Il primo ordine esecutivo del presidente statunitense Joe Biden, poche ore dopo essersi insediato nello Studio Ovale della Casa Bianca il 20 gennaio 2021, fu la cancellazione del permesso di costruzione per l’oleodotto nord-sud Keystone XL, che avrebbe consentito il rapido ed efficiente trasporto di greggio canadese proveniente dalla Provincia di Alberta alle raffinerie del Texas.
Questa mossa fu un chiaro gesto politico verso la agguerrita ala verde del Partito Democratico che osteggia per principio gli idrocarburi – il cui uso deve essere eliminato, se vogliamo salvare il pianeta dal disastro climatico. Nella realtà, vari studi e rapporti ordinati a suo tempo dalla amministrazione Obama, (con Biden vicepresidente), avevano ampiamente dimostrato che questo oleodotto non avrebbe causato alcun danno ambientale. Quindi la cessazione dei lavori ordinata da Biden non cambia niente riguardo a future emissioni, effetto serra, o altro.
Ma l’importante per Biden era dare un messaggio politico. Con questo atto simbolico la Casa Bianca fece capire a tutti che la guerra al petrolio e al gas naturale, nonostante il grande vantaggio economico e geopolitico per l’America creato da questa ricchezza energetica, era appena cominciata. Il secondo atto fu il congelamento di permessi per l’esplorazione per petrolio e gas nell’enorme demanio federale gestito dal governo americano. Il messaggio alle imprese americane nei settori gas e petrolio Stati Uniti era ed è chiaro: i vostri giorni sono contati.
Questo era e rimane oggi il programma di Biden. Secondo il presidente, per salvare il mondo bisogna rapidamente cambiare registro. Il futuro energetico americano sarà incentrato su una futuristica ed efficientissima rete alimentata da energia rinnovabile. I nuovi investimenti nel settore creeranno milioni di posti di lavoro. Queste tecnologie fermeranno il riscaldamento globale e salveranno così il pianeta.
Da questo punto di vista, l’enorme abbondanza in America di idrocarburi intrappolati in formazioni rocciose (shale) da anni sfruttabili grazie alle tecnologie combinate note come hydraulic fracturing, o fracking, e horizontal drilling, è un danno piuttosto che un vantaggio. A quanto pare a Biden e ai verdi non interessa che da importatore netto di quantitativi massicci di petrolio e gas, nel giro di pochi anni l’America è divenuta il massimo produttore mondiale di gas naturale (Russia numero due), e petrolio, (Arabia Saudita e Russia in seconda e terza posizione).
E i verdi non prendono in considerazione il grossissimo vantaggio strategico in termini di energy security, sicurezza energetica, che crea una indipendenza energetica emisferica per gli Stati Uniti (energia degli Stati Uniti più importazioni canadesi e messicane). Né vale l’argomento che tramite il fracking i soldi per l’energia si spendono a casa, creando al tempo stesso decine di migliaia di posti di lavoro ben pagati, piuttosto che mandarli all’Opec.
Con l’obiettivo di arrestare il riscaldamento globale, Biden è riuscito a far passare dal Congresso (dove fino alle elezioni di medio termine di novembre i Democratici avevano una risicata maggioranza in ambedue le camere), un gigantesco programma da più di quattrocento miliardi di dollari tutti dedicati a investimenti, sussidi e sgravi fiscali per l’energia verde. Questi fondi, sommati a un enorme piano decennale di investimenti nelle infrastrutture a cui si aggiungono altri notevoli investimenti pubblici nel campo dell’elettronica hanno l’obiettivo di trasformare radicalmente l’economia americana. Parliamo di più di un trilione di dollari.
Ma questa “industrial policy”, politica industriale, dove il governo spende e dà le grandi direttive sul futuro dell’economia è solo un costosissimo sogno. Allo stato attuale, in America l’energia rinnovabile, per quanto negli ultimi anni siano stati fatti grandi progressi tecnologici, non è efficiente rispetto agli idrocarburi. I costi sono ancora alti, la produttività è bassa. E poi c’è il problema ancora irrisolto della intermittenza.
Il sole di notte non c’è, e il vento a volte non basta per far girare le pale dei mulini, per cui occorrono sempre backup systems, altre fonti di energia, (generalmente impianti a gas), per garantire la continuità di produzione di elettricità. Batterie di grande capacità, in grado di accumulare l’eccesso di energia solare, per usarla poi di notte, ancora non esistono. Analogamente, la scommessa totale sulle auto elettriche sembra prematura. Le case automobilistiche stanno facendo investimenti di decine di miliardi di dollari nei motori elettrici solo perché obbligate dallo Stato. I costi dei veicoli elettrici sono ancora troppo alti. Si venderanno solo grazie a sussidi e sgravi fiscali.
