Previsioni errateLa guerra di Putin non ha impoverito l’Italia e il sostegno all’Ucraina non è un vero problema

Gli effetti economici dello scontro con Mosca sono molto ridotti rispetto alle attese. Ma molti cittadini seguono ancora la propaganda dei neutrali che vorrebbero vendere la libertà di Kyjiv in cambio di guadagni irrisori

AP/Lapresse

«Le sanzioni alla Russia fanno male più a noi che a loro», quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase nell’ultimo anno? È stata anche la posizione dell’ex premier Giuseppe Conte, sempre in prima fila nel chiedere il disimpegno italiano, l’interruzione dell’invio, peraltro estremamente limitato, di armi all’Ucraina.

Non si tratta solo del consueto pessimismo, dell’inclinazione alla lamentela dell’italiano medio, abituato a decenni di declino economico, a previsioni positive smentite da una realtà più fosca.

È anche il risultato di una narrazione precisa, in parte pilotata, ma soprattutto spontanea, che vuole la Russia e il suo leader, Vladimir Putin, come potenti, quasi invincibili di fronte a un Occidente fragile e visto sempre sul bilico del declino.

È una visione presente anche in altri Paesi ma, mentre lì è assolutamente minoritaria, in Italia affascina tantissimi, e non solo coloro che sono esplicitamente filorussi, ma anche chi Putin lo teme. Lo teme, appunto, perché lo ritiene più forte di quanto sia, mentre considera l’Italia, l’Unione europea, il mondo occidentale più debole di quel che in realtà si sta dimostrando essere.

Non è un caso, infatti, che questa narrazione resiste anche di fronte ai fatti, ovvero alla smentita delle fosche previsioni fatte all’indomani dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina.

Allora i centri studio di due delle maggiori organizzazioni del nostro sistema produttivo, Confindustria e Confcommercio, avevano elaborato stime molto pessimiste sulla nostra economia.

La prima prevedeva che il Pil sarebbe cresciuto nel 2022 solo l’1,9 per cento nel migliore dei casi, e meno, l’1,6 per cento, in uno scenario, definito «avverso», ovvero se la guerra fosse durata fino a dicembre, o l’1,5 per cento se invece fosse andata anche oltre, come sta facendo. Per i commercianti invece l’economia si sarebbe fermata al 2,1 per cento. La realtà è che il prodotto interno lordo è aumentato del 3,9 per cento.

Dati Confindustria, Confcommercio, Istat

Naturalmente è facile ora, con il senno di poi, fare le pulci a chi allora era in ambasce per quel che accadeva, si potrebbe dire. Però è interessante notare che nello stesso periodo, l’aprile scorso, altri previsori, come il Governo italiano con il Def, e il Fondo Internazionale con il suo outlook periodico, vedessero un po’ meno nero, rispettivamente una crescita del 3,1 per cento e del 2,3 per cento.

Il tessuto produttivo, insomma, era ancora più negativo delle istituzioni nazionali o internazionali. Vi erano alla base degli assunti, la convinzione che l’incertezza economica e finanziaria e i costi delle materie prime sarebbero stati molto alti.

Per quanto riguarda la prima Confindustria prevedeva che il Financial Stress Index (FSI), che raccoglie ben trentatré variabili (nell’ambito del credito, dei tassi di interesse, della volatilità della Borsa, ecc) sarebbe schizzato in alto, oltre i tre punti negli scenari che prevedevano una maggiore durata del conflitto. In realtà sono stati toccati quei valori solo per alcune settimane in autunno e da fine dicembre si è scesi al livello base e sotto.

Dati Confindustria, OFR

Tra i motivi del miglioramento c’è il calo del prezzo delle materie prime. Il petrolio per Viale dell’Astronomia sarebbe schizzato a 111,91 dollari al barile (prezzo del Brent), rimanendo vicino ai cento o oltre anche nel 2023. Da fine 2022, invece, la quotazione oscilla tra ottanta e novanta.

Dati Confindustria, Brent

Confindustria, poi, temeva che il gas sarebbe rimasto intorno ai 126,4 euro per MWh fino a fine anno non scendendo sotto i cento neanche nel 2023. Qui la smentita delle previsioni è stata ben più spettacolare.

