Dark patternsPer rifiutare le manipolazioni dell’e-commerce, dobbiamo poterle riconoscere

Secondo uno studio della Commissione europea, gli utenti percepiscono come normale la presenza di queste pratiche illecite nella loro esperienza online, ma le respingono quando sono messi nelle condizioni di identificarle. Bruxelles chiede più incisività alle autorità nazionali

Nel ventunesimo secolo, nell’era dei nativi digitali e della diffusione dei social network su larga scala, ci affidiamo a internet per qualsiasi cosa, in maniera spontanea e naturale. Questa spontaneità deriva nella gran parte dei casi dalla convinzione dell’essere padroni di noi stessi e noi stesse, delle nostre personali intenzioni, dalla sicurezza che ormai il digitale sia uno strumento che sappiamo maneggiare senza particolari dubbi, timori.

La prospettiva, ormai divenuta realtà, di avere il mondo intero a portata di click è troppo allettante per essere rifiutata, troppo liberatoria per essere messa in discussione. Ed è proprio nel rapporto rischio-beneficio che le sconfinate possibilità offerte dal digitale ci conquistano, vincono qualsivoglia tentennamento, immediatamente etichettato come anacronistico, mero allarmismo.

La realtà è chiara: all’altare del digitale tutti rispondiamo a gran voce «Sì, lo voglio», nell’illusione che in questo matrimonio con l’ignoto non dovremo rinunciare proprio a nulla, che riusciremo a conservare il completo controllo dei nostri desideri, i nostri caratteri, le nostre scelte.

Eppure, è difficile illudersi di poter scegliere senza pressioni quando, sul sito web nel quale si sta navigando, un conto alla rovescia ci invita a sbrigarci, a non indugiare in ripensamenti inutili. Il rischio? Perdersi l’ultimo modello del prodotto che stiamo visualizzando e che, proprio in quell’istante, è disponibile a un prezzo scontatissimo.

Una congiunzione astrale irripetibile che subito potrebbe innescare nel consumatore quella che gli inglesi chiamano Fomo, «fear of missing out», il viscerale timore di perdersi qualcosa di potenzialmente sui generis. E allora eccoci cedere alle pulsioni della lista desideri che non sapevamo di avere.

Ma non si tratta di acquisti dettati dalla semplice ingenuità, si cede non per propria responsabilità, o almeno non solo. Il 30 gennaio scorso la Commissione europea e le autorità nazionali per la tutela dei consumatori hanno pubblicato il resoconto di un’indagine che riguarda il mondo dell’e-commerce. Il focus è sui negozi online specializzati nella vendita di prodotti tessili ed elettronici, colpevoli di orientare le scelte e le preferenze dei consumatori, a proprio vantaggio.

Emerge infatti che tra i trecentonovantanove negozi online della ricerca ben centoquarantotto, ovvero il quaranta per cento, attuano pratiche manipolatorie nei confronti dei consumatori. Sebbene il campione possa sembrare poco significativo, ciò che si evidenzia è una tendenza chiara, un approccio sistemico adottato dal commercio online per acchiappare l’attenzione del cliente. Sono i dark patterns, subdole tecniche manipolatorie che spingono il consumatore verso determinate decisioni, senza che la manipolazione sia percepita.

Dai conti alla rovescia fittizi alle interfacce web concepite ad hoc per aumentare le probabilità di acquisto, fino alle informazioni sapientemente occultate per indurre il consumatore a comprare prodotti e/o servizi, la diffusione di questi meccanismi oscuri online resta una preoccupante incognita. Secondo un sistema di scansione automatico dei «dark patterns» progettato dagli studiosi della Princeton, circa milleduecento siti web su diecimila negli Stati Uniti utilizzano queste pratiche. Decisamente una situazione da non sottovalutare.

Era il 2010 quando l’esperto di user-experience britannico Harry Brignull ne coniò il concetto e da allora, per fortuna, di dark patterns si è discusso grazie ai numerosi esempi e studi a disposizione per quanto la questione resti torbida, ciò che conta è attirare l’attenzione non solo degli specialisti ma anche dei consumatori, che molto spesso sono poco informati o addirittura ignorano l’esistenza dei «dark pattern».

Anzi, secondo uno studio comportamentale della Commissione europea gli utenti intervistati accettano e percepiscono come un fatto normale la presenza di pratiche manipolatorie nella propria esperienza online. Una volta però messi nella condizione di saper identificare un pattern oscuro, sempre secondo lo studio, gli utenti cominciano a percepirlo negativamente.

Una questione di consapevolezza e anche di consenso che in molte realtà di e-commerce manca e che può avere un impatto negativo sulla salute dell’utente: nello studio emerge infatti che la presenza eccessiva di pop-up e di istruzioni e azioni forzate (imperativi come «clicca qui!», «completa l’ordine») è collegata a sensazioni di ansia, senso di allarme, battito accelerato.

Cosa succede in Italia e in Europa
È evidente quanto, nonostante le più rosee speranze e le più ferree sicurezze, nessuno sia immune agli effetti collaterali della digitalizzazione. Secondo l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Agcom, infatti, l’e-commerce in Italia è un segmento fiorente: nel 2021 sono stati circa novecentosessantuno milioni i pacchi spediti, che si traducono in fatturati a nove zeri per le grandi aziende del mercato.

Una pletora di possibilità per i venditori, un campo minato per i consumatori, inondati di stimoli e proposte potenzialmente rischiose. Chi di digitale ferisce, però, di digitale perisce. Risale a qualche settimana fa la multa da parte dell’Antitrust a carico della Yoox Net-a-porter, rivenditore di moda online attivo in più di centottanta paesi.

L’accusa è di aver perpetrato, tra il 2019 e il 2022, comportamenti scorretti nei confronti dei consumatori: sconti ingannevoli per avvicinare i clienti e blocco dell’account per eccesso di resi, la multa che la società dovrà pagare ammonta a circa cinque milioni di euro.

In Europa la materia è ancora oggetto di discussione. La direttiva europea sul commercio elettronico 2000/31/CE, per esempio, ha avuto il merito e l’obiettivo di promuovere la libera circolazione di beni e servizi online, adattandosi all’evoluzione digitale e alle crescenti necessità dei consumatori.

La storia però è ancora da scrivere e in tal senso le istituzioni europee fanno grande affidamento sulle autorità nazionali, responsabili del rafforzamento delle leggi in protezione dei consumatori. Come afferma Didier Reynders, commissario europeo per la Giustizia: «Abbiamo già strumenti giuridicamente vincolanti per affrontare questi comportamenti e invito le autorità nazionali a fare uso dei loro poteri per contrastare con decisione queste pratiche».

Una chiara indicazione, una stretta inevitabile per regolamentare un mercato che evolve in maniera incontrollata e che, talvolta, trae vantaggio dalle vulnerabilità e debolezze di chi quella evoluzione vorrebbe solo abbracciarla, spontaneamente e senza manipolazioni.

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