E, al momento, i risparmi per gli utenti realizzati passando dalla benzina all’elettricità sono irrisori. Con i recenti rincari delle tariffe elettriche, recentemente si è visto che in America la benzina costa meno dell’elettricità. Ma questi argomenti non convincono i verdi che vedono letteralmente la fine del mondo avvicinarsi a grandi passi se non riusciamo a fermare l’uso dell’energia fossile.
Ciò detto, questa trasformazione dettata dalla politica e non dall’economia non funzionerà. Bisognerebbe lasciare che fosse il mercato a decidere dove investire in campo di nuove tecnologie energetiche. In tutto questo, il governo federale americano ha un ruolo importante.
Lo Stato può e deve fare investimenti nella scienza pura, nella ricerca non legata a immediate applicazioni commerciali. Questo è quello che hanno fatto e stanno ancora facendo in modo ammirevole i grandi laboratori del governo americano.
Le grandi tecnologie del futuro, dallo spazio alla genetica spesso hanno avuto la loro gestazione a Lawrence Livermore, Princeton Plasma Physics, Sandia, Oak Ridge, Savannah River, Los Alamos, Lawrence Berkley, Fermi National Accelerator, Idaho National, Argonne, Brookhaven, e molti altri grandi centri di ricerca governativi. Furono poi scienziati che lavoravano per progetti della DARPA, Defense Advanced Research Projects Agency, che crearono la Arpanet, Advanced Research Projects Agency Network, progenitrice di internet. Le applicazioni pratiche delle innovazioni derivate da scoperte fatte nei laboratori federali con fondi pubblici vengono poi portate sul mercato dalle imprese private.
In altre parole, è bene che lo Stato americano finanzi la ricerca pura in campo energetico, perché le imprese private non investono a fondo perduto senza una probabile prospettiva di lucro, mentre lo Stato lo può fare. Ma le applicazioni industriali di quello che viene scoperto o inventato nei laboratori federali sono poi sviluppate dalle imprese private, sulla base di prospettive di profitto. Quando invece le imprese private devono investire in certi settori in quanto dirette e/o sovvenzionate dallo Stato, fatalmente proliferano le diseconomie, e le cose vanno sempre a finir male.
Ed è per questo che è del tutto improbabile che i giganteschi investimenti nell’energia verde voluti da Biden avranno poi gli effetti desiderati. Questo non significa che sia sbagliato investire nella ricerca sulle energie rinnovabili. Bisogna investire, per scoprire nuove tecnologie, nuove efficienze. Ma è invece sbagliato ordinare oggi l’adozione su larga scala di tecnologie ancora non efficienti. Sicuramente questo comporterà enormi sperperi.
E non è tutto. I programmi verdi di Biden sono apertamente protezionisti. Solo il verde “made in Usa” potrà godere dei benefici fiscali previsti dalla nuova legislazione. Auto elettriche o batterie importate dall’Europa o dal Giappone, senza il benefico dei sussidi, costeranno di più e quindi saranno penalizzate nel mercato americano. Questo protezionismo contribuisce a creare un clima di sospetto a Bruxelles e renderà più difficile la cooperazione transatlantica proprio quando ne abbiamo grande bisogno, viste le grandi sfide geopolitiche, dalla Russia guerrafondaia alla Cina neo-imperiale, che l’Occidente deve affrontare.
Ancora peggio, queste politiche verdi negano quello che la guerra in Ucraina lanciata da Vladimir Putin ha reso palese per tutti. Allo stato attuale il mondo continua ad andare soprattutto a petrolio e gas. Al momento non c’è una vera alternativa su larga scala all’energia fossile. L’Europa ha fatto fronte al taglio degli approvvigionamenti russi assicurandosi gas e petrolio provenienti da altri paesi, tra cui l’America. Questo in quanto non è realistico pensare che nuovi impianti eolici o solari possano rimpiazzare in tempi e a costi ragionevoli gli idrocarburi fino a ieri importati dalla Russia.
Questa semplice e inoppugnabile realtà dovrebbe indurre il governo americano a modificare il programma per l’energia verde. Spendere soldi pubblici per la ricerca a tutto campo va bene. Ma la guerra di Washington al gas e al petrolio in un frangente in cui queste fonti energetiche sono essenziali per il funzionamento delle economie occidentali e mondiali è una vera follia. Il problema è che queste scelte sono dettate da una fissazione ideologica e dal calcolo politico di un governo che vuole coltivare la sinistra dei verdi, e non dal realismo economico.
Paolo von Schirach, Presidente, Global Policy Institute; Professore di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, Bay Atlantic University, Washington, DC