L’Ucraina è Europa. Al Centro Brera non contiamo gli anniversari, ricordiamo il Premio Sakharov conferito dal Parlamento europeo al coraggioso popolo ucraino. Proviamo a stringerci – idealmente prima di farlo fisicamente in piazza Duomo – attorno a una comunità in un giorno doloroso. È stracolma la sala dell’evento organizzato a Milano da Linkiesta e Slava Evropi, in collaborazione, oltre che con l’Europarlamento, con la Rappresentanza a Milano della Commissione europea e il Consolato generale ucraino a Milano.
«Per quelli della nostra generazione, quelli che vivono il nostro tempo – dice il direttore di Linkiesta, Christian Rocca –, il 24 febbraio è una di quelle date che non si dimenticheranno, come l’11 settembre 2001. Non serve neppure specificare l’anno. Oggi cerchiamo di celebrare il coraggioso popolo ucraino che ha resistito per un anno alla barbarie e alle tenebre».
Dopo il violino struggente di Nelly Kolodii dell’orchestra dell’Accademia della Scala, i saluti istituzionali. Ci sono diversi rappresentanti diplomatici: il console della Germania e quello della Finlandia, delegati del consolato dei Paesi Bassi, della Slovenia, della Croazia, Repubblica Ceca e Bulgaria. Ci sono anche l’ex ministro della Difesa del governo Draghi, Lorenzo Guerini, attuale presidente del Copasir, e Marco Cappato.
«Il parlamento europeo non ha scelto parole a caso quando ha dato il Premio Sakharov al coraggioso popolo ucraino. La guerra dei russi all’Ucraina è una guerra a tutti noi – dice il capo dell’Ufficio del Parlamento europeo a Milano, Maurizio Molinari –. Nella società russa la libertà di pensiero non esiste. Il coraggioso popolo ucraino combatte per la possibilità di esistere, un’esigenza anche della nostra società. Il Parlamento europeo ha sostenuto il popolo e il governo ucraino nella battaglia contro l’invasore, chiedendo anche l’invio di armi. Per permettere al popolo ucraino di difendersi. Credo che durante la Seconda guerra mondiale nessuno avrebbe detto che la Resistenza avrebbe dovuto arrendersi a Hitler. Anche la Resistenza ucraina ha diritto a essere chiamata Resistenza».
«È difficile essere freddi e razionali come un’istituzione dovrebbe sempre essere. È assolutamente impossibile – aggiunge Massimo Gaudina, capo della Rappresentanza della Commissione Europea a Milano –. Sin dal primo giorno la Commissione europea ha voluto schierarsi non solo a parole, ma con tanti fatti a fianco della popolazione Ucraina». Cita i miliardi di aiuti e donazioni, le otto milioni di persone accolte, soprattutto donne e bambini, metà dei quali beneficiano già del meccanismo di protezione temporanea. «L’Ucraina appartiene alla famiglia europea. Stasera non possiamo non dirci europei, ma non possiamo neppure non dirci ucraini».
Viktoriia Fufalko del Consolato generale dell’Ucraina a Milano esprime la «profonda gratitudine agli organizzatori e a tutti i presenti per il colossale supporto che ci fanno sentire. Il coraggio non è scontato. È chiaro che siamo combattuti, che c’è una dualità quasi amletica in noi. Ma lottiamo per la libertà. Che la pace possa essere garantita soddisfacendo gli appetiti dei regimi autoritari è un controsenso».
«Oggi il mondo libero ricorda la brutale aggressione – dice la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picerno –, che tendeva non solo a mettere fine all’esperienza democratica di Kyjiv ma anche ad attaccare i nostri valori in tutte le nostre democrazie, dopo anni di un’escalation poderosa attraverso le armi della propaganda, che si è attivata attraverso le interferenze nella nostra politica europea, che negli anni passati ha purtroppo incontrato indifferenza».
L’assalto a Kyjiv ha aperto gli occhi «su una generazione di donne e uomini che ha fatto dell’Europa la propria ragione di vita». L’assegnazione del Premio Sakharov per la libertà di pensiero al coraggioso popolo ucraino, spiega Picierno, è «un riconoscimento doveroso». La vicepresidente conclude con un elogio a Linkiesta e alla sua redazione, diventate «la voce di quell’Europa che non sia arrende al buio della ragione e la voce di un’Ucraina coraggiosa e valorosa che tra qualche anno, ne sono sicura, diventerà una stella sulla bandiera della nostra Unione europea».
