Taste Atlas è un magazine online in inglese, con sede a Sofia, che qualche giorno fa ha pubblicato una “classifica” sui migliori formaggi al mondo. Gli italiani ne escono vincitori, soprattutto sugli acerrimi nemici francesi. E a poche ore dalla pubblicazione, tutti in Italia plaudono a questo riconoscimento, entusiasti di poter dire che nelle prime dieci posizioni i nostri latticini sono in grande spolvero, surclassando qualunque altra nazione.
Ma chi fa questa classifica e soprattutto che valore ha nel mondo? Siamo certi di poter gridare al successo internazionale?
Lo spiega poche ore dopo Michele Antonio Fino, Professore Associato di Fondamenti del Diritto Europeo, Food Law ed Ecologia Giuridica, sul suo profilo instagram, che legge in questa classifica qualche nota stonata: «TasteAtlas è la creatura di un ex giornalista croato, Matija Babic, e ha la propria sede a Sofia. Qui 30 (trenta, non trentamila) “ricercatori” compilano classifiche e mappe del gusto sulla base di meta analisi. Non si fa fatica a valutare la qualità della classifica, specie considerando le curiosità. Al 16° posto ci sono i “bocconcini” (de che?) e al 6° lo “stracchino di crescenza” (che sarebbero due formaggi diversi)… Ma che importa? Ci casca anche la politica. Il gastronazionalismo rende stupidi? No, ma fa fare cose stupide. La morale è sempre quella: se, quando vedi la parola Italia o il Tricolore, ti si gonfia la vena, la risposta è dentro di te, ma è sbagliata».
People, casa editrice e agenzia di comunicazione, che edita tra l’altro il bel libro proprio di Michele Antonio Fino sul Gastronazionalismo, sottolinea l’errore di tanti.
In questi giorni su facebook è apparsa una classifica semplicemente risibile. I boomeroni italiani hanno fatto la hola, perché l'Italia trionfa e la Francia muta. Nessuno si è chiesto: ma chi diavolo è a fare questa classifica, e soprattutto come? #Thread #Gastronazionalismo 1/5 pic.twitter.com/JnrmqgFALu
— People (@peoplepubit) February 16, 2023
Due le riflessioni che ci vengono in mente, dopo aver visto tanti siti di tanti quotidiani italiani cavalcare la notizia, che indubbiamente ha il grande pregio di raccogliere consensi e click: dare visibilità e rilievo a una classifica che non ha alcun valore oggettivo e gastronomico è un modo fuorviante di fare informazione. Ma al netto delle riflessioni editoriali e sulla deriva che spesso prendono le notizie che riguardano questo settore, c’è anche una questione di merito.
Come scrive Marco Massarotto nel commentare la notizia: «Posto che la soggettività esiste (legittimamente) sempre e comunque, ogni classifica (dai formaggi al web) ha i suoi limiti, questa è una classifica di recensioni e trasmette il gusto popolare, cui si può obiettare che non sono palati tecnici. Ai World Cheese c’è un panel di 250 esperti cui si può obiettare che non rappresentano il gusto comune. Come ogni aggregato di dati con un criterio, però, qualche indicazione se ne può trarre: 1) abbiamo un primato di preferenza popolare e su alcune tipologie in particolare. 2) il “mito” del formaggio francese è appunto un mito, ben custodito, in quanto sia in queste classifiche popolari sia in quelle tecniche i francesi son ben presenti, ma non certo int posizioni di dominio, anzi. 3) la nostra cultura del formaggio è tanto straordinaria dentro i caseifici e le malghe quando povera e trascurata nei media e nei wine (hai visto i cheese?) bar. Mentre siamo come si vede se non i migliori, decisamente tra le top 3 regioni al mondo, chissene se primi o secondi). E dovremmo capitalizzare questi riconoscimenti e sviluppare educazione diffusa locale e globale».
Il punto calzante della riflessione è proprio sul concetto alla base di ogni “selezione”: giuria e pubblico sono spesso poco d’accordo, e capire il valore di una classifica deve proprio partire dal suo metro di giudizio usato per realizzarla. Tecnica professionale e palato comune non sempre sono d’accordo, e la più grande crema spalmabile al mondo è lì a dimostrarlo. Si possono mediare le due cose? Difficile, forse impossibile. Allora meglio separare i giudizi, ma spiegare bene chi sono i giudici, e qual è il target. Certo, il titolo sarà meno forte, e forse avremo meno click. Ma, da lettori, vogliamo informazioni o bufale?