Ca’ del Bosco, produttore leader del Franciacorta, è un’azienda modello per l’impegno nella CSR. Da oltre trent’anni sostiene progetti artistici non ai fini di mero marketing, quanto quale modo per rinforzare e dare forma alla propria brand identity. La chiave di tale impegno e successo è il fondatore, Maurizio Zanella, che da cinquant’anni guida quest’azienda con amore, lungimiranza e pragmatismo.
Maurizio Zanella, classe 1956, è fondatore e Presidente di Ca’ del Bosco, leader nella produzione di Franciacorta. Figlio di una famiglia borghese con attività nella logistica e base a Milano, abbandona giovanissimo l’attività di famiglia per muovere i suoi primi passi nel mondo del vino nei terreni intorno a una piccola casa in collina, chiamata “Ca’ del bosc”, acquistata anni prima dalla madre. Nel 1972 esce la prima bottiglia. Oggi l’azienda produce un milione cinquecentomila bottiglie l’anno, suddivise su quindici etichette diverse, dando lavoro a oltre centotrenta persone. La cantina riceve circa trentamila ospiti ogni anno.
Il successo arriva, ricercatissimo, attraverso una strategia caratterizzata dalla forte discontinuità con il passato vinicolo italiano. Zanella tornato da un viaggio in Francia comprese che la strategia volta alla grande quantità e bassa qualità, che caratterizzava il vino italiano nel dopo guerra, era una strategia perdente, che aveva e stava sempre di più impoverendo il territorio e la secolare tradizione italiana. Dalla fine degli anni Settanta si affianca ad enologi di fama (prima André Dubois e poi Stefano Capelli) per realizzare vini d’eccellenza anche in Italia, tra cui il celebratissimo Annamaria Clementi, il Corte del Lupo e il rinomato rosso Maurizio Zanella.
A questo fermento nella viticultura si accompagna anche la formazione di una ricchissima collezione d’arte “aziendale” sviluppatasi a partire dagli anni Ottanta fino a oggi. Le opere sono distribuite tra le cantine, le parti produttive, il Parco e le parti commerciali. Sebbene si tratti di una collezione organica e site-specific viene poco pubblicizzata dallo stesso Zanella, che l’ha voluta, creata e che ancora oggi è il vero “direttore artistico”.
Come spesso accade l’approccio all’arte contemporanea avviene in modo casuale e da mero diletto, diventa presto qualcosa di più. La famiglia originaria di Zanella, infatti, non era solita collezionare opere d’arte. L’interesse per l’arte arriva perché come spiega lui stesso gli capitò di conoscere prima delle opere d’arte i maestri che le avevano create: «Da sempre mi piacciono le cose belle e uniche e cosa c’è di più unico che conoscere un grande maestro di persona e poter “lavorare” con lui? Negli anni Ottanta la mia famiglia trascorreva i mesi estivi a Forte dei Marmi, molto vicina a Pietrasanta, che in quegli anni era la culla di tanta arte contemporanea. Ebbi così l’occasione di conoscere e frequentare grandi Maestri come Botero e Mitoraj. Il bello chiama bello e così è cominciata la mia passione per l’arte, per la maestria del fare, per tutto ciò che è testimone del genio umano. A casa mia, infatti, le opere d’arte fanno spazio a pezzi di design e manifattura provenienti da tutto il mondo… persino un’antica armatura giapponese».
Questo interesse all’eccellenza, già presente nella viticultura, si espande così in fretta all’arte. Il creare e portare una collezione d’arte in azienda sembra quasi un modo per schermarsi dal possibile giudizio di cominciare una collezione d’arte. La storia della famiglia d’origine – soprattutto del padre – era la tipica storia di una persona umile che grazie alle proprie capacità imprenditoriali e pragmatismo si era affermato nel mondo del lavoro: difficile accettare dopo la rivoluzione del vino di eccellenza che si fa invecchiare dieci anni (il noto Annamaria Clementi), anche la passione per l’arte. Il pragmatismo di famiglia però rimane e così Zanella ha l’intuizione di fare dell’arte da subito uno strumento strategico imprenditoriale.
