Di sicuro c’è lo stop ai veicoli con motori a combustione: a partire dal 2035 non verranno più venduti furgoni e automobili che producono emissioni di gas a effetto serra. Questa deadline, proposta dalla Commissione europea, approvata dal Parlamento comunitario e accettata anche dal Consiglio dell’Ue, è il punto più significativo delle modifiche al regolamento 2019/631. Si tratta di un cambiamento necessario per allineare le regole sui mezzi di trasporto su strada agli obiettivi del Fit for 55, il pacchetto di proposte per ridurre le emissioni nell’Unione europea del 55% entro il 2030. Tuttavia, l’accordo fra le istituzioni non sarà esente da compromessi e flessibilità.
Concessioni necessarie
Il risultato finale sarà frutto dei cosiddetti “triloghi”, ossia negoziati fra i rappresentanti di Commissione, Parlamento e Consiglio per trovare un punto d’intesa. Come succede spesso sulle tematiche ambientali, il Parlamento adotta la linea della Commissione e anzi la “rinforza” in senso ecologista. Il Consiglio, invece, tenta di ammorbidirla allungando i tempi per le misure previste o inserendo deroghe e concessioni, per il timore di alcuni Stati membri che una transizione ecologica troppo rapida causi seri contraccolpi alle rispettive economie. A maggior ragione se si parla del settore automotive.
La posizione del Consiglio è riassunta in un documento chiamato “approccio generale” e concordato tra i ministri dei 27 Paesi lo scorso 28 giugno. Lo ha analizzato Carlo Tritto di Transports & Environment, una federazione di associazioni europee che si battono per il trasporto sostenibile a zero emissioni.
«Entro il 2035 si venderà l’ultima auto a motore. Ma le istituzioni vogliono assicurarsi che il percorso di riduzione delle emissioni avvenga tramite la migliore tecnologia disponibile, attualmente rappresentato dall’elettrico», dice a Linkiesta. Ci sarà quindi una sorta di «tagliando» al regolamento: il Consiglio chiede una revisione dell’impatto sulla riduzione delle emissioni, da effettuare nel 2026 «prendendo in considerazione gli sviluppi tecnologici».
Parlamento e Commissione vorrebbero farlo più avanti (2027 e 2028), ma la sostanza non cambia: si valuterà se il motore elettrico, oggi individuato come scelta più efficace per l’obiettivo di riduzione, pare ancora la scelta migliore. Questo checkpoint non potrà comunque mettere in discussione la decarbonizzazione del trasporto: il target di riduzione del 100% delle emissioni deve essere mantenuto.
Un emendamento proposto dalla Germania richiede di immatricolare anche oltre il 2035 alcuni veicoli alimentati con carburanti «neutri dal punto di vista delle emissioni». Si tratta dei cosiddetti «carburanti sintetici», che verranno prodotti combinando idrogeno e molecole di Co2, ricreando quindi artificialmente un idrocarburo.
Questo processo, spiega Carlo Tritto, rimuove dall’atmosfera una determinata quantità di gas a effetto serra, che sostanzialmente pareggia quella poi emessa durante la combustione. Si tratta dunque di un carburante neutro dal punto di vista dei gas climalteranti, ma non per questo “pulito” in assoluto. «Quando brucia produce particolato e ossidi di azoto, che contribuiscono all’inquinamento atmosferico e sono nocivi per la salute». L’eccezione riguarderebbe comunque veicoli «al di fuori dell’ambito standard di applicazione»: ad esempio autoambulanze e mezzi dei vigili del fuoco, ma non il mercato di massa.
Non sono invece menzionati nel documento i biocarburanti, su cui puntano molti i sostenitori dei motori a combustione. Secondo Tritto, «i biocarburanti sostenibili sono solo quelli prodotti da rifiuti e materiali di scarto, non quelli realizzati da colture alimentari o foraggere». Vista la loro disponibilità limitata, sostiene l’analista, sia carburanti sintetici che biocarburanti andrebbero utilizzati per decarbonizzare quei settori dove non esistono alternative alla combustione, come il trasporto marittimo o aereo di lunga distanza.
Un’altra deroga riguarda i furgoni oltre una certa stazza (1,75 tonnellate): l’attuale meccanismo permette di ridurre in modo minore le emissioni. Una flessibilità che per Tritto ritarderà il processo di elettrificazione, perché incentiva i produttori a sfornare mezzi più pesanti e inquinanti.
L’emendamento «salva-Ferrari» e la spinta dell’Italia
La scadenza del 2035, secondo la posizione del Consiglio, deve essere posticipata di un anno per alcuni produttori automobilistici «di nicchia»: tra i 1.000 e i 10.000 esemplari annui per le macchine e tra i 1.000 e i 22.000 per i veicoli commerciali. È il cosiddetto “emendamento salva-Ferrari”, approvato anche dal Parlamento europeo.
Si tratta di una fetta industriale ridotta e dunque poco rilevante ai fini della riduzione complessiva delle emissioni, ma per alcuni comunque discutibile dal punto di vista etico, visto che i beneficiari sono soggetti dall’alto potere d’acquisto. «È un emendamento che indebolisce la proposta e privilegia di fatto i ricchi che acquistano queste macchine», dice a Linkiesta Eleonora Evi, europarlamentare di Europa Verde. Il fatto che gli eurodeputati di tutti gli altri gruppi (Partito Democratico, Lega e Forza Italia) abbiano sostenuto la proposta, evidenzia a suo parere l’influenza dell’industria di settore sulla politica nel nostro Paese.
Un allineamento che comprende anche il governo, o almeno parte di esso: prima del Consiglio dei ministri dell’Ambiente che ha deciso la posizione da adottare, era emersa una lettera firmata da Italia, Portogallo, Slovacchia, Romania e Bulgaria. La richiesta? Lo spostamento della deadline complessiva al 2040. Una necessità a quanto pare molto caldeggiata dal ministero della Transizione ecologica, in dissenso con quello delle Infrastrutture e dei Trasporti. La richiesta, alla fine, non è passata.