Strade diverseIl probabile disallineamento tra Bce e Fed sul rialzo dei tassi

Come prevede uno studio di Intesa Sanpaolo, la Federal Reserve System potrebbe avviare un ciclo di tagli dei tassi già prima della fine del 2023, mentre la Banca centrale europea potrebbe alzarli di più nel breve periodo, chiudendo il ciclo di rialzi più tardi rispetto alla sua omologa statunitense

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Il cambio euro-dollaro ha aperto il 2023 al rialzo, salendo, in poco meno di un mese, da un minimo in area 1,04 a un massimo in area 1,10 EUR/USD, dove ha aggiornato i massimi andando a rivedere livelli che erano stati abbandonati ad aprile dell’anno scorso.  A guidare questo ulteriore apprezzamento è stato l’ulteriore restringimento dei differenziali di rendimento tra area euro e Stati Uniti, consolidando la previsione che la Fed sia ormai vicina a chiudere il ciclo di rialzi dei tassi e possa successivamente attuare una svolta di policy (avviando un ciclo di tagli dei tassi) già prima della fine dell’anno, mentre la BCE attui un disallineamento rispetto alla Fed, alzando i tassi di più nel breve, chiudendo il ciclo di rialzi più tardi e non tagliando i tassi quando invece la Fed inizierà a farlo.

In termini di rendimenti a breve, tale disallineamento ha in realtà prodotto una parziale divergenza da metà dicembre (data della penultima riunione di Fed e BCE), con i rendimenti USA in tendenziale calo e quelli euro in tendenziale salita – eccezion fatta per il movimento degli ultimi giorni, provocato dall’employment report statunitense

Le aspettative di breve si sono realizzate. Al Federal Open Market Committee dell’1 febbraio la Fed ha innanzitutto ridotto la dimensione del rialzo dei tassi, dai 50 pb di dicembre a 25 pb, portando i Fed Funds a 4,50-4,75 per cento, e ha segnalato, seppure implicitamente, che il ciclo di rialzi sta per chiudersi.

Nel comunicato ha infatti esordito non più ripetendo che l’inflazione rimane elevata, bensì riconoscendo che ha iniziato a scendere. Il calo dei prezzi energetici e il rallentamento della crescita già in atto anche negli Stati Uniti prospettano un ulteriore calo già in corso d’anno, ma il livello comunque elevato dell’inflazione corrente e l’incertezza sulla velocità del calo atteso, soprattutto a causa delle condizioni del mercato del lavoro che restano “tirate” pur avendo già dato primi segnali di allentamento, portano la Fed a confermare l’indicazione fornita a dicembre di voler procedere con altri rialzi. Poiché al FOMC del 14 dicembre aveva dato come punto di arrivo atteso del ciclo di rialzi il range 5,00-5,25 per cento, questo implicherebbe altri due rialzi di 25 pb alle prossime due riunioni del 22 marzo e del 3 maggio.

Anche la BCE si è mossa in linea con le aspettative. Alla riunione del 2 febbraio, infatti, ha alzato ancora i tassi di 50 pb, portando il refi rate a 3,00 per cento e, soprattutto, alla luce delle persistenti pressioni inflazionistiche, ha ribadito la necessità di “alzare i tassi significativamente e a ritmo costante”, indicando esplicitamente l’intenzione di procedere con un altro rialzo di 50 pb alla prossima riunione del 16 marzo. Ha invece spiegato che dopo questo incontro ri-valuterà il sentiero successivo dei rialzi, il che implicitamente apre a una possibile riduzione della dimensione degli interventi anche in questo caso da 50 pb a 25 pb alle riunioni successive di maggio e giugno. La BCE ha comunque ribadito che le decisioni effettive dipenderanno dai dati e saranno prese di riunione in riunione.

L’euro è salito solo dopo la riunione della Fed (e non dopo quella della Bce)
L’euro ha reagito in modo apparentemente contrastato sull’esito delle riunioni ravvicinate di Fed e BCE a inizio febbraio. Infatti, è salito in seguito al FOMC, da 1,08 a 1,10 EUR/USD, aggiornando qui i massimi, soprattutto di riflesso al generalizzato indebolimento del dollaro sul segnale che il ciclo di rialzi Fed sia ormai prossimo a chiudersi, ma non è riuscito a salire ulteriormente al termine della riunione BCE che pure ha confermato in toto il disallineamento rispetto alla Fed e anzi ha ritracciato riassorbendo buona parte della salita precedente.

La non-salita dell’euro sull’esito della riunione BCE si può in realtà spiegare sulla base di fattori sia tecnici (reazione del tipo “buy the rumour, sell the fact”, l’esito della riunione ha pienamene confermato le aspettative, raggiungimento di resistenze chiave in area 1,10 EUR/USD, il mercato speculativo ha ampliato il corto dollaro ultimamente e mantiene un lungo euro molto rilevante, sia di tipo più fondamentale.

Poiché infatti la BCE ha già anticipato l’intenzione di attuare un altro rialzo di 50 pb a marzo, mentre per il prosieguo valuterà il sentiero più appropriato, il dubbio che è sorto nel frattempo è sull’entità dell’ulteriore restrizione nel dopo-marzo, in particolare sull’eventualità che possa rivelarsi inferiore a quanto atteso precedentemente, soprattutto alla luce della dinamica molto favorevole dei prezzi del gas che sono scesi ancora, e ampiamente, da dicembre in avanti e delle conseguenti prospettive per l’inflazione area euro, che nell’ultima rilevazione dell’1 febbraio (dato di gennaio) ha sorpreso verso il basso mostrando un calo da 9,2 per cento a 8,5 per cento, contro attese per una discesa più modesta a 9,0 per cento. È probabilmente questo che spiega la reazione dei tassi di mercato: questi, infatti, prima della riunione scontavano altri 100 pb di rialzi BCE tra marzo e l’estate, che dopo l’annuncio sono scesi a 75 pb.

