Questa è una brutta storia politica con due “cattivi”. Il primo è George Santos, neodeputato Repubblicano, imbroglione patologico. L’altro è Kevin McCarthy, il neospeaker (presidente) della Camera dei Rappresentanti americana, leader politico senza principi.
Dopo le elezioni politiche del novembre 2022 indagini del New York Times accertarono che George Santos, un neodeputato Repubblicano dello Stato di New York, si era presentato di fronte agli elettori che lo hanno poi votato con un curriculum del tutto fraudolento. Santos ha inventato lauree del Baruch College e di New York University. Si è poi inventato di avere lavorato a Goldman Sachs e a Citigroup. Ha inoltre affermato (per compiacere una fascia dei suoi elettori) di essere di famiglia ebraica scampata all’olocausto, e che poi sua madre (allora, si è saputo dopo, residente in Brasile) era in una delle Torri Gemelle l’11 settembre del 2001. Tutto inventato.
Queste non sono esagerazioni, peccati veniali. Questo è tutto falso. Risulta poi perlomeno strano che Santos avesse dichiarato alle imposte di essere nulla tenente, con un reddito bassissimo, mentre due anni dopo appare così ricco da poter prestare settecentomila dollari alla sua campagna elettorale. E da dove viene questa nuova ricchezza? A detta di Santos dalle grosse parcelle che lui riceve come consulente per grandi affari. Ora afferma che forse quei soldi prestati alla sua campagna elettorale non erano suoi. Le autorità hanno cominciato a indagare.
Colto in flagrante dalle rivelazioni giornalistiche, Santos è rimasto impassibile. Si è difeso affermando in interviste tv che lui non ha fatto niente di male. Lui non ha commesso alcun crimine. Lui ha solo “abbellito” il suo curriculum. E in fondo lo fanno tutti, dice lui. Quindi essersi inventato lauree e anni di impiego presso prestigiose istituzioni finanziarie di Wall Street, a detta sua, rientrerebbe nella norma. È vero che altri politici in passato hanno detto bugie in campagna elettorale, per esempio esagerando il proprio servizio militare in zone di guerra, o altro. Ma questo livello di menzogna – una vita tutta inventata – non ha precedenti.
Detto questo, quali conseguenze per Santos dalla dirigenza del suo Partito repubblicano? A livello locale, politici di New York hanno pubblicamente chiesto che Santos, avendo tradito la fiducia degli elettori, desse subito le dimissioni. Ma il leader dei Repubblicani alla Camera, Kevin McCarthy il probabile ma (all’epoca delle rivelazioni su Santos) non ancora eletto speaker, cioè presidente della Camera, non disse assolutamente niente e continua oggi a non dire nulla, a parte generiche affermazioni di seguire l’iter normale da parte di organi di controllo della Camera. Nessuno sdegno. Nessun invito alle dimissioni.
In altre parole, il futuro speaker, altissima carica federale, terzo in linea di successione alla presidenza degli Stati Uniti, quando lo scandalo venne alla luce, non ritenne opportuno condannare un neodeputato del suo partito apertamente colpevole di avere imbrogliato i suoi elettori. E il perché di questa reticenza? Molto semplice. Quando scoppiò lo scandalo Santos, all’inizio di gennaio, McCarthy non era stato ancora eletto speaker. Data la maggioranza di soli sei voti dei Repubblicani alla Camera, tra cui alcuni deputati apertamente ostili a lui, McCarthy, per poter diventare speaker, doveva assicurarsi ogni possibile voto a suo favore. E il neoeletto George Santos aveva dichiarato che avrebbe votato per McCarthy. Ecco la ragione del silenzio. Il voto di Santos, personaggio indegno e indecente, faceva molto comodo, quindi è stato accettato di buon grado. E, con questo, McCarthy ha dimostrato di essere un uomo politico senza principi, un carrierista senza alcuna morale. E qui sta il vero marcio.
George Santos è un imbroglione di livello forse patologico. Ma Kevin McCarthy, veterano di Washington, per anni leader della minoranza Repubblicana alla Camera, si è apertamente rivelato persona senza alcun senso morale. Adesso, anche grazie al voto di Santos, McCarthy è finalmente Speaker. Ma questa sua elezione mostra una persona disposta a tutto pur di assicurarsi la carica ambita. E questo triste spettacolo di calcolo meschino rivela un profondo degrado civico in America. Questa non è la norma storica.
Ma oggi è così. Oggi gli imbroglioni vengono eletti grazie ai loro imbrogli, e quando scoperti rifiutano di dare le dimissioni, e i massimi leader nazionali fanno finta di niente, così normalizzando la frode. E di conseguenza il prestigio delle istituzioni democratiche – prestigio che si regge solo sull’onestà e il senso morale di tutti – comincia a pencolare.
Più di due secoli fa John Adams, uno dei più illustri “Padri Fondatori” scrisse che il regime repubblicano avrebbe potuto sopravvivere in America solo se i cittadini avessero mostrato di essere animati da un profondo senso morale. La vicenda Santos, per quanto grottesca e per certi versi farsesca, rivela mancanza di morale da parte di un aspirante uomo politico e di un establishment che non è in grado di fare l’ovvio: condannare pubblicamente i candidati imbroglioni, cacciandoli poi dal partito.
Se l’America non reagisce presto e vigorosamente a questo affondamento nella melma del malcostume e dell’aperto opportunismo di politici senza principi, diventa sempre più difficile pensare a un futuro luminoso per questa democrazia bicentenaria.
Paolo von Schirach, Presidente Global Policy Institute; Professore di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, Bay Atlantic University, Washington, DC