Scaricabarile sovranistaLa destra annaspa nella sua incompetenza e dà le colpe al governo Draghi

Le difficoltà a convincere Bruxelles sul Pnrr italiano mettono all’angolo l’esecutivo, che anziché essere trasparente e onesto (con gli elettori, con l’Ue, con sé stesso) preferisce buttarla in caciara e dire che i problemi di oggi sono un’eredità del passato

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Il ministro Raffaele Fitto lamenta di avere ereditato da Mario Draghi un insieme di progetti difficili da realizzare e che i ritardi non possono essere imputati al governo Meloni. Insomma, non sarebbe colpa di questo centrodestra al potere se Bruxelles non sgancia la seconda rata di diciannove miliardi del 2022. Ora Palazzo Chigi ha ottenuto un mese di tempo per alleggerire il Recovery Plan e dire come intende procedere. Vedremo che coniglio bianco o nero tireranno fuori dal cilindro.

È però fin d’ora chiaro che i nuovi sovranisti annaspano, scaricano su chi ha governato prima di loro le proprie responsabilità. Domanda: in questi sei mesi in cui hanno avuto le redini del Paese in mano cosa hanno fatto? Il criticato Draghi ci mise un mese per riformulare il Pnrr scritto da Giuseppe Conte con i piedi. È vero che poi è successo di tutto, dall’aumento dei prezzi e dei costi che ha inciso sulla fattibilità dei progetti. Ma sono mesi che la realtà è sotto gli occhi di tutti e non è stato fatto nulla.

Anzi una cosa è stata fatta: si è pensato bene di trasferire la cabina di regia dal ministero dell’Economia a Palazzo Chigi. Idea giusta in via teorica, se non fosse che i tempi si sono allungati. E continuano ad allungarsi, visto che il decreto per mettere in moto questo trasferimento si è arenato in commissione Bilancio del Senato. Il motivo è che la maggioranza in Parlamento sta aspettando da settimane il parere del governo sugli emendamenti presentati. La colpa dei ritardi è del governo Draghi, quello che era sostenuto anche da Lega e Forza Italia? Che ci stavano a fare i leghisti e i forzisti nelle stanze del potere? Riscaldavano le poltrone?

Ora si aspetta che questo benedetto decreto venga convertito in legge per concentrare a Palazzo Chigi settanta funzionari e verticalizzare le procedure. Sempre che questi funzionari e altri assunti sappiamo sbloccare la farraginosa macchina amministrativa che si incaglia spesso e volentieri verso il basso nei Comuni. E sappiano avere un’interlocuzione, magari in inglese, verso l’alto con Bruxelles per evitare, come ha notato Federico Fubini sul Corsera, che Fitto continui a trattare direttamente con la direttrice generale del Recovery, Cèline Gauer. Ottima alta funzionaria europea, ma è come – giustamente viene fatto osservare da Fubini – se un commissario europeo venisse a Roma per discutere con «uno sconosciuto direttore generale di un ministero».

Quasi sei mesi di governo, decine di riunioni della cabina di regia e ancora non sappiamo se il nostro Paese potrà utilizzare da qui al 2026 la montagna di miliardi che sono stati promessi a un Paese in un momento unico. Per una contingenza miracolosa, i Paesi europei sono stati clementi con noi. Il Nord Europa delle formiche ha avuto un inusuale sussulto di solidarietà con le cicale mediterranee. Così nel 2021 venne approvato il Recovery Plan per rilanciare la nostra economia dopo la pandemia da Covid, con l’obiettivo di una svolta verde e digitale. Se adesso non saremo in grado di fare la nostra parte, indipendentemente dalle motivazioni, saremo giudicati come i soliti artisti della lagna.

È anche vero che una buona dose di questa incapacità a spendere è una tara antica (centinaia di miliardi di vecchi piani europei di sviluppo sono fermi nelle casse del Tesoro). Mancanza di personale, soprattutto di livello, fattori strutturali e burocratici che la nostra Pubblica Amministrazione non riesce mai a superare. Per esempio, quanti ministeri hanno comunicato a Palazzo Chigi l’esatto numero di bandi lanciati dagli enti locali relativi alle loro competenze?

Quello che si chiede al governo è di dire la verità sullo stato dell’arte, di essere trasparenti, non scaricare sul precedente esecutivo. Sarebbe un modo per chiedere una mano all’opposizione, ascoltare le loro proposte, non arroccarsi come sta facendo adesso, chiedendo e ottenendo un rinvio di un mese per poi magari chiederne un altro.

Prendere tempo e arroccarsi per rinviare la ratifica del Mes e per giustificare il cedimento alle lobby elettorali che trovano grande soddisfazione nel disegno di legge sulla concorrenza: non vengono messe in gara le concessioni balneari (tutto rinviato di un anno); salvi ancora una volta i tassisti che non vogliono aprire a nuove licenze e alle nuove app Uber; niente liberalizzazione dei saldi perché i commercianti non vogliono.

Tanti fronti aperti con l’Europa. La pratica sui migranti non è stata chiusa. Quella sui biocarburanti invece sì, ma a vantaggio dell’e-fuel della Germania. Ora veniamo redarguiti per il divieto sulla trascrizione dei figli delle coppie omosessuali. Tutte questioni rilevanti, ma mai quanto il pasticciaccio del Pnrr. Il commissario Paolo Gentiloni sta facendo di tutto per aiutarci, per accompagnare Fitto sulla strada delle soluzioni praticabili. Sempre che a Roma abbiano chiaro in testa cosa fare, come alleggerire il Piano: quali i progetti da travasare nel RePowerUe per la transizione energetica e nella programmazione ordinaria dei fondi destinati al nostro Sud per allungare i tempi di scadenza al 2029.

Tutti gli italiani devono augurarsi che il governo riesca a spendere le risorse europee, facendo crescere il nostro Pil e l’occupazione. Tifare contro è autoflagellazione. Il colore del governo non c’entra nulla. Tuttavia, Giorgia Meloni e i suoi ministri dovrebbero evitare di infastidire Draghi e lo stesso capo dello Stato, che pochi giorni fa ha sollecitato i governanti a mettersi “alla stanga”. E non fare la lagna per nascondere di non saper fare.