Gli storici della democrazia liberale e del mondo pacifico e globalizzato – dove vige lo stato di diritto, si è liberi di scegliere il proprio destino e si è protetti da un sistema di servizi sociali – ricorderanno Joe Biden come l’adulto che infine è entrato nella stanza per mettere ordine, e come il miglior presidente americano dai tempi di Harry Truman per tutto quello che ha fatto in difesa del mondo libero.
Biden ha già salvato due volte la democrazia americana, e di conseguenza l’occidente, fermando il golpista Donald Trump prima alle elezioni presidenziali del 2020 e poi a quelle di metà mandato di questo novembre. In un clima di rapporti razziali tornato incandescente nessun altro politico sarebbe stato in grado di convincere contemporaneamente così tanti elettori bianchi e così tanti elettori neri. Biden c’è riuscito.
Certo, ha gestito in modo catastrofico il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, ma ha stabilito un nuovo principio di politica estera con cui l’America ha superato il messianesimo democratico dell’era Clinton-Bush, la reazione declinista di Obama e l’isolazionismo di Trump.
La dottrina Biden, come ha spiegato George Packer sull’Atlantic, è una politica estera sempre fondata sui valori liberali, ma decisamente più convincente all’estero e più accettabile in patria (da qui il ritiro dall’Afghanistan). Una politica estera che evita agli Stati Uniti l’ennesima e tradizionale oscillazione tra un approccio grandioso e uno deprimente agli affari del mondo.
Biden punta a rafforzare la democrazia liberale dove c’è e a difenderla dall’aggressione straniera anche con le armi, se necessario. Laddove un sistema liberale invece non c’è, Biden offre un sostegno ai movimenti democratici, ma avendo cura di salvaguardare la loro autonomia e la loro legittimità.
Insomma, sintetizza Packer, la dottrina Biden prescrive di allineare la politica americana al desiderio universale di libertà, ma senza coltivare nel promuoverlo l’illusione di un facile successo.
Così Biden ha salvato l’Ucraina e l’Europa e continuerà a farlo fino alla sconfitta di Vladimir Putin e non ha cercato di mettere il cappello sulla rivolta iraniana.
Grazie alla dottrina Biden, ci siamo accorti che la notizia del superamento della democrazia liberale a vantaggio dei sistemi autoritari e illiberali era fortemente esagerata.
Mentre Joe Biden salva la democrazia in America e nel mondo, in Italia si alimenta invece un ignobile chiacchiericcio politico e televisivo per abbandonare l’Ucraina agli stupratori russi, si tace sulla rivoluzione di libertà in Iran e ci si concentra su un patetico dibattito politico sulle immaginifiche colpe del neoliberismo (un concetto che è una traduzione pigra dall’inglese “neoliberalism” che in italiano però non ha senso perché da circa un secolo, al contrario degli anglosassoni, usiamo già la parola “liberismo” per distinguerla dal “liberalismo”).
Un dibattito diventato addirittura surreale laddove si spiega che la crisi della sinistra democratica e la presunta notizia di reati di corruzione di alcuni esponenti della sinistra radicale abbiano origine da un convegno fiorentino del 1999 sulla Terza via (tra socialdemocrazia e liberismo). Il tutto senza considerare la fallacia logica di imputare un fantomatico cedimento al “neoliberismo” a chi voleva appunto trovare una via alternativa sia all’interventismo pubblico sia alla mano libera del mercato.
Ma questo è il livello del discorso pubblico italian: la sinistra liberal democratica è considerata neoliberista e deve mondare il peccato; i governi italiani sono giudicati neoliberisti e a nessuno scappa da ridere; anche il regime degli ayatollah iraniani è neoliberista; e, infine, Putin non aveva alcuna intenzione di invadere l’Ucraina mentre i guerrafondai, si sa, sono gli ucraini e il loro presidente ebreo e nazista, più altre facezie di simile profondità ed esattezza.
Tutto questo mentre nel mondo intellettuale serio si discute appunto di rinascita liberal democratica grazie a Biden, si ristudia Adam Smith svelando che la sua popolare immagine di campione del capitalismo americano e del libero mercato sia in realtà un’invenzione storica (“Adam Smith’s America” di Glory M. Liu: nemmeno Adam Smith era neoliberista! Roba da far esplodere Twitter), si torna a riflettere sulla rinascita del liberalismo (“Liberalism and its discontents” di Francis Fukuyama) e le riviste di cultura politica come l’Atlantic e Liberties fanno incredibilmente circolare idee separate dalla spazzatura.
Il favoloso popolo ucraino e i coraggiosi rivoltosi iraniani sono le persone più rilevanti del 2022, ma il vecchio Joe Biden è la persona più importante degli ultimi due anni.
Biden “made America great again”, ha fatto tornare l’America di nuovo un grande paese senza l’imperativo morale di esportare la libertà ovunque, ma ricordando a tutti che il mondo è un posto meno vivibile se l’America smette di fare l’America.