«Mentre continuano gli spaventosi atti di aggressione contro l’Ucraina e i crimini contro l’umanità in Bielorussia, è importante unirsi nella condanna delle azioni di Putin e Lukashenka e lavorare collettivamente per difendere i valori della democrazia e della libertà. Le azioni illegali di questi due dittatori rappresentano una minaccia diretta e immediata alle basi stesse della sicurezza in Europa. Rivolgo un appello urgente all’Italia e all’intera comunità europea affinché agiscano con decisione, dimostrando che la comunità internazionale non tollera la distruzione di vite innocenti. Restiamo uniti, con convinzione e coraggio, difendendo i principi che ci stanno a cuore e salvaguardando il futuro della nostra comune casa europea!».
Con queste parole, la presidente eletta della Belarus in esilio a Vilnius, lancia un appello all’Italia e all’Europa in occasione della giornata di solidarietà con la Belarus che si celebra oggi, 25 marzo. Sviatlana Tsikhanouskaya era il principale candidato dell’opposizione alle elezioni presidenziali del 2020, “rubate” poi da Lukashenka. Le massicce proteste di piazza seguite alle elezioni farsa attirarono l’attenzione della comunità internazionale globale. Il trio di donne composto da Sviatlana Tsikhanouskaya, Maria Kalesnikava e Veronika Tsepkalo divenne il simbolo del cambiamento possibile.
Le marce delle donne, dopo la violenta repressione delle manifestazioni pacifiche dei primi giorni, diedero continuità e speranza al movimento democratico. A tre anni da quelle elezioni rubate, dalla feroce repressione dei manifestanti pacifici, dagli arresti, dalle torture e dalle uccisioni, i crimini di Lukashenka restano impuniti e continuano ancora a colpire qualsiasi voce di dissenso. Lo scorso 6 marzo, Sviatlana Tikhanovskaya è stata condannata in contumacia a 15 anni di reclusione da un tribunale di Minsk.
La piattaforma internazionale per la raccolta delle prove dei crimini del regime ha già raccolto più di 15.000 documenti necessari per i processi, mentre la storica associazione bielorussa Viasna continua ad aggiornare il numero dei prigionieri politici che ad oggi è di 1454, tra attivisti, difensori dei diritti umani, giornalisti, studenti, accademici e leader dell’opposizione democratica.
Oggi si parla poco di Belarus, anzi, quasi per nulla, eppure quel movimento costituito di persone brillanti e coraggiose che condividono il sogno di vivere nel Paese democratico che hanno scelto nel 2020 e che gli è stato portato via con la forza è ancora lì, solo che non può far sentire la sua voce perché è dietro le sbarre. Già, perché la determinazione di Lukashenka a reprimere la libertà di espressione non si è mai fermata. Le carcerazioni preventive, le perquisizioni nelle case e negli uffici, i processi farsa a porte chiuse, le liste di “terroristi” redatte dal KGB, le minacce di estensione dell’applicazione della pena di morte, sono tutte armi utilizzate verso chi non ha mai smesso di difendere i diritti e le libertà, non solo dei bielorussi, ma di tutti noi.
Solo di recente, il regime ha colpito il direttivo di Viasna, l’organizzazione fondata nel 1996 nota ai difensori dei diritti umani di tutto il mondo proprio per il suo operato e la sua esperienza. Ales Bialiatski, vincitore del Premio Nobel per la Pace e fondatore di Viasna, Valiantsin Stefanovich, vicedirettore di Viasna e vicepresidente della FIDH e Uladzimir Labkovich, avvocato di Viasna, che ora si trovano ingiustamente in un carcere di Minsk, non lavoravano solo per la Belarus, ma per l’intera comunità democratica. Così come Lyudmila Chekina e Maryna Zolatava, rispettivamente direttrice e caporedattrice dell’importante giornale indipendente bielorusso dichiarato estremista e bannato nel Paese, Tut.by, e che sono state entrambe condannate a 12 anni di carcere, svolgevano un lavoro giornalistico prezioso per tutti noi. Silenziare le loro voci, così come quelle degli studenti e degli insegnanti che lottano contro la propaganda di Stato, è parte di quella strategia dei regimi che conosciamo bene.
A inizio di questa settimana, la polizia russa ha avviato un’azione di perquisizione contro Memorial, la storica organizzazione per i diritti umani vincitrice del Premio Nobel per la Pace e che Putin sta cercando di estinguere da anni. Infatti, nove anni fa fu etichettata come “agente straniero”, sulla base di una legge che prende di mira le associazioni che ricevono sostegno finanziario dall’estero al fine di screditarle e perseguire i loro membri come traditori e spie. Si tratta della stessa legge che ha scatenato le recenti proteste a Tbilisi, in Georgia dove, al momento e per fortuna, è stata bloccata.
Colpire chi lavora per difendere la legalità e lo Stato di diritto è una questione di sopravvivenza per tutti i regimi e su questo obiettivo saranno sempre alleati.
Se Lukashenka è riuscito a sopravvivere alle proteste del 2020 e a continuare la sua spietata repressione è solo grazie a Putin. Per sdebitarsi, Lukashenka ha poi permesso che il suo Paese fosse usato come punto di sosta per aggredire l’Ucraina dalla Russia. Questa è un’ulteriore prova del fatto che l’impunità genera ulteriori crimini, anche fuori dai confini dei regimi. Non c’è altra scelta per noi se non quella di un approccio comprensivo alla giustizia e alla lotta all’impunità.
Putin e Lukashenka condividono gli stessi modus operandi, si sostengono a vicenda e provano a convincerci che lo Stato di diritto e che la giustizia internazionale non esistono, che esiste solo la forza. Il giorno in cui comprenderemo l’urgenza di perseguire i crimini di Lukashenka e il crimine di aggresione della Russia in Ucraina, portando in un tribunale internazionale Putin, Lukashenka e gli altri responsabili, non solo avremo finalmente giustizia per tutte le vittime, ma avremo rafforzato il nostro sistema democratico, l’unico capace di prevenire ulteriori abusi, ovunque nel mondo.
Ecco perché credo che questa giornata di solidarietà non sia solo per la Belarus, ma per chiunque oggi stia lottando per la libertà, che sia su un campo di battaglia o dietro le sbarre di un carcere.