Ho un amico che ogni giorno mi invia profili di donne trovate su Tinder. È cominciata perché io volevo sapere qualcosa delle divorziate su Tinder per un libro che sto scrivendo, ed è diventata una costante delle nostre conversazioni: il modo in cui l’umanità sceglie di descriversi sulle app da rimorchio mi attrae come l’abisso.
Da due giorni, sento che nella mia educazione a questo secolo c’è una grave lacuna: non ho infatti un’amica che mi invii profili maschili tra i disperati che reperisce sulla vetrina di Tinder. Da due giorni leggo i giornali e mi chiedo: come si descriveva, Matteo Messina Denaro? In che modo falsificava i propri autoscatti e la propria personalità, come tutti noi, per risultare più appetibile ai suoi contatti social?
Nel Grande Indifferenziato in cui viviamo, non fa poi tanta impressione che, d’un latitante ricercatissimo, la vicina di chemio dica che chattava con le sue amiche; né che un chirurgo ci si faccia un selfie e, quando arrestano il paziente, lo mandi così tanto in giro che finisce sui giornali.
Una delle cose più difficili da capire, per il ceto medio riflessivo, è la sospensione etica in cui esiste il concetto di celebrità. Se sei famoso, sei famoso: che tu lo sia perché hai insultato qualcuno o perché hai vinto un Nobel, perché sai scrivere canzoni o perché sai sciogliere bambini nell’acido, sempre famoso sei, e la fama è valuta corrente.
«Stavo seduto vicino al latitante» vale quanto «stavo seduto vicino all’attore famoso», o forse di più: il selfie con quello che sarebbe dovuto restare nascosto è più raro, e quindi più prezioso, del selfie con la influencer che concede una foto a chiunque la fermi. Poi certo, Vongola75 non in possesso del prezioso scatto col latitante più ricercato che ci fosse, ma al massimo di quello con un calciatore, s’impettirà e farà la morale a Brocco81 che invece ha l’autoscatto col criminale – ma è un gioco delle parti.
Repubblica scrive un paio di righe tenerissime: «I vertici della clinica hanno inoltre messo a disposizione il proprio avvocato per la difesa del giovane chirurgo, che si sente diffamato dai commenti alla foto e chiede tutela legale». Cioè ti fai la foto col latitante e poi ti meravigli e t’offendi se i passanti dei social t’insolentiscono, sentendosi per una volta eticamente superiori a qualcuno. Forse nei programmi delle scuole dell’obbligo andrebbero inserite ore di comprensione minima dei mezzi di comunicazione di massa, che non sono mai stati così tanto di massa come ora.
Sublime anche l’aggettivazione di quell’intervistato, un imprecisato lavoratore della clinica, che dice: «Ricordo un giorno che venne in clinica con una camicia molto originale. Sul cotone erano dipinte delle angurie. Glielo dissi e lui rispose che valeva 700 euro. Rimasi stordito». Lo stordimento è perfetto complemento a giornali che dicono che nella casa in cui si nascondeva Messina Denaro sono stati ritrovati «abiti firmati». Sembra il finale di “Quo vado”, quando Zalone fa uno scherzo ai genitori consegnando loro una neonata nera, e poi procede a chiedere alla fidanzata di far vedere ai nonni la bambina davvero sua, quella bianca: «Prendi quella originale, quella di marca».
Le camicie costose sono un buon dettaglio per il profilo Tinder: si sarà presentato anche lì come uno che amava la moda, come riferisce si definisse il tizio che lavora in clinica, o – essendo pur sempre un sessantenne meridionale – avrà temuto che un dettaglio simile lo facesse sembrare un poco ricchione? (Discriminazione geografica, d’età, e di preferenze sessuali in una sola frase: poi dite che non ho il dono della sintesi).
Forse, più che il profilo di Messina Denaro – che probabilmente aveva scelto una foto che esaltasse la sua somiglianza con Eros Ramazzotti; che magari aveva come frase suggestiva «Un’altra come te: ma nemmeno se la invento c’è», che su noi vegliarde fa un certo effetto – bisognerebbe saper immaginare i profili delle donne con cui chattava. La testimone che riferisce il latitante messaggiasse tutte le sue amiche sostiene che sia stato attivo sulle piattaforme di messaggistica fino alla mattina dell’arresto: le signore ora si riterranno ghostate? Sì, va bene, il 41bis, ma mi deve delle spiegazioni, prima era tutt’una terra promessa, un mondo diverso, e poi è uno stronzo tale e quale agli altri, sono proprio tutti uguali.
(Nel Grande Indifferenziato in cui per il bestsellerista Harry Windsor ha la stessa gravità che sua madre sia morta e lui abbia dovuto seguire il feretro in mondovisione, e che la cognata non volesse prestare il lucidalabbra alla moglie; in cui per le polemiste dell’Instagram hanno la stessa gravità le iraniane che muoiono e i tassisti cui non funziona il pos; in questo Grande Indifferenziato qui, per la divorziata su Tinder è parimenti grave che il tizio da lei selezionato non si sia presentato all’appuntamento perché ha un’ex moglie di cui non le aveva raccontato o perché era un boss mafioso cui è andata a puttane la copertura).
Che genere di donna rimorchiava, Messina Denaro? Quelle che hanno come foto rappresentativa madre Teresa e Karol Wojtyla? Quelle che si definiscono «viaggiatrice backpacker»? Quelle che mettono come criterio di selezione il loro «no» ai passivoaggressivi? (Uno che è latitante dal 1993 avrà mai sentito l’espressione «passivoaggressivi», che mi pare abbia avuto il suo primo utilizzo popolare in “Mariti e mogli” di Woody Allen, film del 1992? È plausibile che l’ultima cosa che fa un criminale prima d’entrare in latitanza sia andare al cinema a vedere una commedia cerebrale sull’adulterio?).
Ovviamente ho passato alcune ore a cercare chi avesse fatto le camicie da uomo con le stampe di angurie: Gucci? Prada? Google è come sempre inutile, e le prime che ti mostra sono di H&M. Il che, però, apre uno scenario forse ancora più bello, forse ancora più da film di Dino Risi. E se Matteo Messina Denaro avesse spacciato per camicia da 700 euro una H&M da 14 euro e 99? Se il temibile boss colpevole di atroci delitti fosse innanzitutto un italiano, innanzitutto un mitomane?