«Ma come fanno i tuoi personaggi a guidarti se sei tu che li scrivi?». Gayle King non è la protagonista di questa storia, le protagoniste di questa storia si chiamano Ann Napolitano e Oprah Winfrey. Ma Gayle King, in questa storia, è la voce della sensatezza.
La storia comincia il giorno dopo il mio cinquantesimo compleanno, il giorno prima di quello in cui Ann ne compie cinquantuno. E, mentre porta giù la spazzatura, le squilla il telefono, ed è Oprah Winfrey. Prima di dire perché la chiamava, forse bisogna spiegare al pubblico italiano chi sia Oprah.
Se vi servono esempi italiani, fate conto: una che da alcuni decenni riassume in sé la potenza televisiva del Pippo Baudo degli anni Ottanta, l’immedesimabilità di Antonella Clerici, e la miliardaritudine di Leonardo Del Vecchio. Oprah fa tv e non occhiali, è miliardaria in dollari invece che in euro, e può ancora cambiare i destini dei carneadi che seleziona.
Nel 1996, Oprah inaugura il suo club del libro. Il club del libro era TikTok prima di TikTok: gente che prende quell’attività solitaria e silenziosa che è la lettura e ne fa esibizionismo e condivisione.
Il club del libro di Oprah, però, è qualcosa in più. È la conduttrice televisiva più popolare d’America che sceglie un libro ogni tanto, e gli mette il proprio bollino in copertina. È il pubblico dei non lettori che viene convinto a provare quell’esercizio faticoso che è la lettura perché, ehi, Oprah dice che è divertente.
La seconda cosa più importante successa nel settembre 2001 – e anche, probabilmente, l’unica volta che il pubblico italiano ha sentito parlare dell’Oprah’s book club – è che Oprah annuncia che il libro prescelto è “Le correzioni”. In un paio d’interviste, Franzen usa un paio di parole di troppo. La prima è schmaltzy, stucchevoli, a proposito di alcuni dei libri precedentemente scelti da Oprah. La seconda è una parola che gli americani del 2001 (e pure quelli del 2023) usano assai meno degli italiani del 2023: cringe. Franzen è in imbarazzo. Oprah dice non c’è problema, non voglio mettere in imbarazzo nessuno, se ne stia pure a casa, avanti il prossimo libro.
(Nessuna Yasmina Reza, incredibilmente, ha scritto una grande pièce sull’editore di Franzen che tenta il suicidio di fronte al gran rifiuto d’un bollino che, con la sua sola apposizione, aveva fatto ristampare al volo ottocentomila copie di Anna Karenina, rendendo il pubblico statunitense – il più insulare e ignorante del pianeta – interessato all’Ottocento russo. Poi Franzen si è profuso in scuse per nove anni, e nel 2010 è andato da Oprah con “Libertà”, dicendo che era un onore essere lì. Un po’ come l’impresario di pompe funebri che s’inchina a don Vito all’inizio del Padrino).
Ma ora basta parlare di Franzen, parliamo di Oprah che martedì mattina va al programma del mattino della Cbs, condotto dalla sua amica Gayle King, e si porta una non del tutto sconosciuta ma quasi.
Ann Napolitano è, se metto in fila i fatti, una scrittrice di successo. Il suo precedente libro, “Dear Edward” (nell’edizione Mondadori: “Non sprecare il tempo, non sprecare l’amore” – Franzen, prendi ’sta stucchevolezza e porta a casa), ha venduto quattrocentomila copie negli Stati Uniti, e ci hanno pure fatto una serie, che né io né voi abbiamo visto (è su Apple+).
E infatti il New York Times martedì mattina può aprire il suo articolo con l’immagine di Ann che sta portando giù la spazzatura, tizia qualunque nella cui giornata qualunque fa irruzione la divinità che le dice: ti ho selezionata per il club del libro, non puoi dirlo a nessuno per i prossimi cinque mesi.
Dice il NYT che Oprah contatta autore agente ed editore e a tutti fa firmare degli impegni di riservatezza: non si deve sapere che ti ha scelto finché non lo annuncia lei (forse per evitarsi altri Franzen scapriccianti). Dice il NYT che Napolitano non ha potuto dire ai figli che era stata selezionata, da ottobre all’altroieri. Un po’ come lavorare nella Cia.
Ma perché una che ha venduto quattrocentomila copie è una signora nessuno, nella percezione nostra e del NYT? Perché sei quel che sei stata più a lungo, e la carriera di Napolitano è un Dickens per adulti. Gli ottanta agenti che rifiutano di rappresentarla (ottanta? Non credevo neanche esistessero, ottanta diversi agenti letterari), il padre che le dice che dovrebbe impiegarsi come guardia forestale, l’agente che finalmente la prende come cliente e poco dopo muore, il lavoro da segretaria di Sting, la depressione, gli otto anni che ci mette a scrivere libri che neppure vengono pubblicati.
Napolitano è una di quelle che se la soffrono, non certo una Simenon. Con Simenon ha in comune giusto l’ambizione, più diffusa oggi di cent’anni fa, di diventare una celebrità, stato di cose più retributivo e durevole di quello di grande scrittore. A Simenon tocca organizzarsi da solo il ballo antropometrico per il lancio del primo Maigret; Napolitano, per il suo “Hello Beautiful”, è benedetta nientemeno che dalla decisione di Oprah: questo “Piccole donne” contemporaneo è perfetto per la simbolica centesima selezione del Book Club. Converrete che sia meglio che avere Colette che viene alla tua festa di lancio.
Dopo trenta pagine, dice Oprah, già il libro ti apre «in modi che neanche sapevi fossero chiusi». Il titolo, dice Ann, viene dalle cartoline che le scriveva uno zio che – mi perdoni il dio dell’accumulo di cliché, cioè Umberto Eco – vedeva la sua bellezza interiore.
L’unica immune al fascino dell’imminente successo (“Hello Beautiful” esce in America la settimana prossima) è Gayle King. Che, non avendo letto Eco, non vede la differenza tra due cliché e un centinaio, e quando quella dice la frase che dicono tutte le scrittrici scarse – che i suoi personaggi fanno quello che vogliono – sbotta: ma se li scrivi tu. Da qualche parte, Franzen sta annuendo.