Il 26 luglio 2012, quattro mesi dopo aver partorito la sua prima e unica figlia, una giovane donna di nome Fuani Marino si lancia dal quarto piano di una palazzina, a Pescara. Cade come un «sacco nero» della spazzatura, o almeno questo è ciò che crede di vedere l’inquilina del secondo piano. Precipita per dodici metri e un tempo lunghissimo, durante il quale non le passa davanti tutta la vita, come spesso si dice. C’è solo la sensazione concreta della forza di gravità e la voglia di farla finita al più presto. Poi si schianta sull’asfalto, ma contro ogni previsione non muore.
Dopo mesi di ricovero, interventi chirurgici, anni di terapia e cure farmacologiche, Fuani Marino decide di raccontarsi: lo fa con un libro, Svegliami a mezzanotte (Einaudi), in cui ripercorre la sua storia a partire dall’origine del suo nome, Fuani, somma di quelli dei genitori, Furio e Anita. Nel tentativo di trovare sé stessa, ricorda l’infanzia a Napoli, gli anni del liceo e quelli dell’università a Roma, il primo amore, il matrimonio, la maternità. La sua è una voce lucida, che esplora i luoghi oscuri del disagio psichico illuminandoli con la testimonianza di un’insperata resurrezione. Fuani scrive per liberarsi, per fare i conti con il dolore causato alla famiglia e perché la storia della sua depressione possa essere d’aiuto ad altri.
«Quando ho letto il libro sono rimasto folgorato», ricorda oggi il regista Francesco Patierno, classe 1964, anche lui napoletano, che da questa vicenda ha tratto un film omonimo, al cinema dal 13 febbraio. A permetterne la realizzazione è la “simpatia” – nel significato greco originario di “sentire insieme” – che fin dal primo incontro si instaura tra i due. «Grazie a questo sentimento si è creata in Fuani una fiducia che mi ha permesso di andare fino in fondo a qualcosa di estremo. La dimostrazione è nel fatto che mi ha dato le sue agendine, cioè qualcosa di molto intimo. Perché significa mettere la propria vita nelle mani di un’altra persona».
Più simile a un film che a un documentario, l’opera di Francesco Patierno porta al cinema «una storia unica, quella di una persona che racconta la propria morte». Ma Svegliami a mezzanotte è anche una storia molto al femminile: «Chi non vive sulla propria pelle un disagio simile non può capire fino in fondo che cosa si prova. E una persona è sola a combattere questo disagio proprio perché non è compresa. Per questo ho sentito quasi come una missione il raccontare “l’irraccontabile”. Per mettere a disposizione uno strumento che non fosse solamente un film a sé, ma servisse a molte persone che magari non hanno nessuno con cui confrontarsi».
Ci sono tante cose che Patierno spera che affiorino da questo racconto. Innanzitutto c’è «il disagio psichico, che è ancora un tabù all’interno sia della società sia della famiglia, dove si evita di parlare, si tende a nascondere». Poi c’è la ricerca stilistica del regista, «che cerca di trovare degli strumenti alternativi per raccontare qualcosa che sarebbe difficile esprimere appieno in una forma di pura fiction». Di qui la sfida del film: «Vorrei comunicare delle emozioni, fornire allo spettatore degli strumenti emotivi affinché sia libero di immergersi in questo flusso e poi trarre le sue considerazioni».