La Russia è il paese che ama. Lì Silvio Berlusconi non ha le sue radici, ma forse le sue speranze e i suoi orizzonti, perché in fondo soltanto gli amici criminali del Cremlino possono ancora fingere di dargli ascolto.
Gli occidentali che pendevano dalle labbra della propaganda russa, in Unione Sovietica venivano chiamati «utili idioti», oggi il paradosso è che a guidare questo preciso girone di babbei italiani ci sia l’ex imbonitore della rivoluzione liberale, sceso in campo trent’anni fa perché non voleva vivere «in un paese illiberale».
Conoscere le ragioni della grottesca fascinazione berlusconiana per Vladimir Putin è importante (lettone a parte), ma mai quanto evitare che questo flagrante concorso esterno in putinismo possa creare ulteriori danni alla credibilità internazionale dell’Italia e all’incolumità del favoloso popolo ucraino che si difende con coraggio ammirevole dalle tenebre nazibolsceviche di Putin.
Le oscene dichiarazioni berlusconiane contro il presidente ucraino Volodomyr Zelensky, indicato come il responsabile della guerra in Ucraina e non come la vittima, sono una tragedia nazionale e un imbarazzo perfino per l’attuale, maldestro, governo di destra (senza considerare quanto le parole di Berlusconi siano diventate indistinguibili da quelle di Travaglio, di Santoro e dei pochi nostalgici del comunismo).
L’Italia è stata certamente contagiata dal putinismo, una patologia che ci espone alle due grandi tragedie del Novecento, ma non è ancora diventata una distopia prodotta dalla fabbrica dei troll di San Pietroburgo.
Oltre a Retequattro, alle agiografie di Putin firmate per Mondadori dall’attuale ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e alla stravagante università berlusconiana di Villa Gernetto che affida acrobaticamente la lectio magistralis sulla libertà proprio a Putin, esiste anche un’altra Italia. Un’Italia senziente e responsabile che aiuta il governo di Kyjiv a resistere all’aggressione imperialista russa e che lo fa insieme con gli alleati europei e occidentali.
L’Italia non è quella di Berlusconi (o di Salvini o di Conte), l’Italia è quella del ventottenne cantante milanese Tananai che è stato capace di orchestrare una raffinata operazione politica e culturale per portare al Festival che si è reso ridicolo su Zelensky una canzone d’amore dedicata agli ucraini che si battono contro la barbarie russa. «Noi non siamo come loro», canta Tananai in “Tango”. Non siamo come loro, dicono gli ucraini dei russi. Non siamo come loro, come gli «utili idioti» di Putin, nemmeno noi italiani.
I figli, gli amici e le badanti di Silvio Berlusconi intervengano, mettano un punto a questo strazio. Abbiano pietà di lui, e di tutti noi.
Forza Italia!