Effetto boomerangLe conseguenze devastanti della politica della Fed nei Paesi in via di sviluppo

Alti tassi e inflazione sono un mix esplosivo e gli errori delle istituzioni economiche mondiali non aiutano. L’ultimo rapporto della Banca Mondiale rileva che alla fine del 2024 il Pil di molti Stati emergenti e resterebbe del sei per cento sotto di quello registrato prima della pandemia: si prevedono debiti crescenti e pochi investimenti

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Il continuo aumento dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, seguito a ruota dalla Banca centrale europea, sta avendo conseguenze catastrofiche soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Ciò ha spinto i capitali a lasciare questi Paesi e ha deprezzato le loro valute rispetto al dollaro. Ovvia conseguenza è l’aumento dei prezzi delle commodity, del costo delle importazioni, anche dei beni di sussistenza. Inoltre, l’enorme crescita del costo del debito li ha resi incapaci di far fronte al pagamento degli interessi.

Si aggiunge una specifica situazione della Cina. Oltre agli effetti economici della pandemia, le sanzioni imposte a Pechino non colpiscono solo la Cina ma anche quei Paesi connessi alla sua catena di approvvigionamenti. Le merci cinesi che vanno nel resto del mondo non sono prodotte esclusivamente in Cina, ma soprattutto nei Paesi dell’Asia e dell’Africa che fanno parte della sua filiera produttiva.

Il “World economic outlook” di gennaio 2023 del Fondo monetari internazionale stima che il quindici per cento dei Paesi a basso reddito sia in difficoltà debitoria, un altro quarantacinque per cento sia ad alto rischio di sofferenza e il venticinque per cento delle economie dei mercati emergenti sia anch’esso ad alto rischio.

L’ultimo rapporto della Banca Mondiale rileva che alla fine del 2024 il Pil dei Paesi emergenti e di quelli in via di sviluppo resterebbe del sei per cento sotto di quello registrato prima della pandemia. Per loro si prevede un lungo periodo di debiti crescenti e pochi investimenti. I capitali, infatti, saranno assorbiti dalle economie avanzate a loro volta colpite da tassi e debiti alti. Per trentasette Paesi poveri la situazione sarà molto peggiore. Nell’Africa subsahariana si stima un aumento del tasso di povertà assoluta nel biennio 2023-24.

Il vero problema, soprattutto per noi occidentali, è che si prendono iniziative prettamente geopolitiche legate alla sicurezza e alla forza militare, spesso senza valutarne le conseguenze economiche e sociali in altre parti del mondo. Gli effetti impattano i Paesi geograficamente lontani ma poi si riverberano in casa nostra.

Di solito, quando i governi sono costretti a ridurre i bilanci, tagliano le spese sociali. Ciò porta all’instabilità politica e a rivolte popolari. Globalmente siamo di fronte a delle situazioni peggiori di quanto sperimentato, a cavallo del primo decennio di questo secolo, quando la speculazione sui beni alimentari ha mischiato l’inflazione con le cosiddette “primavere arabe”.

Il Libano, ad esempio, sta affrontando ciò che la Banca mondiale ha descritto come «una tra le crisi più gravi a livello globale dalla metà del XIX secolo». Dal 2019 la moneta locale ha perso il novantotto per cento del suo valore. In Iraq, le proteste sono scoppiate a Baghdad per il crollo del dinaro, la valuta irachena. In Egitto, il valore della sterlina egiziana in un anno si è dimezzato mentre i prezzi sono aumentati. L’anno scorso lo Sri Lanka, nel mezzo di rivolte sociali, è stato inadempiente per la prima volta nella sua storia: oggi le autorità hanno aumentato il prezzo dell’elettricità del sessantasei per cento nel tentativo di ottenere un salvataggio dal Fondo monetario internazionale. Il Pakistan sta affrontando la sua peggiore crisi economica, con mancanze di gas, interruzioni di corrente, aumenti dei prezzi. In Argentina, l’inflazione ha raggiunto, di nuovo, quasi il cento per cento su base annua.

Alti tassi e inflazione sono un mix esplosivo. Il caso dell’Argentina è emblematico, dove il tasso della banca centrale è salito dal trentacinque per cento di un anno fa al settantacinque per cento di oggi. Allora la pensione media era di quattrocentocinquanta dollari al mese, oggi è di centocinquanta. L’aumento del tasso d’interesse della Fed ha spinto anche quello della banca centrale del Brasile dal 10,7 per cento di un anno fa al 13,7 per cento di oggi. In Messico, il tasso d’interesse è quasi raddoppiato, passando dal sei per cento all’11,25 per cento. Il tasso d’interesse della Nigeria è aumentato dall’11,5 per cento al 17,5 per cento, l’inflazione è del ventidue per cento.

Il mondo sta pagando un altissimo prezzo. Le cause, secondo noi, sono l’acquiescenza della Fed di fronte a una finanza aggressiva, i suoi errori di valutazione e i suoi mancati interventi. Non è un caso che, come per la cecità dimostrata alla vigilia della grande crisi finanziaria del 2008, oggi, fino all’ultimo minuto, la Fed ha continuato a ripetere che l’inflazione era “transitoria”. Tutto è transitorio, ma il problema è la durata della transizione e le sue conseguenze.

In Europa non c’è da stare tranquilli. La Bce ha sempre dimostrato la sua “straordinaria indipendenza”, ma ripetendo qualche mese dopo gli stessi errori della Fed.

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