Il potere della calligrafia La parola scritta testimonia che siamo vivi, ci dice la mostra di Stefano Mario Zatti

È aperta fino al 26 febbraio all’interno di Atipografia (ad Arzignano), riconvertita in spazio espositivo e associazione culturale. L’artista veneto spoglia il linguaggio della meccanizzazione contemporanea e propone opere di cui compone personalmente i segni grafici e le frasi

Sangue del mio sangue, inchiostro e tecnica mista su carta, 150 x 600 cm, courtesy of Atipografia

Marcello Mastroianni, ne La notte di Michelangelo Antonioni, a un certo punto sbotta: «Quante volte oggi uno scrittore si domanda se lo scrivere non sia un gesto insopprimibile ma antiquato, questo lavoro così solitario, artigiano, questo mettere faticosamente una parola dietro l’altra, questo lavoro che non si riesce a meccanizzare in nessun modo!». Era il 1961 ed evidentemente nessuno sospettava cosa sarebbe accaduto alla comunicazione nei successivi settant’anni. Tra i computer, i social media e la progressiva digitalizzazione di ogni sfera sociale, possiamo dichiarare che la parola si è definitivamente meccanizzata?

Non è di questo avviso Stefano Mario Zatti, classe 1983, che ad Atipografia – galleria d’arte contemporanea ad Arzignano, in provincia di Vicenza – presenta La forma delle parole, aperta al pubblico fino al 26 febbraio. Le sue opere tentano di riconcepire l’espressione verbale come atto preconscio, arcaico, primitivo e dunque imperituro. In questo senso, secondo Zatti, la parola sarebbe il gesto ultimo di una serie di elaborazioni concettuali e pure altrettanto essenziali.

Pensiamo al più banale dei romanzieri. Non scrive certo ciò che gli passa per la testa. Quando arriva a imprimere una frase su un foglio o in una cartella Word significa che è arrivato al culmine di un processo creativo misteriosissimo, in cui è stato abitato da dimensioni e sensazioni particolari, per la più parte sfuggente. Ciò che raccoglie è un barlume, uno strato sottile, il prodotto infinitesimale di uno scarto.

courtesy of Atipografia

Zatti incide grafie, le colloca in spazi di volta in volta diversi, per restituire alla parola, allo scrivere, all’espressione il loro potere ancestrale, che permea da sempre l’esistenza degli esseri viventi tutti. Recide il legame con la semplificazione, la funzionalità, la finta efficienza colloquiale dell’interagire moderno. Sangue del mio sangue, ad esempio, è un rotolo di carta di sei metri dove sono raccolte sì parole, ma anche 380mila gocce rosse: sono le impronte digitali composte con acrilico, saliva e vino di tutti i nati lo stesso giorno della figlia dell’artista. Lei stessa ha partecipato all’opera, servendosi del sangue del padre, in un punto indistinguibile dalla miriade degli altri punti rossi.

Atipografia

La testimonianza, il passaggio, la presenza. Ecco la nobiltà restituita alla scrittura. A partire dagli antichi segni sul muro, fino a giungere a esperienze propriamente calligrafiche. Come per quanto riguarda una sorta di almanacco dei giorni dell’anno 2022, trecentosessantacinque elementi, trecentosessantacinque frasi diligentemente copiate a mano che ricordano il santo putativo del giorno. Per comprendere ciò a cui si assiste servono spiegazioni a corredo. Infatti, i curatori della mostra Robert Phillips e Matilde Nuzzo, insieme alla referente dello spazio espositivo Elena del Molin hanno preparato a corredo di ogni opera un commento che analizza, esprime, ricorda, anche attraverso un solo frammento. La genesi, per entrare nella cosmogonia creativa di Zatti, è tutto.

Mundus, 2022, 365 fogli, inchiostro su carta, dimensioni variabili, courtesy of Atipografia

Basta pensare a un’opera come Esodo celeste, che si basa sull’antica leggenda del popolo siriano secondo la quale i morti salgono verso il cielo facendosi stelle. L’artista ha forato centomila volte un cartoncino nero con un bisturi, per poi illuminarlo da dietro. La punta dello strumento penetra i polpastrelli delle dita della mano sinistra. Ecco perché ogni foro è diverso dall’altro: a seconda del dolore che varia e della capacità di sopportarlo. Ovviamente l’intento è di omaggiare le vittime del conflitto scoppiato in Siria nel 2011.

Atipografia, foto di Luca Peruzzi

Il luogo che ospita l’esposizione, nel vicentino, precisamente ad Arzignano, è stato restaurato soltanto lo scorso maggio ma è già diventata la struttura che per eccellenza più si presta a voci così sottili, misteriose e refrattarie a qualsiasi codice canonico. Atipografia, come suggerisce quella “a” privativa, è un’ex tipografia i cui locali sono stati trasformati in galleria, ma anche in associazione culturale. Ne avevamo parlato tra le pagine del primo numero de Linkiesta Eccetera, nella sezione Bacheca, in concomitanza con l’esordio di Arcangelo Sassolino e la sua Il vuoto senza misura, inaugurata il 21 maggio 2022.

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