«Non avremmo mai voluto esser qui oggi a ricordare questo anniversario, di un anno di sofferenza dovuto all’aggressione ingiustificabile e ingiustificata di Putin – interviene Lorenzo Guerini –. Torno con la mente allo scorso anno: alle 4.01 venivo chiamato al telefono dal capo di Stato maggiore della Difesa che mi diceva che l’invasione era iniziata. Un momento che sembrava avvicinarsi in maniera inesorabile, sempre di più. Quella notte tutte le nostre paure si sono materializzate improvvisamente, l’Italia si è messa subito al fianco dell’Ucraina».
«Ho firmato cinque decreti firmati per l’invio di armamenti – ricorda l’ex ministro –. Non è mai facile fare scelte di questo tipo, però ci sono tornati della Storia in cui il Male si manifesta. Il dovere di chi crede nella pace e delle democrazia, allora, è sostenere chi viene aggredito. A quel Male abbiamo dato una risposta forte. Putin pensava di risolverla in pochi giorni, ha continuato a chiamare operazione speciale una guerra con tutti i canoni della guerra».
«Contava su un popolo che si sarebbe piegato, su comunità occidentale che non avrebbe saputo dare una risposta. Ma il mondo ha dimostrato che i calcoli di Putin erano sbagliati. Voleva meno Nato e ha avuto più Nato, un’Europa divisa e l’ha trovata coesa, ma ha sbagliato soprattutto a non considerare coraggio eroismo del popolo ucraino», continua Guerini.
Il presidente del Copasir cita le parole di Sergio Mattarella: «Una pace per essere chiamata tale deve ristabilire la verità, il diritto internazionale e la sovranità». Poi si rivolge ai connazionali: «Capisco che un anno di guerra porti a essere stanchi, a sperare che tutto possa finire presto, ma se guardiamo negli occhi chi sta combattendo, capiamo che per chi sta resistendo la stanchezza non ci può essere. Se si ferma l’Ucraina non c’è più l’Ucraina, se si ferma Putin non c’è più la guerra».
«Dobbiamo essere cauti prima di dire che la Russia sta perdendo anche la guerra della disinformazione», ammonisce la giornalista ucraina Olga Tokariuk, fellow al Reuters Institute. «Possiamo dire con certezza che la propaganda russa funziona molto bene dentro la Russia. Nei russi che hanno lasciato il Paese non notiamo un grande movimento di protesta. Non abbiamo visto crepe nella società ucraina. Certamente la Russia continuerà invece a cercare di fermare il sostegno che arriva dai Paesi liberi sul piano politico, militare e finanziario. In alcuni Stati, Italia inclusa, vediamo il manifestarsi di questi tentativi».
Il copione della macchina del Cremlino è quello noto: accuse di corruzione al governo di Volodymyr Zelensky, la balla che sia inutile armare «perché tanto Kyjiv perderà la guerra». Secondo la studiosa, le operazioni di disinformazioni potrebbero intensificarsi nei prossimi mesi. Nel Sud globale, le offensive mistificatorie di Mosca riescono ad attecchire più che in Occidente.
«La cosa più importante dei nostri progetti è stato dare una voce, ma anche un volto agli ucraini – spiega la nostra Yaryna Grusha Possamai, scrittrice, docente di lingua e letteratura ucraina, curatrice di Slava Evropi –. Finalmente in Italia gli ucraini hanno cominciato a parlare per se stessi. È stato un anno in cui non siamo più esistiti noi, ma è esistito qualcosa di più grande di noi, la Storia che si è rimessa in moto. Il 24 febbraio 2022 l’Ucraina è stata messa sulla mappa dell’Europa, dove in realtà era sempre stata. Formalmente inizia il secondo anno, ma noi stiamo ancora vivendo la mattina brusca del 24 febbraio 2022».
«Quando abbiamo chiesto alla polizia di Milano l’autorizzazione per venire ogni sera a manifestare, loro non ci credevano. Dopo un anno noi ancora siamo lì. Ci sono persone che ogni sera portano in metro la cassa grande lì in piazza», testimonia Viktoriia Lapa, del network UaMi nonché lecturer dell’Università Bocconi. «Adesso la nostra bandiera è diventata quella della libertà, con noi vengono anche tanti iraniani».
«Paghiamo un prezzo molto alto per la guerra: purtroppo non si può calcolare in soldi, ma in vite umane. Per tanti di noi ucraini questa è diventata una guerra personale – conclude Artem Zaitsev, rappresentante di UaMi –. Ho perso il fratello in guerra, aveva trentasette anni. Non era un militare di professione, ma se la sentiva di arruolarsi e andare a difendere l’Ucraina. Si è arruolato nei primi giorni ed era distaccato in Donbas, nei pressi di Bakhmut». Poi mostra le foto sul telefono. «Credo che la Storia possa rimettere tutto a posto. La luce vincerà sulle tenebre».