Quando c’era la saluteIl default del sistema sanitario nazionale è l’altra faccia della crisi della democrazia italiana

A cavallo del Covid le due scelte più strutturali compiute in materia sanitaria sono stati i prepensionamenti, con quota 100, di migliaia di medici e infermieri in una situazione in cui già ne mancavano all’appello decine di migliaia, e il rifiuto sdegnato del Mes sanitario, che avrebbe consentito investimenti a debito a tassi più favorevoli. Si ringraziano tutti i partiti dell’anomala grosse koalition bipopulista

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Le analisi e le proposte presentate da Azione e Italia Viva giovedì scorso al teatro Eliseo di Roma confermano che l’emergenza sanitaria non si è certo conclusa con il Covid e che, al contrario, le fragilità esplose in tutta la loro gravità con la pandemia continuano a caratterizzare il (dis)funzionamento del Sistema sanitario nazionale.

Quell’evento traumatico poteva determinare una svolta, una presa di coscienza e di responsabilità, un atto di resipiscenza. È stato invece trattato come l’alibi di un disastro senza responsabili, come una sorta di calamità imprevedibile (malgrado fosse talmente prevista da rappresentare ormai da un decennio un vero topos letterario), superata la quale, più o meno, le cose sarebbero tornate a posto. Anche se “a posto” non erano neppure prima.

Il Covid, per usare – rimanendo in tema – una terminologia clinica non ha causato, ma slatentizzato i sintomi di una sindrome idiopatica del corpo politico dello Stato. Non appartiene all’eziologia, ma alla sintomatologia della crisi di quel monumento largamente diruto che è il sistema della sanità pubblica.

C’è da sperare che si discuta nel dettaglio quanto le forze del cosiddetto Terzo Polo ritengono necessario per rimediare al fallimento di un sistema di garanzia del diritto alle cure teoricamente universalistico, ma nei fatti discriminatorio su base censitaria, visto che le interminabili liste di attesa per la diagnostica e la specialistica e spesso anche per interventi salvavita rappresentano una forma surrettizia di razionamento delle prestazioni: in linea generale dovute, ma concretamente non disponibili (in tempo utile) in gran parte del territorio nazionale.

In Italia, infatti, la sanità è accessibile a tutti i cittadini, sulla carta, ma in tempi e modi incompatibili, nella pratica, con la tutela del diritto alla salute. Solo chi può pagare out of pocket può in tempo utile «saltare la fila». Il diritto alle cure è per tutti, l’accesso alle prestazioni no. Se un paziente ha i mezzi per farsi diagnosticare un tumore al colon o un ateroma alla carotide o alle coronarie prima di quanto potrebbe fare nel sistema della sanità pubblica, come minimo parte avvantaggiato. E questo tempo perso o guadagnato, molto spesso, fa per i malati la differenza tra la vita e la morte, oltre a fare, per il sistema nel suo complesso, la differenza tra l’uso razionale delle risorse e la necessità di riparare con costi multipli a una serie di sciagure autoprodotte.

In termini politici, in ogni caso, è ancora più urgente riflettere sulla ragione per cui il fallimento del Sistema sanitario nazionale e il suo disarmo organizzativo e finanziario negli ultimi decenni abbia coinciso con il trionfo politico, a destra come a sinistra, di una vulgata populista apparentemente rappresentativa delle istanze sociali delle fasce più deboli della popolazione e al contrario interessata a estrarre consenso più dalla frustrazione che dalla soddisfazione dei bisogni primari, a partire da quello di essere assistiti nella malattia: frustrazione che significa, in concreto, potere invocare un contratto assicurativo sottoscritto con lo Stato, ma non poterne esigere il rispetto.

Non c’è stata campagna elettorale degli ultimi anni in cui la generalità delle forze politiche, e in maniera più intensa quelle nominalmente più popolari, non abbia insistito sulla necessità di rafforzare la sanità pubblica, in genere utilizzando il fantasma del “privato” come spauracchio o come minaccia. Spauracchio improprio, peraltro, perché senza l’integrazione di strutture private convenzionate nel sistema della sanità pubblica oggi le liste d’attesa italiane sarebbero lunghe come quelle venezuelane e perché il ricorso obbligato al privato non convenzionato non è un effetto di un disegno speculativo, ma del collasso della sanità pubblica. Non è dittatura di mercato, ma fallimento di Stato.

Malgrado però proprio a queste forze politiche grondanti di retorica sociale, da Palazzo Chigi o dalla plancia di comando ministeriale, sia toccato negli ultimi anni di governare il Titanic della sanità pubblica, si è proseguiti su di una linea di negazione e rimozione del punto, a cui si sarebbe infine giunti seguendo questa rotta: allo schianto contro l’iceberg di una crisi demografica, che avrebbe contemporaneamente fatto crescere la domanda e assottigliato le risorse dell’offerta sanitaria.

A cavallo del Covid le due scelte più strutturali compiute in materia sanitaria sono stati i prepensionamenti, con quota 100, di migliaia e migliaia di medici e infermieri in una situazione in cui già ne mancavano all’appello decine di migliaia, e il rifiuto sdegnato del Mes sanitario, che avrebbe consentito investimenti a debito a tassi più favorevoli di quelli disponibili sul mercato per rimaneggiare una rete ospedaliera e territoriale (strumentazioni incluse) in gran parte – questa sì – da pensionare e rinnovare.

Si è trattato di due scelte disastrose, ma per questo esemplari del sacrificio delle ragioni della responsabilità politica a quelle dell’accattonaggio elettoralistico (quota 100) e dell’antieuropeismo propagandistico (il rifiuto del Mes), che stanno sul conto di tutti i partiti dell’anomala grosse koalition bipopulista all’italiana (Pd, M5S, Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia). Due frutti avvelenati di un albero tuttora rigogliosissimo.

Il default del Ssn è quindi l’altra faccia del default della democrazia italiana e del trade-off tra interessi di consenso e responsabilità di governo, che ha portato alla completa dissociazione degli obiettivi dichiarati e dei risultati conseguiti e all’alienazione di un elettorato imbambolato dal nothing’s impossible e tentato ogni volta dal rilancio spericolato dell’all-in.

Nulla, insomma, come lo stato della sanità italiana e la coincidenza grottesca tra le legioni dei suoi presunti difensori e quelle dei suoi concreti distruttori ragguaglia la democrazia italiana a una bisca di pokeristi disperati, governata da bari.

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