La capacità del mercato di trovare e aprire nuove fonti di approvvigionamento (più un autunno/inverno mite) hanno fatto in modo che dopo un picco in agosto, quando fu superata quota duecento euro, le quotazioni siano scese nell’ultima parte dell’anno. Anzi, si è arrivati ora a livelli più bassi di quelli precedenti alla guerra, anche sotto i cinquanta euro.

Non solo, in Europa gli stoccaggi non sono mai stati così pieni, superiori ai sessanta miliardi di metri cubi, il cinquanta per cento maggiori di quelli medi del periodo 2015-19, mentre il gettito russo dalla vendita del gas naturale è un terzo di quello che era prima dell’invasione.

Dati Confindustria, TTF

Dal punto di vista macroeconomico il dato del Pil molto migliore delle stime è motivato dall’andamento più lusinghiero degli investimenti, dei consumi, dell’export.

I primi avrebbero dovuto subire una brusca frenata dopo l’impennata del 2021, fermandosi ad aumenti del 3,4 per cento (per Confcommercio), o del 4,1 per cento (per Confindustria). In realtà almeno nei primi tre trimestri dell’anno gli incrementi sono stati più che doppi, se non tripli.

Dati Confindustria, Confcommercio, Istat

Le esportazioni, poi, non sarebbero dovute andare oltre un +2,8 per cento (per Confindustria) o un +3,6 per cento (per Confcommercio), ma almeno in volume sono salite in realtà del 7,7 per cento.

Anche l’occupazione sta avendo performance migliori delle stime. L’andamento delle unità di lavoro è un buon indicatore. Rappresentano il numero dei lavoratori a tempo pieno che vi sarebbe mettendo insieme sia chi è impiegato quaranta ore sia chi è part time (due part time a venti ore valgono quindi uno).

È cresciuto del 4,5 per cento contro previsioni molto più asfittiche, che preventivavano incrementi inferiori al due per cento.

Il risultato è che la disoccupazione è scesa al 7,8 per cento, mentre gli imprenditori pensavano che non sarebbe andata al di sotto dell’8,8 per cento neanche nel 2023.

Dati Confindustria, Confcommercio, Istat, Upb Camera

Si tratta di dati nel complesso molto positivi, che però non stanno emergendo molto nel discorso pubblico. Neanche le forze politiche che potrebbero provare a intestarsele ne parlano molto.

Potrebbe farlo quella parte del centro e della sinistra che appoggiava il Governo Draghi, oppure ora anche il centrodestra che governa da almeno quattro mesi. Invece prosegue la narrazione della crisi provocata dalla guerra, dalle sanzioni, passa l’idea che l’inflazione sia causata quasi solo dalla scelta di emanciparsi dalla dipendenza energetica dalla Russia.

In fondo non è un caso che il Paese occidentale in cui la propaganda anti-Nato, anti-Stati Uniti, anti-Unione europea e allo stesso tempo filorussa fa più presa sia anche quello in cui una volta si parlava di lotta dell’«oro contro il sangue».

Questa retorica nazionalista che contrappone l’ideologia patriottica alla forza economica e tecnologica, privilegiando la prima, come fanno oggi i propagandisti di Mosca, sembra essere sempre viva in Italia.

E del resto è strettamente collegata a una sottovalutazione diffusa dell’importanza delle dinamiche dell’economia e della ricerca e si accompagna a un analfabetismo finanziario sempre molto alto, oltre che a vaghi sentimenti anti-capitalisti mutuati dagli -ismi più popolari in Italia, fascismo, socialismo e comunismo (spesso catto-comunismo).

Anche qui nasce la fascinazione verso Vladimir Putin o perlomeno il timore verso la sua presunta potenza, la concezione che avere un presunto pensiero forte valga di più che avere a disposizione i miliardi di dollari o sistemi militari e satellitari più avanzati.

Non è così: l’oro batte il sangue, la tecnologia e il denaro, la capacità industriale batte l’ideologia e lo sciovinismo. Il paradosso è che di questa “vittoria dell’oro” stiamo beneficiando anche noi ora, i dati, appunto, lo dimostrano, ma ne siamo inconsapevoli.

Nonostante gli effetti economici dello scontro con Mosca siano molto minori del previsto, la maggior parte degli italiani è pronta a vendere la libertà degli ucraini in cambio di guadagni quasi inesistenti, il tutto in nome di una narrazione fasulla, frutto di vecchie ideologie mai morte.