«La partita sui biocarburanti non è affatto persa», dice una risoluta Giorgia Meloni ai giornalisti assiepati all’uscita dal Consiglio europeo. La presidente del Consiglio italiana, anzi, canta vittoria per la «neutralità tecnologica» che il suo governo avrebbe contribuito a strappare alll’Ue: «Fermi restando gli obiettivi della transizione, che condividiamo, non dev’essere un dogma stabilire con quali tecnologie raggiungerli». Un mantra ripetuto spesso dalla premier e dagli esponenti del suo esecutivo, ma difficilmente applicabile al caso di specie.
A rimorchio della Germania
All’inizio di marzo è slittato il voto finale da parte del Consiglio dell’Ue che avrebbe sancito l’adozione definitiva del regolamento sul divieto di vendita a livello europeo di nuove auto con motore a combustione dal 2035 in poi. A opporsi alla ratifica erano allora Germania, Italia, Polonia e Bulgaria, chi paventando un’astensione, chi (come il governo italiano) direttamente un voto contrario. Questa «minoranza di blocco», a cui sembra si siano aggiunte Slovacchia, Cechia, Romania e Ungheria tiene di fatto in stallo il provvedimento. Ma mentre gli altri Paesi avevano già manifestato in passato perplessità sul divieto, alcuni di loro tra cui l’Italia pure chiedendo di posticipare di cinque anni la scadenza del 2035, la posizione che ha realmente cambiato le carte in tavola è quella tedesca. Il Consiglio infatti aveva già approvato i punti cruciali del regolamento a giugno 2022, concordando una posizione da negoziare con il Parlamento comunitario.
Poi, dopo l’accordo fra le due istituzioni e il voto definitivo di approvazione dell’Eurocamera, il governo di Berlino ha fatto retromarcia. Per dare il suo assenso, ora chiede un’esenzione, scritta e vincolante, per i veicoli alimentati da carburanti sintetici: i cosiddetti e-fuels, realizzati unendo CO2 e idrogeno ottenuto da fonti rinnovabili.
L’appiglio legale per questa richiesta è un comma del regolamento, secondo cui la Commissione è tenuta a fare una proposta successiva, dopo un confronto con i portatori di interesse del settore, per concedere l’immissione sul mercato anche dopo il 2035 ai «veicoli alimentati esclusivamente con carburanti neutrali dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica».
L’esecutivo guidato dal socialista Olaf Scholz, sotto forte pressione del ministro liberale dei Trasporti Volker Wissing, vuole una menzione esplicita degli e-fuels, che in teoria potrebbero essere considerati neutri perché durante la loro produzione si utilizza una quantità di anidride carbonica all’incirca pari a quella poi emessa quando bruciano nei serbatoi.
La questione ha provocato un terremoto diplomatico nell’Ue, con una trattativa serrata tra la Commissione europea e la Germania, e l’intervento formale della presidente del Parlamento Roberta Metsola, che scriverà una lettera formale al Consiglio per criticare il dietrofront. Mentre la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il cancelliere tedesco Olaf Scholz assicurano (senza scendere nei dettagli) che a breve si troverà una soluzione, il governo italiano ha provato a inserirsi nella breccia creata dallo stop al divieto, cercando di trasformarla in un buco abbastanza grande da farci entrare un’altra esenzione: quella per i biocarburanti.
I biocarburanti e le false «emissioni zero»
I quali, però, sono molto diversi dagli e-fuels: realizzati a partire da materie prime di origine agricola, potrebbero essere definiti sostenibili o persino rinnovabili, ma difficilmente neutrali dal punto di vista delle emissioni, visto che comunque alimentano una combustione. E sicuramente non sono carburanti a «emissioni zero» come ha provato a sostenere Meloni.
«I biocarburanti prodotti a partire da rifiuti e residui sono in grado, in teoria, di ridurre le emissioni fino al 88% rispetto a un carburante fossile: quindi non conseguono l’obiettivo delle emissioni zero», si legge in una recente analisi di Transport&Environment, network di associazioni non governative attive nel settore della mobilità.
In un’intervista a Linkiesta un suo rappresentante, Carlo Tritto, aveva anche sottolineato la necessità di produrre questi carburanti solo da materiali effettivamente scartati e non coltivati a questo scopo: vista la loro disponibilità limitata, dunque, andrebbero utilizzati per decarbonizzare quei settori dove, al contrario della mobilità su strada, non esistono alternative alla combustione: come il trasporto marittimo o aereo di lunga distanza.
Escludere esplicitamente i biocarburanti dal divieto sarebbe dunque una pesante sconfitta per la Commissione, perché sconfesserebbe il principio della neutralità climatica dei veicoli venduti dopo il 2035. Considerando che già la richiesta tedesca ha scatenato molti malumori, anche tra altri Paesi dell’Ue come Svezia e Francia, una doppia esenzione sembra oggi una miccia in grado di innescare un incendio di polemiche su uno dei provvedimenti più significativi dell’intero Green Deal europeo.
Al contrario, l’ipotesi più probabile è che il vice-presidente della Commissione Frans Timmermans, incaricato del dossier, accetti a denti stretti un compromesso con i tedeschi: Berlino, che aveva aperto la crisi sull’approvazione del divieto, sarebbe allora pronta a chiuderla, trascinando quasi sicuramente con sé gli altri Paesi ora riluttanti.
Ma non l’Italia, che voterà contro il regolamento, nel caso non ci sia un’esplicita esenzione per i biocarburanti, come ha ribadito di recente anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso in un’intervista. E, come confermano a Linkiesta fonti comunitarie, lo farà anche in assenza di una «minoranza di blocco» (almeno quattro Stati membri contrari o astenuti con il 36% della popolazione totale dell’Ue), che eviterebbe l’adozione del regolamento. Certe battaglie di principio, evidentemente, vanno combattute anche quando si trasformano in cause perse.