A movimentare ulteriormente il quadro è stato poi l’employment report USA, il giorno successivo alla riunione BCE. I dati infatti hanno sorpreso in positivo mostrando un incremento degli occupati contro attese di calo e una discesa del tasso di disoccupazione contro attese di aumento. Il dollaro, pertanto, si è rafforzato e – di riflesso – l’euro si è indebolito ulteriormente riportandosi in area 1,07 EUR/USD. In questo caso i dati sul mercato del lavoro hanno evidenziato molto bene uno dei principali dubbi che sta fronteggiando la Fed, ovvero l’entità dei rischi verso l’alto sull’inflazione derivanti dalle pressioni verso l’alto sui salari in un mercato del lavoro con elevata occupazione/bassa disoccupazione.

Ed è perlopiù su questo che si gioca l’entità dei prossimi rialzi Fed: un ultimo rialzo di 25 pb al prossimo FOMC del 22 marzo o altri due rialzi di 25 pb alle prossime due riunioni di marzo e del 3 maggio? L’ultimo employment report avvalorerebbe, preso isolatamente, la seconda ipotesi, su cui anche il mercato è tornato a riposizionarsi con probabilità piena dopo i dati. Tuttavia, la decisione non è ancora presa, e da qui al prossimo FOMC vi sarà almeno un’altra tornata di dati che consentirà di scorgere meglio l’effettivo trend sottostante delle dinamiche del mercato del lavoro, dell’inflazione e dell’economia in generale.

Anche per la BCE il margine di incertezza si gioca tra ipotesi alternative molto vicine: accettando che alla prossima riunione del 16 marzo la BCE alzi di 50 pb, dopo ci sarà un solo rialzo di 25 pb alla successiva riunione del 4 maggio o altri due rialzi di 25 pb a maggio e all’incontro del 15 giugno? Ad oggi il mercato sconta con probabilità piena 75 pb di rialzi BCE e con probabilità compresa tra il 60 per cento e il 70 per cento 100 pb complessivi. Per la Fed invece dopo l’employment report è tornato a scontare con probabilità piena altri 50 pb di rialzi cumulati. Nel nostro scenario centrale, manteniamo ancora attese per 100 pb di rialzi totali BCE (50 pb a marzo e 25 pb sia a maggio sia a giugno) e per un ultimo rialzo di 25 pb Fed a marzo, con aumentati rischi però, in questo caso, verso l’alto (ovvero di un altro rialzo di 25 pb a maggio). Anche per la BCE vi è una certa dose di incertezza tra 75 pb e 100 pb, che si risolverà solo in base all’effettiva evoluzione del quadro economico entro il prossimo mese o due.

L’entità dell’effettivo disallineamento che si avrà tra BCE e Fed sarà importante, perché condizionerà i livelli del cambio EUR/USD, ma il disallineamento in sé, più o meno ampio che sia, dato che permarrà sia nel breve (almeno a marzo dove si avrà un altro rialzo BCE di 50 pb e un altro rialzo Fed di 25 pb), sia successivamente (quando la Fed inizierà a tagliare i tassi verso fine anno la BCE invece li terrà fermi e non potrà seguire a ruota perché l’inflazione area euro è prevista scendere più lentamente che negli USA) dovrebbe comunque restare sufficiente a integrare uno scenario di tendenza rialzista sottostante del cambio EUR/USD. Tra l’altro, in questa fase, al disallineamento di policy BCE-Fed andrà sovrapponendosi un disallineamento ciclico, in quanto l’area euro dal 2° trimestre uscirebbe dalla fase recessiva (o comunque di contrazione) in atto, mentre invece gli Stati Uniti si troverebbero in recessione proprio in questo periodo, subendo una frenata della crescita mentre al contrario l’area euro avvia una ripresa, seppur modesta e graduale.

I prossimi passaggi da seguire
I dati chiave da seguire nel breve perché da questi principalmente dipenderà quanto ancora effettivamente alzeranno i tassi la Fed e la BCE saranno negli Stati Uniti soprattutto l’inflazione (14 febbraio e 14 marzo) e i dati sul mercato del lavoro, in particolare l’employment report (10 marzo), e per l’area euro l’inflazione (2 marzo). Le prossime riunioni di BCE e Fed saranno rispettivamente il 16 marzo e il 22 marzo, e saranno importanti non tanto per la decisione sui tassi immediata (che è considerata di fatto scontata, con un rialzo di 50 pb per la BCE e uno di 25 pb per la Fed), quanto per le indicazioni sui rialzi successivi (necessità o meno di un altro rialzo di 25 pb per la Fed a maggio, e necessità di un altro rialzo soltanto, di 25 pb, a maggio da parte della BCE o di altri due, di 25 pb, sia a maggio sia a giugno) e per le nuove proiezioni di crescita e inflazione sia negli USA (rilevanti soprattutto per capire quale potrebbe essere secondo la Fed la portata della recessione USA e quindi il timing dell’inversione di rotta della politica monetaria) sia nell’area euro.

Dati USA che mostrassero un’inflazione più alta del previsto e/o condizioni sul mercato del lavoro più robuste del previsto, ma anche un’inflazione che nell’area euro dovesse scendere più delle attese, contribuirebbero a indebolire ulteriormente l’euro. Tecnicamente, i supporti chiave nel breve si collocano in area 1,07 EUR/USD, ma il downside temporaneo che non comprometterebbe comunque un rapido rimbalzo in caso di dati favorevoli potrebbe estendersi fino in area 1,05 EUR/USD.

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