non avrà sicuramente fatto felice l’inquilino del Cremlino.

Ucraina e allargamento dell’Ue
Fiala ha condiviso il percorso indicato dalla Commissione europea anche sull’Ucraina, dando continuità alle sanzioni imposte a Mosca con tre nuove misure che si sono aggiunte alle sei già decise in precedenza. Anche in questo caso si è reso necessario un lavoro di mediazione: la Presidenza ha dovuto fare i conti con i veti imposti da Viktor Orbán, tra cui quello relativo al pacchetto d’aiuti da diciotto miliardi in favore di Kyjiv. Una situazione legata a doppio filo al congelamento dei fondi comunitari destinati a Budapest e che è stata superata grazie anche al lavoro diplomatico di Praga.

Alcuni passi in avanti sono stati fatti anche sul tema allargamento dell’Ue, soprattutto nella regione balcanica. Bruxelles sembra voler rompere gli indugi e negli ultimi sei mesi sono stati avviati i negoziati con Albania e Macedonia del Nord ed è stato riconosciuto alla Bosnia-Erzegovina lo status di Paese candidato. L’invasione russa ha spinto l’Unione europea ad aumentare la propria influenza nei Balcani, a maggior ragione dopo le recenti tensioni tra Serbia e Kosovo, dietro alle quali potrebbe esserci la mano di Mosca.

Clima e politiche per l’ambiente
Sul fronte delle politiche ambientali il più grande successo è rappresentato dall’accordo sul pacchetto «Fit for 55»: una serie di ambiziose misure pensate con lo scopo di ridurre le emissioni degli Stati membri del cinquantacinque percento entro il 2030, rispetto al 1992. L’accordo, che si basa sul principio «chi inquina paga», prevede tra le altre misure la riforma dell’Ets (il sistema di scambio di quote di emissione tra Paesi) e ne amplia la sfera di applicazione inserendo all’interno di questo meccanismo alcuni nuovi settori.

In un semestre molto delicato, la Repubblica Ceca sembra essersi dimostrata una guida affidabile. Alcuni degli obiettivi principali sono stati raggiunti nonostante le difficoltà e le resistenze di alcuni Paesi molto influenti. Spetterà ora alla nuova Presidenza svedese portare avanti il lavoro svolto da Praga. L’attenzione è soprattutto sulle politiche ambientali, tema sul quale il Governo di Stoccolma dovrà fare i conti con Sverige Demokraterna, il partito di estrema destra fondamentale per la sopravvivenza dell’esecutivo guidato da Kristersson e che ha posizioni controverse sul cambiamento climatico.

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