«Ho capito che la mia passione per l’arte poteva avere un cruciale risvolto strategico: dare forza a un prodotto – il vino in Italia – che arrivava da un secolo di maltrattamenti imprenditoriali. In quegli anni (tra il 1965 e il 1975) il vino italiano era ancora più lontano di oggi dalla notorietà e apprezzamento di quello francese. Alla fine del XIX l’industria italiana ritenne che il vino fosse un bene come il pane, per tutti, e che la differenza la facesse il costo e non la qualità. La mia idea di produrre delle eccellenze e trasformare con esso il territorio aveva bisogno di ambasciatori di immagine che ne nobilitassero in qualche modo la percezione. L’arte mi aiutò a rivendicare un sempre maggiore posizionamento dell’alta gamma per il vino italiano. Chi viene da noi oggi come nei primi anni Ottanta deve vivere la differenza del nostro progetto non solo imprenditoriale, alla cui base c’è un mix indissolubile fatto di terra, tradizione, cultura e bello… declinato anche dalla pervasiva presenza di sempre nuove sculture e opere d’arte».
Proprio per tale necessità di dare forma a un’immagine l’arte entra in azienda sotto forma di fotografia. A partire dagli Ottanta Maurizio Zanella convince undici maestri, tra cui Helmut Newton, Mimmo Jodice, Don McCullin e Georg Gerster, a ricreare con i propri scatti i silenzi, i rumori, i momenti di gusto, meditazione, fatica ed euforia tra e delle vigne di Ca’ del Bosco. Solo nel 2004 dopo più di quindici anni dall’avvio della collezione l’azienda presenta al mondo il modo compiuto il progetto con la pubblicazione del volume, edito SKIRA, undici fotografi per un vino.
La collezione è costruita intorno al fil rouge del dialogo tra azienda e arte, senza specifiche predilezioni per alcune manifestazioni artistiche. Tutto nasce dall’incontro. La collezione si è così sviluppata poi attraverso progetti artistici site-specific realizzati da artisti selezionati da Zanella. «Con costanza e pazienza – due doti mutuate dalla viticultura e dal vino – promuoviamo la produzione e l’acquisizione di progetti artistici site-specific realizzati da artisti viventi.
Con questi “geni” si costruisce un lungo dialogo e confronto che porta a un lavoro in grado di interpretare in modo originale e unico il nostro territorio o aspetti della nostra azienda: dal sole protagonista dell’iconica opera di Pomodoro, ai lupi simbolo dell’azienda della Cracking Art, alla grandiosità delle sculture di Mitoraj e Bombardieri. Non c’è perciò una cadenza fissa, ma tutto nasce ed è frutto dell’incontro e della sintonia tra persone. Un lavoro di scouting e conoscenza che ci piace consumi il tempo necessario. In Ca’ del Bosco non possiamo avere fretta».
Elemento trasversale alla collezione è la discrezione, frutto di un attento progetto di allestimento che rendono le opere organiche allo spazio, a partire dalla celebre scultura – Cancello Sole di Arnaldo Pomodoro. La comunicazione dentro e fuori l’azienda dell’impegno di Ca’ del Bosco a favore dell’arte è segnata perciò da un low profile e quasi understated.
«Può sembrare strano», spiega Zanella «ma è il mio modo di essere e vivere l’azienda e quindi anche l’arte: pur essendo una delle aziende del settore che investe di più in arte, non abbiamo mai promosso un’etichetta d’artista. Cerchiamo di supportare l’arte concretamente promuovendo la realizzazione di opere talmente complesse per dimensioni e tecnica che altrimenti non sarebbero mai nate: basti pensare alla grande scultura in marmo di Mitoraj o al grande bronzo di Rabarama». Da sempre la “direzione artistica” è di Zanella che al momento non prevede sotto tale aspetto un passaggio di consegne. L’imprenditore concepisce l’arte come parte stessa dell’azienda, inscindibile. Proprio per tale ragione si parla di nuove acquisizioni, ma mai di dismissioni: «Sarebbe come cedere una parte di ciò che siamo», spiega l’imprenditore.